Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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La sorpresa, ancora una volta, fu decisiva: in poche ore le milizie comandate da Ashikaga presero possesso del Rokuhara, il quartier generale dello shogun a Kyoto.

Go-Daigo entrò in città pochi giorni più tardi, tra due ali di folla festante che scandiva il nome dell’imperatore del Giappone. Accanto a lui cavalcava il generale Ashikaga: tutti mormoravano che presto, per il debito di riconoscenza contratto da Go-Daigo nei suoi confronti, sarebbe diventato il nuovo shogun del Giappone.

Al-Andalus, 1333

Due anni! Due anni e finalmente il Muqatil poteva veder coronato il suo sogno. La nave da guerra era ancora sull’invaso, pronta a scendere verso il mare azzurro per la prima volta.

Era trascorso un tempo interminabile, simile alla più severa delle prigioni per il Muqatil. Lui ricordava bene quando, ancora convalescente, era sbarcato in quello stesso porto dal mercantile di Hasan, il comandante che gli aveva salvato la vita. La notizia che il Muqatil fosse approdato in città si era sparsa con la velocità del vento.

Tre giorni più tardi, due guardie e un ufficiale dell’emiro bin Nasr, reggente della città di Hadarru, si erano presentati al molo e, con modi sbrigativi, avevano chiesto ai marinai intenti a caricare l’imbarcazione: «Chi di voi dice di essere il nipote di Ibn ben Mostoufi, emiro di Tabarqa, detto il Muqatil?»

«Sono io», aveva risposto il giovane guerriero. Le forze gli stavano tornando a poco a poco. La sua mano corse ugualmente all’elsa della scimitarra: era pronto a difendersi da quelli che credeva fossero lì per arrestarlo.

«Il nostro signore, l’emiro di Hadarru, chiede di accompagnarti da lui. È ansioso di incontrarti.»

«Ringraziate l’emiro, ma devo imbarcarmi al più presto per raggiungere la mia città: Tabarqa è cinta d’assedio dagli infedeli», ribatté il Muqatil.

«Tabarqa è capitolata», aveva riferito l’ufficiale. «Una staffetta ha informato l’emiro che gli infedeli sono penetrati nella città attraverso un passaggio segreto e hanno insediato al tuo posto tuo cugino. Tornare nella tua terra equivarrebbe a farti giustiziare.»

«’Abd al-Hisàm è vivo?»

«Vivo e vegeto, almeno a giudicare dalle voci sulle esecuzioni sommarie che pare stia facendo eseguire. Credo ti convenga parlare con il mio signore, prima di prendere qualsiasi decisione.»

Il giovane emiro trattenne a stento un moto di rabbia e, senza dire altro, salì sul cavallo che l’ufficiale gli aveva indicato.

La mattina seguente il Muqatil giunse al cospetto dell’emiro di Hadarru.

Muhammad bin Nasr era basso e paffuto. La sua barba grigia e l’espressione austera non riuscivano a nascondere uno sguardo benevolo mentre osservava il Muqatil.

«Certo, sei proprio il nipote di tuo nonno!» esclamò l’emiro. «Ibn ben Mostoufi era per me un fratello e chiunque discenda da lui è il benvenuto nella mia casa.»

«Ti sono grato, Muhammad. Ma, dimmi, corrisponde al vero quanto mi hanno detto i tuoi uomini? Tabarqa è caduta?»

«Purtroppo sì: un plotone di infedeli è penetrato nottetempo da un passaggio segreto e ha neutralizzato il corpo di guardia, aprendo la via agli invasori. In città si era già diffusa la notizia della tua morte: lo stesso ’Abd al-Hisàm ha provveduto a informare i tuoi, urlando a squarciagola poco sotto le mura.»

«La mia città… La città che non ho saputo difendere.»

«Non addossarti colpe che non sono tue.»

«Se non avessi preso il largo… Tutto questo…»

«… tutto questo sarebbe successo ugualmente, prima o poi», lo interruppe Muhammad, «con la sola differenza che, nella migliore delle ipotesi, ti avrebbero fatto prigioniero per ucciderti fra atroci supplizi in qualche piazza di Tabarqa. In questa maniera hai, almeno, avuto salva la vita.»

«Già, ma come posso continuare a vivere con questo peso sulle spalle?»

«Qui, nella città di Hadarru, ti devi sentire come a casa tua. Posso darti un’occupazione degna del tuo rango e ospitarti nella mia residenza.»

«Ti ringrazio, emiro, ma non sono certo un uomo di palazzo. Il mio solo desiderio è quello di riuscire a liberare Tabarqa scacciando l’usurpatore.»

«Non posso certo aiutarti in questo, Muqatil: ho da poco sottoscritto una tregua con gli infedeli che minacciavano seriamente Hadarru e non posso armare un esercito contro un sovrano fantoccio sostenuto da quegli stessi cristiani. Potrebbe significare la fine della mia città. Tuttavia… Tuttavia potrei metterti in grado di solcare i mari e combattere i tuoi nemici e un giorno, forse, essere in grado di riconquistare la tua città.»

I ricordi si spensero nella mente del Muqatil, mentre il rumore dei legni lo riportava alla realtà. La nave, dono dell’emiro Muhammad bin Nasr, stava lentamente scivolando sull’invaso.

Il Muqatil salì a bordo del veliero che aveva progettato in ogni minimo particolare. Estrasse dalla cintura un drappo nero e lo assicurò a una sartia. L’antica bandiera da battaglia dell’Ordine del Tempio si tese al vento. Il teschio bianco in campo nero con le due tibie incrociate avrebbe nuovamente seminato il terrore nel Mediterraneo.

Ottobre 2001

Yasuo Maru sedette sulla poltrona presidenziale. Premette uno dei pulsanti colorati che erano disposti su una tastiera a lato della scrivania.

Lo schermo digitale scese con un ronzio da un varco che si era aperto nel soffitto rivestito in legno. Pochi istanti più tardi il Signore delle Acque osservava in tempo reale le immagini che provenivano dall’Italia.

La telecamera che una mano esperta stava dirigendo indugiò per qualche istante su un goffo giapponese che si tuffava dal tubolare di un gommone in un’acqua cristallina. Poi, lentamente, l’obiettivo riprese una veduta della baia, andando a fermarsi sul soggetto che interessava Yasuo.

Il C’est Dommage assecondava il lieve moto ondoso della rada di punta Marsala. Le due teste, inguainate nei cappucci delle mute, emersero in quello stesso istante. A circa un metro da uno dei due subacquei faceva capolino tra le onde qualcosa di semigalleggiante dal colore giallo vivo. Puntuale, lo zoom della telecamera si posò sull’oggetto: a Yasuo Maru non ci volle molto tempo per riconoscere un pallone subacqueo gonfiabile, di quelli usati per recuperare carichi pesanti dai fondali.

Kuniko Sagashi uscì dalla sede della Water Enterprise al termine del suo orario di lavoro. La notizia della promozione le era giunta improvvisa: sicuramente la dedizione e la puntualità con cui aveva affrontato la sua occupazione avevano fatto sì che la giovane agente del Mossad si mettesse in luce presso i suoi superiori. Essere trasferita presso la segreteria dell’ufficio di Yasuo Maru era considerata una meta ambita da buona parte delle impiegate che lavoravano presso la grande azienda. Ancor di più lo sarebbe stata per Kuniko: avrebbe avuto modo di controllare da vicino l’obiettivo della sua indagine.

La ragazza riteneva che quella fosse una notizia importante e aveva programmato un appuntamento col suo referente per quella stessa serata. Dal giorno seguente sarebbe salita ai piani alti e avrebbe fatto parte del gruppo di quattro assistenti, alle dirette dipendenze del segretario personale del presidente, che si occupavano dell’organizzazione del tempo di Yasuo Maru.

Il posto contrassegnato dal numero cinque, luogo in cui aveva fissato l’appuntamento, si trovava all’interno di un anonimo McDonald’s di Ginza Street, la via più affollata di Tokyo.

Kuniko sedette a uno dei tavoli con un vassoio, disponendone un secondo davanti al suo, in modo che il posto sembrasse occupato. Stava addentando il suo Teriyaki burger, una variazione giapponese del sandwich planetario, quando la voce profonda di Bruno Milano la riscosse.

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