Marco Buticchi - La nave d'oro

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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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Il giovane saraceno che Lorenzo aveva istruito al combattimento pronunciò il giuramento di rito.

«Che Dio mi sia testimone: combatterò i nemici infedeli sino a che avrò vita.»

Lorenzo ascoltò quelle parole: sapeva bene che il suo allievo prediletto non avrebbe disatteso la solenne promessa. I nemici avrebbero presto imparato a conoscere Salìm e a temerlo.

Il Muqatil guardò ancora Diletta. Gli occhi del guerriero seguirono poi la figlia che sgambettava in un angolo, accudita dalle balie. Gioì del sorriso spontaneo che le illuminava il bel viso.

Un lampo attraversò il suo sguardo: «Non sarà finita sino a che entrambi saremo in vita», ripeté dentro di sé il Muqatil. Il ricordo del volto di Hito Humarawa offuscava la serenità di quel momento.

La mano di Lorenzo strinse quella di Diletta, mentre tutti i presenti si complimentavano con il nuovo comandante della flotta.

Febbraio 2002

Sara Terracini salì sulla scala ed esaminò da una posizione più favorevole l’antico bassorilievo. Quindi estrasse il nodo di Iside in diaspro rosso dalla custodia antiurto e lo fece scivolare all’interno di una fessura a misura che si apriva nel marmo tra il pollice e l’indice socchiusi della mano destra di Iside.

«Ecco la chiave!» esclamò Sara. «Ed ecco la strada!»

Il foro che le dita della divinità componevano serrandosi aveva una forma rettangolare. La base del nodo di Iside entrò con precisione in quella che sembrava essere stata concepita come la sua sede. L’anello posto sulla sommità dell’amuleto egizio indicava, quasi a contatto con il marmo, un punto nei pressi della vetta di una delle tre cime del Gavilán.

«Verso il figlio… Verso Horus, il dio Falco», disse Sara.

«Molto bene, dottoressa Terracini. Adesso può anche scendere da lì», ordinò una voce alle loro spalle.

Yasuo Maru stava in piedi, in controluce rispetto al grande portale della chiesa. Aveva in mano una pistola e sembrava deciso a usarla.

«Abbiamo finalmente il piacere di conoscere di persona l’artefice di tutto quello che ci è capitato», gli rispose Henry, senza riuscire a celare l’odio che provava in quel momento.

«Proprio così, mio caro signor Vittard. Non siete i soli, lei e la bella Sara, ad ambire al ruolo di primi della classe. Non appena mi sono state recapitate le memorie di Lisicrate, mi sono messo al lavoro, riuscendo ad arrivare a un passo dalla conclusione. Mi mancavano però alcune informazioni delle quali ora sono in possesso grazie alla sua deliziosa compagna. Peccato che adesso dobbiate morire. Qualcuno a voi molto vicino sta cercando di distruggere quanto ho creato. Il tesoro di Didone mi sarà utile, casomai fossi costretto a ricominciare daccapo.»

Il dito della mano destra di Maru stava per premere sul grilletto, quando una voce echeggiò tra le volte della chiesa, sopra la testa di Sara.

«Fermo, Yasuo Maru, o aprirò il fuoco!»

Il Signore delle Acque puntò la pistola verso l’alto con incredibile rapidità ed esplose alcuni colpi.

Etienne Jalard aveva il braccio sinistro ancora fasciato e teneva l’arma nella destra. Il movimento repentino del giapponese lo aveva disorientato. Reagì con quell’attimo di ritardo sufficiente affinché il colpo sparato dall’avversario lo raggiungesse al petto.

Sbilanciato, l’agente del Mossad ruppe la balustra in legno del ballatoio e precipitò nel vuoto.

Maru aveva di nuovo la situazione in pugno, o almeno credeva di averla, sino a che due nuovi colpi d’arma da fuoco non risuonarono all’interno della navata.

Il piccolo e anziano sacerdote teneva con mani tremanti l’arma che era sfuggita a Jalard mentre precipitava. Maru cadde a terra ferito.

«Lo dicevo che non mi era simpatico quel giapponese», esclamò il prete. La pistola Sig-Sauer tra le sue mani aveva ancora la canna fumante.

Sara e Henry corsero verso Etienne. Perdeva sangue in abbondanza. Non sarebbe riuscito a vivere a lungo.

«Credevate forse che vi avrei abbandonato?» disse Jalard con la voce ridotta a un sussurro. «Ho preferito proteggervi senza dare nell’occhio, per non rovinare le vacanze di due piccioncini. Siete salvi, questo è importante.»

La vita stava per abbandonare l’eroico agente, ma Etienne ebbe ancora la forza di parlare: «Impacchettate Maru e consegnatelo alle autorità. Deve scontare qualche secolo nelle galere del suo paese». Poi gli occhi di Jalard si chiusero per sempre.

Henry si volse verso il luogo dove aveva visto cadere ferito Yasuo Maru, ma del Signore delle Acque non v’era traccia. Alcune gocce di sangue che portavano verso l’uscita della chiesa stavano a indicare che Maru era riuscito a fuggire.

Milano e Iku ebbero la forza di visionare soltanto uno dei numerosi filmati che ritraevano gli innaturali accoppiamenti del Signore delle Acque. Lo spettacolo di bambine ammazzate da un pazzo maniaco era troppo anche per uomini abituati ad assistere a nefandezze di ogni tipo.

«Consegnerò personalmente questa prova al giudice», disse Iku, stringendo tra le mani il CD-ROM nel quale erano stati copiati i filmati. «Credo che non ci saranno problemi a emettere un mandato di cattura per sevizie, abusi su minori e omicidio.»

«Bene!» esclamò Bruno Milano. «Penso sia tempo che anch’io prenda una boccata d’aria: sono chiuso qui dentro senza dormire e senza mangiare da un paio di giorni.»

Così scesero assieme, utilizzando l’ascensore privato.

Una volta in strada, Iku stava per dirigersi verso l’auto con i lampeggianti accesi che lo aspettava, ma si fermò un attimo, tese la mano a Bruno Milano e disse poche e sentite parole: «Grazie, Milano san. Se non fosse stato per lei, un delinquente avrebbe infangato il nome del mio paese per chissà ancora quanto tempo».

Milano ricambiò la stretta e sorrise: quella versione orientale del tenente Colombo intento a risolvere un nuovo caso aveva suscitato in lui simpatia e stima.

I due si separarono.

I pensieri del maggiore del Mossad corsero alla bella Kuniko Sagashi. L’agente uccisa era stata vendicata: con un’accusa di pedofilia e omicidio, nemmeno un potente come Maru sarebbe riuscito a evitare il carcere. E la giustizia lo avrebbe rincorso ovunque, sino a che non lo avessero catturato. Il suo compito poteva considerarsi finito.

Aoyama-Dori brulicava di gente: persone che correvano indaffarate senza sapere quali pericoli si potessero celare dietro le brame di uomini di potere con pochi scrupoli. «Meglio così», pensò Milano, mentre il suo sguardo si posava distrattamente su una signora che procedeva in maniera impacciata su tacchi troppo alti.

Nell’attimo in cui la donna arrivò al suo fianco, parve inciampare. Le forti braccia del maggiore del Mossad la sorressero. I due erano molto vicini, quando Taka, travestito da donna, sorrise con lo sguardo pieno di lucida follia.

«Hai dimenticato un ultimo bacio, Milano», disse il segretario di Maru, sfilando con i denti la sicura di una bomba a mano e lasciando scivolare l’ordigno tra i loro corpi.

Bruno Milano ebbe soltanto il tempo di pensare che non sarebbe riuscito a fuggire. Le sue braccia allora strinsero Taka: i loro stessi corpi avrebbero almeno ridotto l’onda d’urto della bomba, evitando una strage di innocenti.

L’occidentale, abbracciato a quella donna vestita in maniera appariscente, saltò in aria avvolto da una vampa di fuoco. Poi, nella strada più elegante di Tokyo, il terrore e la disperazione recitarono la loro macabra parte.

«La prego, ispettore, mi stia ad ascoltare», disse Sara Terracini, rivolta al funzionario di polizia spagnolo con un tono che certo non somigliava a una supplica. «Risponderò a ogni sua domanda, ma prima dobbiamo raggiungere le cime del Gavilán. E una questione di estrema importanza.»

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