Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.
Il destino conduce per mano chi lo segue, trascina a forza chi gli si oppone.
CLEANTE
Nodo di Iside
Isole Egadi, ottobre 2001
«Ogni mia precedente convinzione sembra vacillare, arrivati a questo punto», disse Grandi con un’aria tutt’altro che rassegnata. «Lei, Henry, riesce a capire perché un oggetto risalente all’epoca medievale si trovava dove dovrebbe essere affondata una nave imperiale romana?»
«Possono esserci molte spiegazioni», rispose Vittard. «Potrebbe essere accaduto che una nave araba di epoca medievale trasportasse quelle monete con l’effigie di Nerone e sia naufragata in queste acque. Ciò comporta che i reperti da lei recuperati in precedenza risalgano di fatto a quella nave e non, come abbiamo creduto finora, alla nave d’oro di un imperatore romano.»
Grandi scosse il capo. «È un’ipotesi che ho già vagliato. Lei ricorda la lamina di piombo che ho recuperato e che le ho mostrato nel corso della sua visita a Genova? Quel sottile strato di metallo veniva sagomato sulla carena allo scopo di proteggere dalla teredine il legname immerso. La tecnica usata è di certo risalente a un lasso di tempo che va dal sesto secolo avanti Cristo al secondo dopo Cristo. Questo dovrebbe datare il relitto — e se è stata rinvenuta una parte di carena di sicuro si tratta di un relitto — come certamente non di epoca medievale. Un periodo di otto secoli rimane comunque una finestra troppo ampia per arrivare a una collocazione precisa. Se però andiamo a esaminare la quantità d’oro impiegata nelle fusioni e la scarsità di quel minerale negli anni della Repubblica, si potrebbe ulteriormente circoscrivere il periodo tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo. Inoltre, la forma del frammento di rostro è una successiva conferma, così come il ritrovamento delle monete con l’effigie di Nerone.»
«Già… sette monete d’oro raffiguranti Nerone imperatore nelle vesti di Apollo Citaredo…» ripeté Henry con occhi sognanti. «Sette… un numero sacro alla romanità e al culto di Apollo in particolare: secondo la mitologia, la divinità nacque di sette mesi e, con le sette corde della sua lira, emetteva una musica che aveva l’effetto di donare la salute ai mortali.»
«Infatti, sette monete d’oro che furono quasi certamente incastrate nella scassa dell’albero: una sorta di firma dell’imperatore, fedele al dio Apollo, il dio del Sole, l’astro che riluce come quel metallo. La divinità alla quale era stata dedicata la nave imperiale.»
«Rimane sempre il problema della testa di lupo che abbiamo recuperato.»
«Una bella delusione. Noi ci aspettavamo che fosse una sorta di biglietto da visita di Nerone, una cartina topografica che ci suggerisse: ‘Scavate in questo punto e troverete la nave d’oro’. Certo non immaginavamo che potesse trattarsi di un’opera ben più recente.»
«È vero: come poteva essere esistito un incauto mercante dell’antica Roma che ha lasciato cadere sette monete d’oro in mare, poteva anche esserci stato un ricco arabo che ha visto scivolare al di là di una battagliola la testa di lupo d’oro… oppure… oppure…»
Henry Vittard parve scosso da una leggera scarica elettrica. Balzò in piedi e si diresse risoluto verso la sala da carteggio, dove si trovavano il computer connesso in rete e le apparecchiature telefoniche. «Abbiamo bisogno di aiuto e credo che l’amico Funet, ammesso che il passare carte alla sovrintendenza gli lasci un po’ di tempo libero, possa darci una mano.»
«Attento, quando un adulto entra nella favola non riesce più a uscirne», suggerì Grandi con un sorriso.
«Un’altra delle sue citazioni dotte, ammiraglio?» domandò Henry, mentre componeva un numero sul cellulare, molto più rapido ed economico del telefono satellitare.
«No, si tratta di una banale frase pronunciata da un eroe dei fumetti, un avventuriero che si chiama Corto Maltese. Volevo sapere una cosa ancora… Il suo amico Funet è un uomo di cui ci si possa fidare?»
«A parte lei, ammiraglio, in questa faccenda non credo ci si possa fidare di nessuno, tanto meno di una persona avida come sempre è stato Grégoire Funet. Abbiamo comunque bisogno di un esperto che abbia accesso agli archivi e alle notizie. Ma stia tranquillo, non nominerò la nave d’oro e cercherò di mantenere le mie richieste il più vaghe possibile.»
Grégoire Funet aveva sognato di far fortuna, diventando un archeologo sul modello di Indiana Jones, prima di essere nominato responsabile della manutenzione del patrimonio storico presso la Direction Régionale des Affaires Culturelles du Centre.
Il tempo e l’impiego sicuro avevano poi mitigato le sue brame d’avventura, lasciando il posto a un’insoddisfazione di fondo che solo il profumo del denaro pareva saper smorzare. La posizione da lui occupata gli consentiva di essere custode, per periodi relativamente lunghi, di capolavori inestimabili e la sua sete di denaro lo aveva spinto più volte ad azioni ben oltre i limiti della legalità.
Con lo sguardo ancora assonnato e l’inseparabile borsa di pelle, Funet si addentrò nell’edificio settecentesco in Rue de la Manufacture a Orléans, sede dell’ente in cui lavorava. Funet vestiva in maniera elegante, non era molto alto e la vita sedentaria gli aveva fatto accumulare almeno una quindicina di chili di troppo.
Non appena si accomodò sulla sua poltrona, davanti a una scrivania ricolma di carte, la voce della segretaria gracchiò nell’interfono.
«Una chiamata per lei, dottor Funet.»
Il funzionario sollevò il microfono. Improvvisamente l’aria assonnata scomparve e Grégoire impallidì.
«Capisco l’urgenza… Ma sarebbe meglio che lei evitasse di chiamarmi in ufficio. Terrò presente la sua richiesta e mi farò carico di avvertirla se per caso dovesse arrivarmi qualche voce all’orecchio.»
Funet posò la cornetta e il leggero tremito delle mani scomparve. Guardò l’orologio: in Giappone era pomeriggio inoltrato. Il suo «cliente» migliore aveva davvero fretta per commettere l’imprudenza di chiamarlo in ufficio. E se la fretta comportava qualche rischio addizionale, rappresentava anche la fonte di maggiori entrate per l’avida borsa del sovrintendente.
Un nuovo trillo del telefono non gli lasciò il tempo di riflettere. La voce del suo compagno di studi Henry Vittard giungeva leggermente distorta attraverso la linea cellulare.
«Hai ricevuto la mia risposta al tuo messaggio, Henry? Si trattava di caratteri cufici, ne sono assolutamente sicuro», disse Funet con tono sbrigativo: la chiamata del ricco giapponese lo aveva lasciato in uno stato di agitazione.
«Certo, e ti ringrazio, Grégoire. È proprio per questo che ti sto cercando. Ho bisogno del tuo aiuto, se ti è possibile.»
Funet aveva già concesso la sua consulenza gratuitamente, adesso aveva ben altro per la testa: la ricerca che gli aveva chiesto il magnate orientale poteva rivelarsi lunga e infruttuosa.
«Lo farei volentieri, se fosse una cosa poco impegnativa. Sai, in questi giorni, con i riassetti dei musei dopo il periodo estivo, ho molto da fare.»
«Non credo sia un impegno leggero, Grégoire: mi serve una persona esperta che gestisca una sorta di archivio e base di appoggio sulla terraferma. Vorrei anzitutto avere dettagli sulla possibilità che due relitti appartenenti a epoche diverse si sovrappongano o giacciano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro.»
«Non è un caso raro, Henry. Pochi anni fa a San Rossore, nei pressi di Pisa, sono stati individuati i resti di ben sedici navi, otto delle quali ancora in buono stato. Risalivano a secoli diversi, dal primo avanti Cristo sino alla tarda età imperiale: un salto di cinque o seicento anni, come vedi. Purtroppo, l’aiuto che posso darti finisce qui, Henry. Non ho grande esperienza in materia», rispose Funet, celando perfettamente la fretta che lo portava a sbarazzarsi delle richieste del vecchio amico. «Comunque credo che una nostra collega italiana abbia seguito gli scavi. È una mia conoscente e puoi rivolgerti a lei facendo il mio nome. Si chiama Sara Terracini. Aspetta in linea che ti do i numeri presso i quali puoi trovarla.»
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