Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«Osserva le vele, Hito. Vedi quelle canne di bambù cucite parallelamente e a distanze regolari nella tela? Quelle consentono di ridurre la superficie velica in caso di forte vento.»

Dietro di loro, ad alcuni rispettosi passi di distanza, la figura di Wu svettava come una montagna.

Il viaggio dei tre uomini verso una nuova vita era appena incominciato.

Mar Mediterraneo, 1333

Il primo arrembaggio del dromone del Muqatil era avvenuto in modo incruento: le due navi mercantili si erano arrese senza nemmeno accennare una reazione, dopo aver tentato inutilmente la fuga.

Erano velieri appartenenti alla Repubblica di Venezia, in rotta verso la Spagna. Non trasportavano carichi di particolare valore, ma il giovane emiro le aveva scelte perché avrebbero svolto decorosamente il compito di staffette o quello di navi d’appoggio mentre il Muqatil sarebbe stato impegnato nelle sue azioni corsare.

L’equipaggio era costituito in buona parte da schiavi moreschi che, liberati dai fratelli musulmani, si erano uniti alle forze dei pirati.

I due comandanti, invece, assieme agli equipaggi infedeli erano stati calati in mare a bordo di scialuppe ed era stato loro permesso di allontanarsi verso la costa.

«Dite pure ai vostri signori che sono tornato, e che per gli infedeli sarà impresa ardita il solo solcare il mare», aveva urlato il Muqatil ai veneziani che si allontanavano in tutta fretta da quella che era diventata una piccola flotta corsara.

Novembre 2001

A volte Kuniko Sagashi pensava di interpretare troppo alla lettera gli insegnamenti di chi l’aveva arruolata nel Mossad.

«Non esistono cose non importanti per chi si occupa di intelligence. Il paese per il quale lavorerà sopravvive anche grazie alla minuziosa conoscenza di particolari che gli vengono forniti da persone come lei», le aveva detto il funzionario dell’Istituto quando aveva avuto il primo e unico colloquio al di fuori dei contatti «coperti» nel corso dei quali consegnava informazioni e riceveva indicazioni e ordini.

Il nuovo incarico presso la segreteria del presidente della Water Enterprise, durante quella prima settimana, era stato contraddistinto dalla consueta mole di lavoro arretrato che i colleghi amano riversare sulle spalle dei nuovi venuti. Eppure quella sorta di pedaggio da pagare era esattamente ciò che Kuniko cercava: si riescono a reperire molte più informazioni dalla semplice esecuzione di fotocopie che non dalla costante presenza alle riunioni nella sala dei bottoni.

La notizia che Yasuo Maru si sarebbe presto recato in Europa per un breve periodo di vacanza e incontri di lavoro aveva messo sottosopra l’intera segreteria: bisognava concordare appuntamenti con esponenti di governo, grandi magnati dell’industria, responsabili di filiali estere, affrontare le difficoltà accentuate dal fuso orario. Nel corso dei tre giorni che avevano preceduto la partenza del presidente, il suo staff aveva lavorato senza un attimo di sosta, e Kuniko sembrava aver guadagnato uno scalino nella lunga salita verso la fiducia delle colleghe e del segretario particolare Taka.

La riunione all’interno dell’ufficio di Yasuo Maru era in pieno svolgimento. Il responsabile dell’ufficio legale della Water Enterprise era un vero esperto in diritto internazionale e aveva a lungo studiato la legislazione della Repubblica israeliana in materia.

«Non è possibile che l’appalto non sia stato ancora aggiudicato», aveva detto Maru rivolto al dirigente.

«Proprio così, signor presidente. Sembra che una serie di intoppi burocratici abbiano rallentato la formalizzazione dell’accordo da parte della Mekorot, l’ente idrico israeliano», aveva risposto il legale, allargando le braccia.

«Abbiamo gli estremi per ricorrere in tribunale?»

«A questo punto direi proprio di sì, signor presidente. Sfido qualsiasi giudice a non darci ragione, dopo l’aggiudicazione dell’appalto. Qualora il governo israeliano dovesse recedere dall’accordo, dovrebbe pagare fior di penali alla Water Enterprise.»

«Già, ma noi non vogliamo questo, non ci interessa incassare una penale e rimanere fuori dalla fornitura in Israele. No, non credo sia ancora il momento di adire le vie legali. Proviamo a oliare gli intoppi con qualche mazzetta di dollari. Trovate il punto debole e forzatelo con ogni mezzo.»

Il C’est Dommage era ormeggiato da due giorni nel porto di Montecarlo. Le banchine apparivano quasi deserte, rispetto all’animazione dei mesi estivi.

Henry aveva cercato di rintracciare Sara Terracini già durante il viaggio di ritorno del catamarano dall’isola di Favignana verso il porto sulla costa francese. Al laboratorio gli era stato risposto che la dottoressa Terracini sarebbe rientrata da un congresso alcuni giorni dopo.

L’ammiraglio Grandi sembrava essere il più impaziente tra i due e, in quella giornata piovosa, pareva contare i minuti che ancora mancavano all’orario fissato per la telefonata.

Il cielo grigio incombeva sui grattacieli del principato, e il traffico intenso delle vie accanto al porto turistico faceva rimpiangere ai due uomini la quiete e le ultime giornate di sole godute nell’arcipelago siciliano.

La prora di una grande nave si affacciò nel porto con estrema lentezza. Dapprima Vittard pensò che si trattasse di una qualche unità militare ancora in servizio: la linea era antiquata, ma tuttora aggressiva. Quando buona parte dei centoventi metri di lunghezza dell’imbarcazione doppiarono l’imboccatura, Henry si rese conto che le sole infrastrutture del disegno originario che apparivano modificate erano quelle dove, un tempo, risiedevano gli armamenti. Le tre torrette, una a prora e due a poppa, dove avevano alloggiato potenti cannoni, sembravano adesso delle stanze girevoli, dotate di tetti e ampie aperture rese impenetrabili dall’esterno da vetri oscurati. La piattaforma delle batterie antiaeree era diventata una pista per elicotteri e un moderno Bell a otto posti troneggiava a poppavia del secondo fumaiolo. L’elicottero era di colore verde e argento con il logo della compagnia disegnato sulle fiancate. Le iniziali «W» ed «E» erano separate da una goccia stilizzata di colore azzurro.

Poco sopra il ponte di comando, Vittard notò una selva di antenne e modernissimi apparati di comunicazione.

«Deve trattarsi di un’unità da guerra riadattata a yacht di lusso», spiegò Grandi, osservando la nave che si accingeva a manovrare per l’attracco.

Sulla poppa sventolava la bandiera bianca e rossa del Sol Levante. Il nome era scritto sia in caratteri giapponesi sia in lettere occidentali.

« Shimakaze », lesse Grandi ad alta voce, mentre da bordo alcuni marinai asiatici lanciavano sulla banchina le gomene per ormeggiare.

«Torniamo a noi, ammiraglio», disse Vittard componendo un numero telefonico sulla tastiera del cellulare.

Pochi istanti più tardi il giovane skipper francese era in linea con un laboratorio di ricerca di Roma.

Sara Terracini si aggirava indaffarata per il laboratorio. I tre giorni che aveva trascorso al congresso internazionale erano volati, e il risultato più evidente della sua assenza si era tradotto in un preoccupante accumulo di lavoro arretrato. Per fortuna, gli oltre venti collaboratori sui quali poteva contare erano persone di tutta fiducia e di indiscutibili capacità professionali. Uno in particolare aveva condiviso con lei avventure quasi fantascientifiche, contribuendo con la sua abilità a risolvere casi ingarbugliati e, molto spesso, pericolosi. Toni Marradesi sapeva calarsi negli angoli più bui della storia e riemergere con quantità di dati impressionanti. Toni era con lei sin dal primo giorno in cui l’ente internazionale di ricerca le era stato affidato.

Non appena Sara entrò nel suo studio, il telefono prese a squillare.

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