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Marco Buticchi: La nave d'oro

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  • Название:
    La nave d'oro
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2003
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1850-9
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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La nave d'oro: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel XIV secolo, in uno scenario che vede lo scontro fra Occidente cristiano e Oriente musulmano, Hito Humarawa, un ex samurai macchiato dal disonore e troppo amante della vita per darsi la morte, si ritrova al fianco di un mercante veneziano e gli viene affidato il compito di combattere un giovane eroe con un passato da nobile cristiano. Oggi l’anziano ammiraglio Grandi ha rinvenuto nel corso di un’immersione alcuni reperti che l’hanno indotto a pensare che proprio in quel punto fosse naufragata la nave d’oro di un imperatore romano. Forse quella scoperta è l’unica scintilla che può ridare un senso alla vita di Henry Vittard, un celebre navigatore transoceanico che da poco ha perduto la moglie.

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«Credo sia tempo di abbandonare questa allegra comitiva», mormorò Sara chinandosi verso l’orecchio di Henry Vittard.

Pochi istanti più tardi i due salivano su un taxi, diretto a Calle del Aire, la strada in cui si trova la chiesa di Santa María de Gracia.

«Capisco che le lettere ESELLIUS possano far pensare al nome di Cesellio Basso, il pazzo che, secondo Lisicrate, scoprì il tesoro», disse Vittard, non appena si trovarono seduti sul sedile del taxi. «Ma se la datazione riferita dalla guida corrisponde, quella lapide risale a qualche secolo dopo la morte dei nostri protagonisti. A meno che questi non fossero dotati del dono dell’immortalità.»

«Le datazioni sono sempre una cosa non facile da determinare.»

«Sì, certo, ma è altrettanto difficile spiegare come qualcuno, in epoca neroniana, abbia raffigurato Maria Vergine con il Bambin Gesù…» aggiunse Vittard con aria scettica.

«E chi ci dice che si tratti proprio della Madonna? Spesso antiche raffigurazioni di divinità venivano ‘convertite’ al culto del momento: il meridione d’Italia è pieno di antiche rappresentazioni di divinità pagane, diventate poi santi cristiani o madonne, mentre invece, in origine, beatificavano la figura di Giove o di Minerva. La stessa gigantesca opera in bronzo rivestito d’oro raffigurante Nerone che si trovava nella Domus Aurea andò ad adornare l’accesso dell’anfiteatro Flavio. Ancor oggi lo chiamiamo Colosseo proprio per la gigantesca statua che, dopo aver subito pochi ritocchi ed essere stata trasformata nell’effigie di Apollo dio del Sole, fu collocata davanti al più famoso monumento di Roma antica.»

L’interno della chiesa era deserto. Un anziano prete recitava le sue preghiere inginocchiato sulla panca più vicina all’altare. Sara e Henry incominciarono a osservare con attenzione i muri e le numerose nicchie e altari secondari che si trovavano lungo le navate.

Il prete aveva nel frattempo abbandonato la preghiera e si era avvicinato ai due turisti.

«Posso esservi utile, signori?» domandò con quel tono di voce basso e rispettoso che si usa all’interno di un luogo sacro.

«Siamo due archeologi e stiamo cercando un’epigrafe, padre», rispose Sara. «O, meglio, stiamo cercando il completamento di un bassorilievo in marmo che abbiamo appena ammirato al museo. C’è raffigurata una Madonna con bambino.»

«Ah, quella!» esclamò il sacerdote. «Pensate che è la seconda volta in pochi giorni che sento chiedere notizie su quella lapide.»

«La seconda volta?» dissero Sara e Henry all’unisono.

«Sì, alcuni signori proprio ieri mi hanno chiesto di vedere il bassorilievo. Uno di questi era asiatico. Credo giapponese. Non ho parlato molto con loro: non mi erano simpatici», spiegò l’anziano prete, fermandosi dinanzi a una lastra di marmo di circa un metro per uno e mezzo, murata contro la parete della chiesa.

«Ecco quello che state cercando e, siccome voi mi siete più simpatici, sarò lieto di fornirvi ogni informazione circa la provenienza del bassorilievo. In tanti anni trascorsi tra queste mura ho studiato a lungo la lapide, come ogni altra cosa che si trova all’interno della mia chiesa.»

Sara e Vittard parvero attratti dal freddo marmo bianco, quasi certamente proveniente dalla lontana città ligure di Luna e capace di far loro dimenticare per qualche attimo che il pericolo non era ancora passato. Lo esaminarono con attenzione e a lungo.

Fu Sara a rompere il silenzio e e rivolgersi al sacerdote.

«È sicuro che si tratti di arte cristiana, padre?»

«Mi aspettavo questa domanda. Da quanto ho avuto modo di capire, mi sembra che lei abbia una certa dimestichezza con la materia. La mia risposta è no: non ne sono assolutamente sicuro. Lei osservi la corona che cinge il capo della Madonna: si vede bene che è stata modificata, con ogni probabilità in un momento successivo alla realizzazione. No, non si sforzi di capire che cosa c’era sotto, glielo dirò io: un trono. Quella che è diventata una preziosa corona in origine doveva essere un copricapo a forma di trono…»

Il prete fece una breve pausa e osservò i due studiosi. Sembrava volesse indurre la giovane ad arrivare da sola alla conclusione.

«Un trono», ripeté Sara frugando nella sua memoria. «Un trono…»

Ci fu un istante di silenzio. Il volto grinzoso del sacerdote era atteggiato a un bonario sorriso, quasi volesse incoraggiare lo sforzo della bella ricercatrice.

«Il trono! Il geroglifico del trono sta a indicare la dea Iside! Quella lapide potrebbe non essere di epoca cristiana, ma ben precedente: infatti vi sono rappresentati la dea Iside e suo figlio Horus!»

«Brava!» esclamò il prete. «Vedo che è giunta alle mie stesse conclusioni. Peccato che in questo mondo che va di corsa non interessino più a nessuno.»

La mente di Sara stava invece galoppando. Valutò il vantaggio che aveva nei confronti di colui che costituiva da tempo una seria minaccia: la traduzione da lei realizzata e sottratta da Funet era stata probabilmente inviata anche al loro nemico. L’unico indizio di cui il loro persecutore poteva non essere a conoscenza era costituito dall’ultimo messaggio che Lisicrate aveva voluto inviare, depistando i potenziali lettori attraverso gli accenti.

«Verso il figlio», disse Sara, avvicinandosi ancora al bassorilievo.

Il bimbo era seduto in braccio alla madre. Iside sosteneva Horus con il braccio sinistro, mentre teneva l’altro proteso. Dietro la mano destra si innalzavano tre montagne, scolpite con incredibile precisione.

«Perdoni un’altra domanda, padre», riprese il discorso Henry, dopo che lui e Sara ebbero a lungo esaminato il bambino per cercare la soluzione alle enigmatiche parole di Lisicrate. «Lei ha idea se quelle montagne così precise trovino qualche corrispondenza nella realtà?»

«Dopo aver a lungo cercato, sono giunto alla conclusione che si tratti di tre cime ben note agli escursionisti, tra le tante che circondano la nostra città. Si trovano nei pressi del fiume Taibilla e sono meglio conosciute come le cime del Gavilán. Hanno una conformazione del tutto particolare e sono state riprodotte con fedeltà pressoché assoluta, per questo sono riuscito a individuarle con relativa facilità.»

«Gavilán?» chiese Sara. «Gavilán… il falco. Horus, figlio di Iside, era il dio Falco… Verso il figlio. Tjet , il nodo di Iside, vi indicherà la strada. Tutto sembra tornare. Ha per caso una scala, padre?» domandò Sara, mentre estraeva dalla borsetta un involucro contenente il nodo di Iside in diaspro rosso facente un tempo parte del corredo da sacerdote di Lisicrate.

Tabarqa, 1342

Lorenzo di Valnure osservò la figlia che cresceva forte e sana. Le avevano dato il nome di Celeste quando ancora non aveva che pochi giorni a causa dei suoi occhi blu cobalto, intensi e vivaci.

Diletta guardò con amore il suo uomo, mentre dava inizio alla cerimonia. Quello sarebbe stato un giorno importante: Lorenzo aveva deciso di abbandonare il comando della flotta. Ciò avrebbe significato che, da quel momento in poi, sarebbe rimasto nella città e avrebbe delegato ad altri la responsabilità delle pericolose scorrerie in mare. Quegli scontri avevano ammantato di leggenda la figura del guerriero saraceno e del suo eterno contendente: un orientale abile nelle armi, al soldo della potente Repubblica di Venezia. Sebbene si fossero fronteggiati e rincorsi per anni sulle onde del Mediterraneo, nessuno dei due era mai riuscito ad avere il sopravvento sull’altro.

«So di farti contenta, Diletta», disse il Muqatil rivolgendole uno sguardo appassionato. «Ma non illuderti, non sarà finita sino a che uno tra noi due non porrà fine alla vita dell’altro.»

La sala del palazzo dell’emiro era addobbata a festa. I preziosi tappeti coprivano ogni angolo del pavimento. Salìm si inginocchiò su uno di questi, mentre il Muqatil lo investiva del comando in capo della flotta.

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