Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«La parola di Ra, il più potente tra gli dei, ti scaccia! Dalle sorgenti non sgorgherà più acqua, non ci sarà cibo e i luoghi di culto non apriranno le loro porte fino a che il giovane Horus non sarà salvo. Le tenebre caleranno perpetue, i frutti avvizziranno sugli alberi, il grano non riuscirà a maturare fino a quando il veleno minaccerà questa piccola vita.»

Simone lanciò una manciata di polvere sul braciere alla sua destra: un fumo azzurrognolo dagli aromi penetranti invase la stanza. Tutti i presenti erano nel silenzio più assoluto, con gli sguardi fissi su quello che ritenevano fosse un miracolo in via di compimento.

«Ecco il volere di Ra che si impone sul male. Ecco il piccolo Horus che si riaffaccia alla vita!» riprese Simone poggiando le mani sulla fronte del bambino. « Haray! Haray! O o o Chak Arò Nuf. La febbre non brucia più la sua fronte. Tornate alle vostre case. Anche tu, madre premurosa, torna al tuo focolare col tuo bambino. Egli vivrà. Horus è con lui e gli ha salvato la vita.»

Simone si accasciò in preda alla stanchezza. La donna corse verso l’altare e aiutò il bimbo a ritrovare la posizione seduta. Il piccolo Moses stava bene, anche se pareva ancora stordito.

«Le tue mani hanno il potere di Dio, Simone», ringraziò la madre con gli occhi velati di commozione. «Tu mi hai ridato la vita del mio unico bene. Chiedimi qualunque cosa.»

«Torna a casa, fai riposare tuo figlio per un giorno e per una notte», disse Simone con voce stanca. «Non devi essere grata a me, ma a Dio che mi ha donato il potere di salvare la vita ai sofferenti.»

La donna uscì dal tempio funerario con il suo bambino tra le braccia. Simone fece un rapido gesto della mano indicando ai presenti di allontanarsi: sembrava privo di energia e aveva la fronte imperlata di sudore.

Entro poche ore la notizia del nuovo miracolo avrebbe fatto il giro della città.

Lisicrate si diresse verso l’altare. In atto di devozione si inchinò dinanzi a Simone. Il mago allargò le mani in segno di benedizione. Fu in quell’istante che il giovane greco notò l’anello d’oro.

Era un gioiello molto antico, sulla cui sommità si trovava impresso un sigillo: una stella a sei punte, simbolo della magia e, soprattutto, simbolo di Salomone, antico re dei giudei.

Lisicrate si avviò verso l’unica via d’uscita. Fatti pochi passi, il suo sguardo cadde sulla serpe portata dalla madre di Moses e abbandonata a terra, priva di vita. Al giovane parve di riconoscere il tipo di rettile: si trattava di un colubro del Nilo, munito di denti taglienti come lame e dal morso letale. Alcuni chiamavano quella specie Ptyas, il serpente che sputa, per la sua caratteristica di lanciare saliva mista a veleno anche a una certa distanza dalle vittime. Se quel liquido veniva a contatto con le mucose del malcapitato, costui cadeva in un profondo torpore. Probabilmente era stata proprio quella l’arma usata dal serpente con il bambino: da quanto Lisicrate aveva potuto osservare, sul corpo di Moses non erano visibili le tracce del morso, spesso devastanti, del colubro. E di certo anche Simone doveva aver notato l’assenza di ferite: era necessario che i sacerdoti, e chi professava l’arte della magia, avessero dimestichezza con la medicina, con la preparazione di pozioni e, ben più spesso, con quella di veleni e antidoti.

«Tutto quello che hai fatto sinora, Lisicrate, sembrerebbe inutile. I sistemi che hai utilizzato per giungere fino a Simon Mago sono risultati vani… A meno che… a meno che… La tua descrizione dell’incontro con il mago ha fatto nascere in me un sospetto…» disse alcuni giorni più tardi Cherèmone, non appena il giovane fu di fronte a lui. «Non ho potuto avvertirti prima, dato che anch’io ho appreso solo poco fa la notizia, forse quasi nel medesimo istante in cui veniva comunicata allo stesso Simone.»

«Che cosa vuoi dire, Cherèmone?»

«Ho saputo da uno dei miei informatori che entro la prossima settimana Simone dovrà partire per Roma. L’imperatore Claudio lo vuole alla sua corte. Tutto il tuo lavoro è stato inutile.»

«Non esistono lavori inutili, Cherèmone. Tu stesso mi hai insegnato che nessuna esperienza è vana.»

«Il mio informatore, persona molto vicina agli ambienti imperiali, mi ha anche riferito che Agrippina vorrebbe che io andassi ad affiancare Aniceto e Berillo in qualità di insegnante del giovane Lucio Domizio.»

Un turbine di ricordi invase la mente di Lisicrate: le ricerche presso la biblioteca sui natali astrologici del figlio di Agrippina eseguite due anni prima e i tanti racconti sulla Roma dei Cesari che aveva udito da Giulia Litia si fecero largo nella sua memoria.

«So a che cosa stai pensando», disse Cherèmone e, prima che il giovane potesse replicare, aggiunse: «È inteso che, qualora io dovessi recarmi a Roma, sarebbe difficile poterti condurre con me: se io mi dovessi allontanare da Alessandria, chi riuscirebbe a mandare avanti la biblioteca, se non il mio fedele Lisicrate?»

«Quello che dici mi lusinga, Cherèmone. Sarò onorato da ogni tua decisione.» Nella mente del greco si faceva però strada l’irresistibile attrazione che l’Urbe sapeva infondere in ogni essere vivente.

«Torniamo a noi, Lisicrate», continuò Cherèmone. «Ti stavo dicendo di un labile sospetto che nutro, sin da quando tu mi raccontasti dell’incontro con Simone di Samaria.»

Mentre parlava, l’anziano sacerdote dispiegò su una tavola un antico papiro.

«È forse simile a questo l’anello che Simone portava al dito?» e Cherèmone gli indicò una figura sul foglio ingiallito.

«Sembrerebbe proprio identico a quello che mi stai mostrando. Si trattava, come ti ho detto, di un oggetto molto vecchio con incisa la stella a sei punte.»

«Quella che vedi è una raffigurazione dell’anello di re Salomone, l’amuleto che si dice donasse al re dei re tutto il suo sapere e la sua potenza. La leggenda narra che, marchiando i demoni con questo oggetto, Salomone li rese schiavi e, quando un giorno perse l’anello nel fiume Giordano, il re dovette aspettare che un pescatore lo ritrovasse e glielo riconsegnasse, prima di riacquistare la sua immensa saggezza. Se davvero stanno così le cose, Simon Mago potrebbe essere in possesso di un oggetto a cui le credenze attribuiscono enormi poteri, al cui interno sarebbe inciso il nome del Dio dei giudei. Un nome che i mortali non possono conoscere, a meno che non appartengano a una ristretta cerchia di eletti, dotati anch’essi di poteri divini.»

Isole Egadi, ottobre 2001

Il banco di sabbia, ricoperto da un leggero strato di alghe, si estendeva per circa mezzo miglio marino verso le coste siciliane. La profondità era pressoché costante e si aggirava tra i quindici e i diciotto metri. Dagli sconfinati fondali sabbiosi si ergeva per quattro o cinque metri uno scoglio solitario, un monolito roccioso piantato nel mezzo del campo d’azione dei due sommozzatori. Proprio da quell’unico segno di riconoscimento, in prossimità del quale l’ammiraglio aveva rinvenuto la maggior parte dei suoi preziosi reperti, Henry e Grandi avevano iniziato le loro ricerche. Dopo il ritrovamento della testa di lupo, avvenuto il primo giorno, la fortuna sembrava averli abbandonati. Da tre giorni, al ritmo di tre immersioni quotidiane, vagavano scandagliando inutilmente il fondale con i metal detector.

Vittard e Grandi avevano scelto una tecnica di ricerca tanto semplice quanto efficace: avevano delimitato con segnali subacquei un rettangolo di una ottantina di metri di lato, orientato lungo la corrente dominante generata dallo scirocco. Si muovevano paralleli, lungo linee orizzontali, tenendo le apparecchiature elettroniche in modo da farle quasi strusciare sulla sabbia.

Il terzo giorno di immersioni stava per finire. Con un gesto sconsolato, Vittard fece cenno a Grandi che era tempo di riemergere.

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