Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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«Certo», rispose immediatamente Di Bono.
«Non ci resta che tentare quest’ultima possibilità. Presto, Gerardo, andiamo nella sua cabina», concluse Silver.
Bannockburn. Scozia. 23 giugno 1314
Gli uomini di Robert the Bruce si mossero alle prime luci dell’alba e, raggiunta la postazione, posarono a terra i lunghi pali appuntiti, mimetizzandoli con foglie e sterpi.
La prima carica della cavalleria inglese sembrava un’onda inarrestabile, ma quando li ebbero a pochi passi, gli scozzesi sollevarono le punte acuminate degli schiltron.
Molti degli animali e dei Cavalieri furono trafitti, e la prima carica fu respinta senza che gli scozzesi arretrassero di un solo passo. Le successive servirono soltanto a decimare le forze inglesi.
Rinfrancati, gli scozzesi caricarono a loro volta. I rumori della battaglia divennero assordanti. Al contrario del re d’Inghilterra, quello di Scozia dava l’esempio ai suoi, spronando il cavallo contro il nemico a spada sguainata.
Ma gli inglesi erano troppo superiori numericamente, e il valore dei soldati di Robert non avrebbe mai potuto compensare la differenza.
Gli scozzesi cominciarono a indietreggiare verso le colline, mentre gli inglesi si raccoglievano per sferrare una nuova carica.
Proprio allora Bertrand de Rochebrune ordinò la carica. Portava il bianco mantello crociato sopra l’armatura lucente, come i quattrocento Cavalieri che lo seguivano. Il rumore del galoppo coprì il fragore della battaglia, facendo tremare la terra. Gli uomini di Bertrand piombarono sugli inglesi disorientati, seminando panico e morte.
Contro ogni previsione, la battaglia si volse a favore degli scozzesi. Robert the Bruce conservò il trono di Scozia e la sua terra rimase libera.
Mediterraneo meridionale. 23 luglio 1999
«Fatto!» esclamò Pat Silver con la fronte imperlata di sudore. Aveva appena finito di collegare con grande pazienza la matassa di fili colorati del cavo del televisore ad altrettanti fili che uscivano da una porta del computer portatile di Gerardo di Valnure.
«Adesso incrociate le dita e pregate che funzioni», continuò.
Quindi cominciò a digitare i comandi sulla tastiera del portatile, finché non esclamò in tono di trionfo: «Siamo nel computer centrale. Adesso vediamo se trasmette il virus anche a questo sistema periferico».
Seguì qualche momento di silenzio carico di tensione, poi Silver riprese: «I terroristi non hanno pensato ai servizi del sistema televideo di bordo. Erano probabilmente convinti che la tastiera del televisore fosse troppo debole per modificare i programmi della memoria centrale, e avevano ragione. Non potevano prevedere questo nostro collegamento volante con un computer portatile. Adesso vediamo quali difese hanno escogitato per proteggere i comandi che hanno impartito alla macchina».
E s’immerse di nuovo con la massima concentrazione nel labirinto di chip e microprocessori.
«Eccoli qui!» esclamò finalmente, indicando il video del computer portatile di Gerardo. «Ci sono tre gruppi di programmi, protetti da altrettante password. Se avessimo un programma di ricerca delle password e il tempo di farlo girare, non sarebbe difficile superare lo scudo protettivo dei terroristi, ma purtroppo non abbiamo né l’uno né l’altro.»
«E tra poco più di cinque minuti», commentò tetramente Di Bono, «la mia nave si schianterà contro Haifa.»
«Cinque minuti alla collisione, signor vice ministro», annunciò l’ufficiale della Sa’ar 5 : la traccia sul radar si stava avvicinando a grande velocità alla terraferma.
Quasi paralizzato dal senso d’impotenza, Breil cercò di farsi forza e di non rassegnarsi. Ma a questo punto soltanto un miracolo avrebbe potuto evitare il disastro.
«Quattro minuti all’impatto», scandì l’ufficiale.
Sulla corvetta regnava il silenzio più assoluto. L’impatto avrebbe costituito soltanto l’inizio della catastrofe, ma nessuno poteva sapere dopo quanto tempo sarebbero esplose le testate nucleari.
Pat Silver non riusciva a darsi per vinto. Aveva provato con una serie di parole d’ordine intuitive, in base alle poche informazioni carpite ai terroristi. Provò di nuovo, inserendo nelle tre caselle delle password la parola ‹MILLS›. Ma ancora una volta la macchina gli negò l’accesso.
Gerardo di Valnure ebbe un’illuminazione improvvisa: «Provi con ‘gassa d’amante’».
Silver inserì l’espressione nella prima casella, e la macchina rispose di nuovo che era una password non valida. Stesso risultato per la seconda casella. Angosciato, Pat provò con la terza casella, e finalmente, quasi fosse Sesamo, il computer si aprì, consentendo l’accesso ad almeno una parte dei suoi segreti.
«Adesso tocca a lei, Di Bono», esultò Pat. «Guardi lì. Il comando che abbiamo appena sbloccato è quello che controlla la rotazione dell’elica di sinistra, delle porte antincendio e delle comunicazioni. Però non so ancora quale parola d’ordine protegga il controllo della velocità, del motore di destra e delle barriere stagne.»
Di Bono non lo ascoltava già più: era corso verso la plancia.
«Un minuto all’ingresso in porto. Un minuto e venti secondi all’impatto.»
Oswald seguiva la traccia sul radar in silenzio, impugnando nervosamente il microfono della radio con cui aveva tentato più volte di mettersi in contatto con la nave, senza esito.
Attraverso un oblò della sala comando vedeva la Queen of Atlantis procedere ad alta velocità verso il porto.
In quel preciso istante accadde ciò che nessuno osava più sperare.
Quando Arthur Di Bono raggiunse la plancia, la prora della nave era a poche centinaia di metri dall’imbocco del porto.
Non potendo controllare la velocità, agì sul joystick di comando dell’elica di sinistra, invertendone il senso di marcia. La nave cominciò a vibrare in modo pauroso, rallentò la sua corsa suicida e poi, inclinandosi pericolosamente a sinistra, cominciò a virare facendo perno su se stessa.
Su un raggio di duecento metri la Queen of Atlantis invertì la rotta. Di Bono agì nuovamente sul comando dell’elica e finalmente puntò la prora verso il mare aperto, facendo esplodere un urlo di gioia agli altri tre, che lo avevano raggiunto.
Ma sulla Queen of Atlantis incombeva un’altra minaccia, ancora più terribile.
Terre dei mori. Giugno 1314
L’emiro Ibn ben Mostoufi guardava con affetto il piccolo Lorenzo, armato di una spada di legno, combattere un’immaginaria battaglia con altri bambini nel cortile del palazzo.
Il suo nipotino cresceva bene, dando un grande sollievo al dolore per la morte di Shirinaze. Aveva imparato rapidamente l’arabo, e la pelle scura non lasciava capire che nelle sue vene scorreva sangue europeo.
Lorenzo corse verso il nonno con aria stanca ma trionfante. «Ho vinto!»
L’emiro lo strinse tra le braccia con commozione. «Bravo, piccolo mio», disse, accarezzandogli la testa. «Ti chiamerò Muqatil , il Guerriero.»
Ma gli occhi bruni del bambino si riempirono di malinconia.
«Quando rivedrò mio padre, nonno? Lui sì che è un vero guerriero: ha una grande spada affilata.»
«Presto, molto presto, Muqatil. Tra qualche mese andremo a Piacenza e lo vedremo.»
Mediterraneo meridionale. 23 luglio 1999
«Siamo rfusciti a stabilire un contatto, signor vice ministro», disse l’ufficiale, e Oswald calzò immediatamente la cuffia, accostandosi il microfono alla bocca.
«Qui Arthur Di Bono, comandante della Queen of Atlantis », si sentì dire. «I terroristi hanno abbandonato la nave, e ne abbiamo ripreso da poco il controllo, anche se non completamente.»
«Qui Oswald Breil, vice ministro della Difesa di Israele. Magnifica manovra, comandante. È sicuro che i terroristi non siano più a bordo? E può rassicurarci sulla salute degli ostaggi?»
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