Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Kuniko Sagashi entrò nei grandi magazzini Mitsukoshi. Guardò l’orologio. Risoluta si diresse verso il banco dei cosmetici e osservò distrattamente una confezione di crema idratante, lanciando occhiate fugaci verso il pubblico, prevalentemente femminile, che si affollava attorno ai prodotti di ogni marca. Aveva raggiunto la postazione identificata col numero tre in perfetto orario.

Chissà chi sarebbe stato il suo contatto, questa volta? Nelle precedenti occasioni di consegna delle informazioni era stata avvicinata da due agenti diversi.

Immersa in questi pensieri, Kuniko afferrò un rossetto dal colore viola acceso. Quello era il suo segnale. Una voce profonda alle sue spalle la fece trasalire.

«Non mi dispiacerebbe regalare a mia moglie un rossetto. Le sarei grato se lei mi aiutasse nella scelta.»

«Io le consiglierei un rosso rubino o un rosa pallido.»

Pronunciando la formula di riconoscimento, Kuniko si volse verso il suo interlocutore. Rimase quasi meravigliata incontrando il sorriso aperto del maggiore Milano. Sembrava uno dei tanti uomini d’affari occidentali che si aggiravano per la metropoli; era decisamente attraente, a differenza dei due altri agenti del Mossad che aveva incontrato.

«Bushido», sussurrò l’uomo che, ufficialmente, ricopriva da qualche giorno il ruolo di responsabile dell’ufficio relazioni economiche dell’ambasciata israeliana a Tokyo.

«Se mi permette, io sceglierei questo.»

Kuniko aveva estratto dalla tasca un tubetto di rossetto identico agli altri e aveva Tinto di prenderlo dal banco.

Milano ringraziò, prese l’oggetto e si mise diligentemente in coda alla cassa per pagare. Kuniko abbandonò il reparto cosmetici dirigendosi verso l’uscita.

Nello stesso istante, a oltre novemila chilometri di distanza, Tel Aviv si era da poco svegliata dopo una nuova notte di paura. La situazione nei territori occupati non sembrava migliorare, anzi le iniziali schermaglie si erano trasformate in cruenti scontri di guerriglia urbana.

Probabilmente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era arrivata alcuni giorni prima, quando tre terroristi avevano freddato il dimissionario ministro del turismo nella stanza di un albergo.

Il premier scosse la testa con un’aria stanca. Ai difficili problemi di politica interna si erano sommate le forti pressioni degli Stati Uniti affinché il governo di Israele facesse tacere le armi. La crisi istituzionale sembrava ormai inevitabile.

Il capo del governo alzò la cornetta del telefono e compose un numero. Sentiva la necessità di parlare con una persona al di fuori della cerchia dei soliti politici, qualcuno che avesse a cuore la salute del suo paese quanto lui.

«Dottor Breil? La disturbo?» chiese il primo ministro.

Oswald riconobbe immediatamente la voce. «Non mi disturba affatto, eccellenza. In che cosa posso esserle utile?» rispose il viceministro alla Difesa.

«Se non le spiace vorrei avere un colloquio con lei. Che ne direbbe se facessimo colazione assieme nel mio ufficio oggi, sempre che non abbia altri impegni?»

«Sarò da lei alle tredici in punto, eccellenza.»

Il premier ripose la cornetta. Sapere che presto avrebbe visto Breil lo rincuorava un po’: quell’uomo, quel piccolo uomo, aveva ricoperto i più delicati incarichi nel corso della sua brillante carriera e se l’era sempre cavata egregiamente. Breil aveva gestito in maniera encomiabile sia lo Shin Beth, il servizio interno di sicurezza, sia il Mossad. Ancor prima di diventare viceministro alla Difesa, Oswald Breil aveva sventato, in diverse occasioni, terribili minacce per il mondo intero.

Bruno Milano entrò nel vagone della linea metropolitana Yurakucho e scese alla stazione numero cinque. Per raggiungere da Kojimachi Street l’ambasciata israeliana in Niban-cho erano sufficienti un paio di minuti a passo veloce.

L’edificio della sua sede diplomatica a Tokyo aveva sede in una elegante palazzina a tre piani di architettura moderna.

Milano estrasse la tessera lasciapassare e varcò i tre sbarramenti elettronici che impedivano l’accesso di persone non autorizzate agli uffici.

Quando raggiunse la scrivania, estrasse la microscheda elettronica dal tubetto di rossetto consegnatogli da Bushido e la inserì in un apposito lettore del computer. Scorse le immagini che corredavano il rapporto dell’agente non riuscendo a trattenere un sorriso: quella ragazza era bella quanto brava. Con alcuni comandi, Milano impartì alla macchina l’ordine di tradurre il contenuto in linguaggio criptato. Quindi allegò il file a un messaggio di posta elettronica. Qualcuno, molto in alto e molto distante, stava aspettando quelle informazioni.

Derrick Erma, capo del Mossad, era seduto nella comoda poltrona ergonomica del suo ufficio, quando il capitano Bernstein entrò con un CD-ROM in mano.

«Novità dal Sol Levante», disse Bernstein porgendogli il disco.

Poco più tardi lo schermo del computer sulla scrivania di Erma si riempì delle istantanee che Kuniko aveva scattato nei giorni precedenti con la macchina digitale miniaturizzata che la giovane agente teneva nascosta in un bottone della divisa.

Erma aveva un’aria compiaciuta, mentre osservava il breve commento che Kuniko aveva allegato alle foto.

« Generale Zhu Ling, presidente della Commissione centrale militare », era scritto nella didascalia di poche righe. « L’uomo forte nelle alte gerarchie della Repubblica Popolare Cinese. Ha fatto visita a Yasuo Maru, a capo di una delegazione, una prima volta lo scorso 18 ottobre e una seconda volta oggi, 26 ottobre. Pare che nella prima occasione sia stato siglato un importante contratto tra la Water Enterprise e il governo cinese. Non ho notizie sul motivo della visita più recente, ma mi riprometto di informarmi. La mia personale opinione è che, se gli uomini d’apparato non arrivano in pompa magna, o vengono a riscuotere il loro personale compenso o vengono a discutere personalmente questioni altamente riservate. Bushido. »

Erma sorrise, anche se l’espressione da bulldog del generale cinese catturata dall’istantanea non era rassicurante.

L’origine della sua soddisfazione era invece un’altra: la scelta di arruolare Kuniko era stata sua. Aveva personalmente visionato la scheda e valutato i rapporti periodici inviati da chi aveva tenuto la ragazza sotto controllo per un lungo periodo. Erma riteneva che questo facesse parte dei compiti del capo del Mossad: un comandante vale per il valore dei suoi subalterni. Era un insegnamento che aveva appreso stando al fianco del suo maestro Breil per lungo tempo.

«Già, Oswald Breil… Chissà dove si troverà adesso?» si chiese Erma.

Se il capo del Mossad si fosse affacciato alla finestra dell’ultimo piano del palazzo occupato dall’Istituto, avrebbe potuto vedere la sede della Knesset, il parlamento della Repubblica di Israele. Lì, all’interno di una saletta attigua all’ufficio del primo ministro, Breil stava pranzando con la massima autorità governativa del paese.

Fu verso la fine della colazione che il premier venne al dunque: «Credo che ormai i tempi siano maturi per le dimissioni del governo in carica, dottor Breil».

«Mi perdoni, eccellenza, ma mi sembra che non sia il momento migliore per lasciare lo Stato senza una guida…» lo interruppe Oswald.

«È proprio per questo che ho sollecitato il nostro incontro, dottor Breil. Israele mi sta a cuore più della mia stessa vita e per la salute dello Stato credo sia opportuno che io mi faccia da parte. La decisione è ormai presa.»

«Sono sinceramente dispiaciuto per questo, ma mi auguro che il tempo possa mutare il suo punto di vista, eccellenza.»

«Non sarebbero sufficienti mille anni per farmi cambiare idea. E la preoccupante situazione all’interno e al di fuori dei nostri confini non concede nemmeno un istante di esitazione. Lei, dottor Breil, è la persona meglio indicata a succedermi, capace di dirimere ogni dissenso interno e di godere di un grande credito presso i paesi alleati. Per il bene di Israele, la prego di accettare la candidatura a primo ministro.»

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