«Ha per caso idea della persona a cui si è rivolto Henry?»
«Credo abbia lasciato perdere. Mi ha detto che i reperti da lui recuperati erano di scarsa importanza…»
Henry e Grandi entrarono nell’ufficio della responsabile del laboratorio pochi minuti più tardi. Vittard non poté nascondere un’espressione di meraviglia. Era pronto a incontrare una ricercatrice tutta cervello e occhiali in punta di naso. L’avvenenza di Sara ebbe il potere di lasciarlo senza fiato. Il camice bianco, non abbastanza largo da celare curve perfette, metteva in risalto la carnagione scura della donna. I capelli corvini si scioglievano intorno a un viso dai tratti mediterranei. Due occhi neri, profondi e intelligenti, stavano osservando i due uomini con curiosità.
A lungo Grandi e Vittard avevano ragionato su quanto potersi fidare della studiosa italiana. L’ammiraglio aveva anche chiesto referenze ad alcuni amici legati agli ambienti militari, ricevendo di contro ampie assicurazioni sulla serietà del laboratorio di ricerca diretto da Sara Terracini.
Avevano però deciso, per prudenza, di mostrare alla donna soltanto il papiro che avevano tentato di srotolare quando ancora si trovavano alla fonda nell’isola di Favignana.
«Come le ho detto per telefono, signor Vittard» — gli occhi di Sara si fissarono in quelli dello skipper, che riuscirono quasi a farle perdere la concentrazione —, «in questo periodo l’intero laboratorio sta svolgendo ricerche che reputo prioritarie. Sarà quindi difficile assumere per me nuovi incarichi di lavoro. Potrei sempre consigliarvi un collega in grado di darvi una mano. Anzi, a proposito di colleghi… Il suo amico Grégoire Funet mi ha appena chiamato per avere notizie sui vostri progressi. Sembra che la cosa gli stia molto a cuore. Non sapendo che cosa rispondere, ho preferito mentire, dicendo che lei mi sembrava pronto a desistere da ulteriori ricerche.»
«Grégoire Funet?» ripeté Henry con aria stupita. «Ha fatto bene, dottoressa Terracini, a rispondere in maniera evasiva. L’eccessiva curiosità del mio vecchio compagno di studi mi mette a disagio.»
«Detto fra di noi, il collega francese non mi è mai stato simpatico», confessò Sara con sincerità. Il suo sorriso fu capace di scardinare qualsiasi diffidenza che i due uomini potessero aver nutrito nei suoi confronti.
«Veniamo al motivo della nostra visita. A quanto capisco il suo tempo è prezioso, dottoressa.» Così dicendo, Henry estrasse da una borsa un involucro di plastica antiurto. Svolse il foglio protettivo con cura e prese in mano il papiro.
«Questo è uno degli argomenti che ci hanno spinto a rivolgerci a lei. Non è detto che la curiosità sia femmina: l’ammiraglio Grandi e io abbiamo cercato di srotolare questo papiro, riuscendo a leggere soltanto la prima pagina. Mi auguro di non aver compromesso l’analisi del documento.»
Sara prese dalle mani di Henry l’antico supporto di scrittura, lo esaminò con attenzione e quindi emise il suo responso.
«Anche se la pratica da voi usata è altamente sconsigliata, mi pare che la condizione di questo reperto sia eccellente. Di solito gli oggetti di questo tipo vengono sottoposti a bagni idratanti e consolidanti in opportune soluzioni, per evitare che il supporto si spezzi nel corso delle operazioni di lettura. Dopodiché vengono essiccati in speciali forni a umidificazione controllata. In seguito, con l’aiuto di una sofisticata telecamera si procede alla decifrazione dei caratteri o di quanto rimane di questi. Le immagini fornite evidenziano le diverse densità dei materiali oggetto di studio, anche in presenza, come per i papiri di Pompei ed Ercolano, di documenti letteralmente carbonizzati. Tale procedimento riesce a ricostruire una singola lettera o un carattere da una labile traccia di inchiostro. Un computer si occupa quindi di tradurre il testo antico nella lingua prescelta: è naturalmente una traduzione non definitiva, ma l’esito è di norma soddisfacente. Comunque, grazie all’eccezionale stato di conservazione, non mi sembra che la vostra curiosità abbia fatto dei danni. Credo si tratti di un papiro di età imperiale, databile attorno al primo secolo dopo Cristo, a giudicare dalla conformazione delle bacchette in osso sul quale è arrotolato il supporto. Ho visto poche volte documenti così ben conservati. Sarebbe opportuno che voi mi diceste qualcosa di più sul suo ritrovamento», spiegò Sara, mentre si accingeva con estrema cura a svolgere la prima pagina.
Le parole che lesse provocarono in lei quello stato di eccitazione che la ricercatrice ben conosceva.
«Il documento si trovava all’interno di un’anfora di probabile fattura iberica, anch’essa riconducibile grosso modo al primo secolo, nella quale si era creata un’assenza di aria che ne ha preservato il contenuto», rispose Grandi, ma Sara lo interruppe: «Lucio Domizio… Lucio Domizio…» ripeté la giovane ad alta voce e in preda a una visibile emozione, traducendo con estrema facilità gli antichi caratteri greci.
«Sì, dottoressa Terracini. Crediamo di aver rinvenuto il diario di qualcuno molto vicino a Nerone. Questo papiro faceva parte di un insieme di dieci volumina apparentemente simili.» Vittard provava un istintivo senso di fiducia nei confronti della ricercatrice e, convinto che fosse il momento di vuotare il sacco, aggiunse: «Come le ha appena detto l’ammiraglio, tutti i papiri e un cofanetto, contenente un nodo di Iside in diaspro, sono stati rinvenuti all’interno di un’anfora recuperata dai fondali marini. Noi siamo convinti che, adagiato sotto un notevole strato di sabbia, giaccia un relitto… che possiamo definire singolare».
«Che cosa intende per singolare, signor Vittard?»
«Intendo la nave imperiale di uno tra i più controversi imperatori di Roma: la nave di Nerone. Una nave, probabilmente, d’oro.»
I centoventi membri della Knesset ascoltarono in assoluto silenzio il lungo discorso con cui il primo ministro rassegnava le proprie dimissioni.
«… Al termine di questa seduta, onorevoli colleghi, consegnerò la mia formale lettera di dimissioni nelle mani del nasì ,» Il primo ministro chiamò il presidente della Repubblica con il titolo di capo del sanhedrin , il supremo corpo legislativo e giuridico dell’antico popolo ebraico.
«Espletata questa formalità, conformemente ai poteri riconosciuti a me dalla legge, indicherò al governo il nome di un successore di mio gradimento. Se tale gradimento sarà condiviso dai membri dell’esecutivo e da questo nobile consesso, Israele avrà un nuovo primo ministro. Il momento per il nostro Stato non è facile, non è facile per il mondo intero. È mio fermo intendimento e dovere restare al mio posto fino a che il nuovo primo ministro non mi succederà nella carica.»
Un applauso si levò dagli scranni parlamentari.
E ancora un caldo e sincero applauso da parte dei diciotto ministri riuniti acclamò, il giorno seguente, la nomina di Oswald Breil a successore del premier. La ratifica da parte della Knesset era cosa scontata.
Roma imperiale, anno di Roma 803 (50 d.C.)
Il matrimonio era stato celebrato in maniera sfarzosa. Il Senato aveva promulgato una legge che consentiva all’imperatore di sposare sua nipote senza cadere nel reato di incesto tra consanguinei. Il peso di Agrippina nelle riservate questioni di Stato cresceva a dismisura.
Il primo effetto delle nozze, avvenute più di un anno prima, fu che ogni persona appartenente al seguito della nuova moglie dell’imperatore venisse trasferita presso la residenza imperiale. Lisicrate e gli altri insegnanti di Lucio Domizio non fecero eccezione e trovarono una confortevole sistemazione all’interno della domus più prestigiosa di Roma.
La residenza imperiale sorgeva sul Palatino e, in buona sostanza, corrispondeva a quella realizzata da Tiberio nei pressi della casa di Augusto. Caligola l’aveva poi ampliata fino al tempio dei Dioscuri all’interno del Foro. Claudio vi si era insediato senza apportare rilevanti modifiche alle realizzazioni architettoniche dei suoi predecessori.
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