Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Mar Mediterraneo, 1333

La nave del Muqatil navigava veloce, spinta dalle due bancate di remi sovrapposti, ciascuna forte di centoventi rematori, scelti tra i marinai più vigorosi dell’emiro Muhammad bin Nasr. L’imbarcazione aveva caratteristiche inconsuete perché il Muqatil, nel farla realizzare, si era ispirato al racconto che gli aveva fatto un vecchio maestro d’ascia bizantino. L’anziano artigiano gli aveva narrato antiche storie, tramandate per generazioni, a proposito di navi poggianti su tre scafi che avevano contribuito a consacrare la potenza di Costantinopoli sul Mediterraneo quasi ottocento anni prima. La flotta bizantina era, secoli addietro, costituita in prevalenza da navi di quel tipo, caratterizzate dallo scarso pescaggio e da un’invidiabile stabilità dovuta ai due galleggianti laterali; un equilibrio che consentiva di potenziare al massimo la velatura. Il nome che era stato dato a quella classe di imbarcazioni era emblematico: dromone, ovvero «corridore».

Quello era stato il modello che il giovane emiro aveva in mente e adesso, alla prima prova in mare, la nave si comportava ottimamente. Le due vele latine erano tese, anche se il vento non era eccessivo, e lo scafo a tre chiglie affiancate rispondeva con puntualità alla voga e sembrava rapido nelle manovre. I due timoni a pala, di poppa, sebbene richiedessero una grande forza per essere governati, consentivano di stringere il vento con un angolo molto superiore a quello di gran parte delle imbarcazioni che solcavano il Mediterraneo. La bandiera nera con il teschio e le due tibie incrociate sventolava a prora, issata su un pennone che sovrastava il rostro. Anche questa temibile arma offensiva il Muqatil aveva voluto che fosse di forma e dimensioni inusuali: il rostro era stato posto ben più in alto della linea di galleggiamento e sporgeva, con forma conica, di alcuni metri dall’estrema prua, come il corno rovesciato di un rinoceronte.

L’emiro di Hadarru gli aveva fornito anche un ottimo equipaggio, oltre ai rematori: trecento uomini, scelti per la loro esperienza, tra gli oltre mille volontari che si erano presentati per poter combattere gli infedeli fianco a fianco con il Muqatil.

L’emiro di Tabarqa aveva percorso più volte il ponte e si era soffermato a prora per verificare il funzionamento della temibile catapulta. Salìm, un giovane ufficiale della flotta dell’emiro bin Nasr prestato alla causa del Muqatil, lo seguiva come un’ombra, pronto a raccogliere insegnamenti e ad ascoltare consigli.

«Vedi, Salìm», aveva detto il Muqatil indicando il rostro, «se le mie ipotesi sono esatte, piombando con la nostra nave a tutta velocità contro la fiancata nemica, dovremmo riuscire ad aprire uno squarcio alto quanto l’intera murata, e non una semplice falla sotto il galleggiamento.»

«Credo che con questa nave saremo invincibili, mio signore», rispose il giovane con entusiasmo.

«Purtroppo ho imparato che non esistono gli invincibili, Salìm. Certo, i vantaggi che sembra offrire questo tipo di nave sono rilevanti, ma presto gli infedeli metteranno in mare un’intera flotta per darci la caccia. A quel punto mi auguro di essere riuscito a radunare un numero sufficiente di uomini per bandire il traditore ’Abd al-Hisàm dalla mia città.»

Tokyo, ottobre 2001

Kuniko Sagashi capì immediatamente che non avrebbe avuto vita facile ai piani alti del palazzo: Taka, il segretario particolare del presidente, la informò in breve sulle regole ferree che vigevano per chi doveva stare a diretto contatto con gli affari di Maru.

Il tono della voce di Taka pareva artefatto, quasi in falsetto. Il segretario particolare di Maru poteva avere poco più di trentacinque anni e vestiva sempre con abiti all’ultima moda, rigorosamente neri e dal taglio molto aderente. Sulla fronte, tra i capelli corti e molto impomatati, spiccava un curioso ciuffo biondo, fresco di tintura. Taka fissava Kuniko da dietro le lenti di un paio di occhiali dalla montatura nera e vistosa, forse più adatti a una star del cinema che al rigoroso assistente di un potente uomo d’affari.

Ogni suo gesto rivelava che Taka era un omosessuale dai modi nervosi che riuscivano a mettere a disagio buona parte delle persone con cui veniva a contatto. Tale comportamento valeva a maggior ragione con i subalterni, nei confronti dei quali Taka era severo e inflessibile. Il segretario particolare di Yasuo Maru sembrava avere un’arma sempre puntata contro chiunque gli stesse di fronte.

«L’impiego presso Maru sama le impegnerà buona parte del suo tempo», aveva chiarito Taka. «E mi sembra inutile sottolineare che dedizione e riservatezza saranno considerate indispensabili per un buono svolgimento dei compiti a lei affidati. Le sue colleghe la metteranno al corrente delle metodologie e degli orari di lavoro. Per il primo mese, lei sarà tenuta sotto stretta osservazione, e alla fine di questo periodo, chiamiamolo di prova, valuteremo se sarà all’altezza di entrare a far parte della segreteria personale del presidente. Consideri questa opportunità come un grande privilegio, Kuniko Sagashi.»

«La ringrazio, Taka san », rispose la giovane inchinandosi e giungendo le mani davanti al petto.

«Taka sama… Se lo ricordi, Taka sama », la corresse l’uomo con voce metallica e sottolineando il desiderio che il suo nome fosse accompagnato dal suffisso di solito abbinato ai personaggi di alto lignaggio.

Il trillo dell’interfono distolse il Signore delle Acque dalla sua occupazione.

«Dimmi pure, Taka», disse Maru rispondendo alla chiamata del suo segretario particolare.

«Volevo farle conoscere la nuova segretaria, Maru sama. »

Pochi istanti più tardi, Kuniko entrava nell’ufficio del presidente.

Nell’enorme sala c’erano pochi mobili e molti oggetti d’arte. Un antico camino di grandi dimensioni occupava buona parte della parete alla sua destra. Di fronte alla porta da cui era entrata si trovava una grande scrivania in legno dalle forme leggermente incurvate, posta a poca distanza dall’ampia vetrata che dava sul parco.

Aveva avuto modo di vedere il Signore delle Acque quando transitava nella hall e alle manifestazioni importanti, ma non si era mai trovata faccia a faccia con lui. La giovane abbassò gli occhi e si raccolse in un inchino.

Maru pronunciò qualche parola di circostanza, raccomandandole di seguire alla lettera i suggerimenti di Taka, poi la congedò con fredda cortesia.

Quasi mai Kuniko aveva riscontrato altrettanto disinteresse in un uomo che la stava osservando. Anzi, spesso il suo aspetto suscitava piacevoli commenti o sguardi colmi di curiosità. Non si sarebbe mai aspettata tanto dal suo principale, ma credeva che se un pezzo di acciaio si fosse presentato davanti a Yasuo Maru forse avrebbe sortito maggiore attenzione.

No, l’avvenenza non era certo una delle doti necessarie per entrare nelle grazie del Signore delle Acque. A questo stava pensando la giovane, mentre la porta si richiudeva alle sue spalle.

Di nuovo solo all’interno del suo ufficio, Yasuo Maru guardò per l’ennesima volta il filmato girato poche ore prima in Italia da una telecamera a raggi infrarossi.

Nonostante la potenza dello zoom digitale dello schermo a cristalli liquidi, non riusciva a distinguere gli oggetti che i due uomini stavano estraendo dall’anfora.

«Poco importa», pensò tra sé il Signore delle Acque. «Quei due stanno lavorando per me.»

Roma imperiale, anno di Roma 801 (48 d.C.)

Quella mattina Lisicrate si era svegliato più presto del solito. L’accoglienza che aveva ricevuto la sera precedente nel corso del banchetto lo aveva lasciato alquanto perplesso. Certo non immaginava che l’arrivo di un giovane maestro fosse così importante da richiedere i fasti di un trionfo, ma il comportamento distaccato e un po’ sprezzante di Seneca era stato quasi offensivo.

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