Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Intanto si era fatto raggiungere da due persone: il direttore del Mossad, Erma, e il capitano Bernstein, una sua vecchia conoscenza, un uomo prezioso per l’«Istituto», capace di scardinare ogni segreto di qualsiasi computer.
«Non riesco a capire che cos’abbiano in testa questi terroristi», disse l’omino. «Non c’è stata nessuna richiesta, e la nave continua a procedere al minimo verso Haifa.»
In quel momento un ufficiale della corvetta israeliana, dopo aver educatamente bussato, entrò nella sala comando.
«Chiedo scusa, signor vice ministro», spiegò mettendosi sull’attenti: «ci è appena arrivato un messaggio da uno yacht che naviga a poca distanza da noi. Il proprietario, Iosif Bykov, chiede di poter parlare con lei. Sostiene di avere informazioni di vitale importanza.»
I passeggeri avevano trascorso una prima notte insonne e angosciata. Di Bono era riuscito a ottenere dai terroristi che una piccola équipe di cuochi preparasse una prima colazione, servita con le attrezzature mobili usate per i buffet.
Il terrore serpeggiava evidente, ma il comportamento di tutti era esemplare.
Di Bono stimò che le coste israeliane non dovevano distare più di una quarantina di miglia. La Queen of Atlantis continuava a procedere a bassa forza sulla rotta per Haifa.
Lionel Goose si era trovato vicino a Sam e Debbie Ride, i due coniugi del Maryland con cui aveva cenato al tavolo del comandante. Agitatissima, la giovane signora sembrava non rendersi conto della situazione e continuava a protestare con il marito, ordinandogli in tono petulante di fare qualcosa.
«Guardi», si lamentò con Lisa Goose come una bimbetta viziata, «mi si è spiegazzato tutto il vestito. Ed è costato un occhio della testa, nientemeno che…» Ma s’interruppe di colpo, in preda al panico.
Il telefono cellulare che non aveva voluto consegnare ai dirottatori si era messo a trillare. Nel silenzio teso della sala, lo squillo risuonò come la campana di una cattedrale. Immediatamente due dei terroristi le furono addosso, strappandole la borsa e prendendo l’apparecchio.
Debbie Ride fu trascinata sul palcoscenico, dove il colonnello Mills le puntò freddamente la pistola alla tempia.
«Fermati, assassino!» gridò Lionel Goose, gettandosi verso la terribile scena e travolgendo l’uomo che dal palcoscenico puntava il fucile mitragliatore sugli ostaggi.
Il colpo della pistola di Mills partì prima che Lionel gli fosse addosso. Il cranio di Debbie Ride esplose come una zucca matura.
Ma gli altri terroristi sparsi per la sala non potevano aprire il fuoco per il timore di colpire Mills e il loro compagno.
Le mani di Goose calarono su Mills come due magli. Gli anni non gli avevano fatto dimenticare il durissimo addestramento ai tempi dei Berretti Verdi: il suo furore ne fece un’arma letale. Con un sinistro scricchiolio di ossa, il collo di Mills si piegò in una posizione innaturale.
Gli ostaggi cominciarono a tumultuare, e i terroristi esplosero alcune raffiche di mitra in aria per ristabilire la calma.
Lionel si sentì afferrare per l’avambraccio. «Presto, di qui», gli gridò il comandante Di Bono, trascinandolo lontano dai due corpi senza vita.
Buttatisi oltre le quinte, i due salirono la ripida scaletta che portava alla passerella sopra il palcoscenico, dov’erano appese le luci e le attrezzature di scena. Di Bono fece cenno a Lionel di chinarsi, spingendolo verso la porticina in fondo alla passerella. Si trovarono in un’intercapedine sopra il teatro. Gli spari si stavano rarefacendo. I terroristi erano evidentemente riusciti a ristabilire l’ordine.
«Grazie, comandante», disse Lionel con voce affannata.
«Sono io che devo ringraziarla per aver creato questo diversivo con il suo coraggio. Saremo molto più utili da liberi che da prigionieri dei terroristi.»
Guidati da Pietro Vassalle, Maggie e Gerardo avevano intanto raggiunto il ventre della nave nella zona di poppa, sul ponte più basso, quello dell’inceneritore dei rifiuti, dei contenitori di combustibile e delle acque di scarico. Erano tutti e tre armati di pistola. L’inceneritore produceva un fetore nauseabondo, ma non sembrava quasi loro vero di essere sfuggiti ai dirottatori.
«Qui non dovrebbe trovarci nessuno», disse l’ufficiale italiano. «E comunque penso che i terroristi abbiano ben altro da fare.»
Così infatti era. Non appena ristabilito l’ordine nel teatro, Hans Holoff aveva ordinato ai suoi di riprendere le operazioni secondo i piani prestabiliti. Tre uomini furono sguinzagliati in caccia dei due fuggiaschi.
Altri raggiunsero il ponte superiore, cominciando a scaricare il container depositato dal terzo elicottero. Altri ancora si portarono nella stiva numero quattordici, mettendosi ad armeggiare attorno alle cinque casse perfettamente allineate.
Di Bono e Goose si muovevano con estrema cautela, ma quando Lionel girò per primo l’angolo di un corridoio, un pugno lo colpì con violenza in piena faccia. Il comandante lo vide cadere a terra, mentre da dietro l’angolo sbucava Pat Silver in posizione di attacco.
«Accidenti», esclamò immediatamente, aiutando Lionel ad alzarsi. «Pensavo di aver a che fare con i terroristi.»
«Presto, signor Silver», tagliò corto Di Bono. «Dobbiamo cercare di metterci in contatto con la terraferma.»
«Come facciamo?» chiese Pat. «Ho provato alcuni telefoni, ma sono tutti muti. Inoltre ho visto i terroristi che portavano via dalle cabine i telefoni portatili dei passeggeri. E siamo soltanto in tre, disarmati, mentre loro sono una ventina o più, armati fino ai denti.»
«Sono convinto», replicò Di Bono, «che uno dei miei ufficiali sia sfuggito alla cattura, e penso che abbia prelevato alcune pistole dall’armeria. Credo anche di sapere dove si sta nascondendo.»
Il Blue Sapphire si accostò alla nave militare israeliana e calò uno dei due motoscafi di servizio. Iosif Bykov salì a bordo della Sa’ar 5 dallo scalandrone laterale, venendo immediatamente condotto nella sala comando. Vistosi davanti uno sgraziato omino, non poté fare a meno di dubitare che fosse in grado di padroneggiare quella drammatica situazione.
«Sono il vice ministro della Difesa di Israele», si sentì dire in un tono che fugò immediatamente ogni suo dubbio.
«Lei è dunque il famoso Oswald Breil. È un onore conoscerla. Sono Iosif Bykov. Se quanto si dice sui vostri servizi d’informazione è vero, credo sia inutile spiegarle di che cosa mi occupo.»
Oswald annuì, invitandolo a proseguire.
«Quella nave trasporta le dieci testate nucleari di un missile intercontinentale balistico SS 20», riprese Iosif in tono concitato. «Che cosa c’entri, può ben capirlo. Ma sappia che l’unica persona in grado di svelarci il piano dei terroristi è nelle mie mani. Sono pronto a consegnarvela, purché il mio ruolo in questa vicenda venga dimenticato.»
Rosslyn. 23 luglio 1999
Sara Terracini continuava a studiare le quattordici colonne, apparentemente disposte tenendo unicamente conto del peso che dovevano reggere. Era invece convinta che in quella disposizione ci fosse una logica dettata da leggi misteriose.
«‘Teca dov’è riposta una cosa preziosa’… ‘Tempio di Gerusalemme’… ‘Chiave che conduce al Tesoro’», continuava a ripetere, indicando a Toni Marradesi il punto dove le linee che congiungevano le colonne della parte orientale formavano una tripla tau , e poi facendo correre lo sguardo in altre direzioni.
Se le sue supposizioni erano esatte, tra il Tempio di Gerusalemme e Rosslyn ci doveva essere un’ulteriore analogia. Improvvisamente il suo volto s’illuminò.
«È ora di tornare in albergo», disse di botto. «Devo esaminare alcuni documenti e vedere se un certo nostro amico ha risposto al mio ultimo messaggio.»
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