Marco Buticchi - Profezia

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Profezia: краткое содержание, описание и аннотация

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Di Bono se la tolse di tasca e la gettò sul tavolo da carteggio, indicando il pannello dietro cui erano custodite le armi. In quello stesso istante Hans Holoff premette il grilletto. Gli schizzi di sangue lordarono le vetrate del ponte di comando, mentre il corpo del timoniere si accasciava al suolo senza vita.

«Non serviva più. Adesso saranno i miei uomini a condurre la nave», disse gelidamente Holoff, prendendo la chiave e aprendo l’armadietto.

Di Bono vide immediatamente che tre pistole non c’erano più.

«Adesso», gli ordinò ancora Holoff, «comunichi via radio alle autorità statunitensi e a quelle israeliane che la sua nave è in nostro possesso, e che da questo momento sarà instaurato il silenzio radio.».

Gli otto agenti addetti alla sicurezza della Queen of Atlantis erano sistemati in prossimità dell’ospedale, in una sala controllo che riceveva le immagini da un centinaio di telecamere collocate nei punti strategici della nave. Alcuni di loro, concluso il turno di guardia, stavano riposando in cabina, quando furono svegliati dal messaggio del comandante. Si precipitarono a rivestirsi. Due di loro erano invece davanti ai monitor di controllo.

Pietro Vassalle doveva allertarli il più presto possibile. La sua perfetta conoscenza della nave gli consentì di non servirsi degli ascensori per scendere verso i ponti inferiori. I passaggi erano deserti: croceristi ed equipaggio avevano già raggiunto i punti di riunione indicati dal comandante.

Gerardo di Valnure e Maggie Erriot erano invece rimasti in silenzio nel loro nascondiglio. Dalla fessura della porta videro quattro uomini armati dirigersi verso i locali degli addetti alla sicurezza, a poca distanza dal loro sgabuzzino.

Poco dopo, vedendo l’ufficiale che avanzava cautamente nel corridoio con la pistola spianata, Gerardo riconobbe subito il simpatico italiano con cui aveva conversato al tavolo del comandante. Andava nella stessa direzione dei quattro terroristi.

Gerardo aprì la porta e lo attirò nello sgabuzzino, spiegandogli a gesti il pericolo che stava correndo. In quello stesso istante risuonarono sinistri i tonfi delle mitragliette silenziate. E poco dopo i quattro uomini in tuta bianca passarono di nuovo davanti al nascondiglio.

A quel punto i tre si azzardarono a uscire, precipitandosi ai locali degli addetti alla sicurezza. Erano tutti morti. Colti di sorpresa, erano stati falciati dalle mitragliette dei terroristi.

Intanto il teatro era gremito da passeggeri e membri dell’equipaggio, che si assiepavano anche nei corridoi e nel salone del bar Dioniso. Il comandante Di Bono salì sul palcoscenico con il microfono in mano, esattamente come aveva fatto alcuni giorni prima durante la cerimonia di benvenuto. Ma questa volta l’atmosfera era del tutto diversa.

«Il colonnello Mills e i suoi uomini», disse, cercando di non far trasparire la preoccupazione, «hanno assunto con la forza il comando della nave. Vi invito ad attenervi scrupolosamente a ogni loro ordine per evitare inutili spargimenti di sangue.»

Il panico cominciò a serpeggiare tra i passeggeri. Alcune donne urlarono, ma i colpi esplosi in aria da uno degli uomini in tuta bianca ristabilirono immediatamente un ordine carico di apprensione. Il sedicente colonnello Mills strappò il microfono dalle mani del comandante, intimando in modo perentorio: «Se non si verificheranno incidenti, non dovrete rimanere chiusi qui dentro per più di ventiquattro ore. Non tentate gesti estremi. Sarebbero stupidi e, soprattutto, inutili. I miei uomini hanno l’ordine di uccidere a vista».

In quello stesso istante, nei punti strategici del teatro e del bar comparve una decina di uomini in tuta bianca con le armi spianate.

«Tra non molto saremo vicini alla costa israeliana. Le comunicazioni con la terraferma sono rigorosamente vietate, per cui vi ordino di consegnare immediatamente telefoni cellulari e apparecchi radio ai miei uomini. Le linee interne della nave sono già state disattivate. Attenetevi a questi ordini, e non vi succederà niente.»

Molti passeggeri e membri dell’equipaggio si avviarono nella direzione indicata da Mills, e il tavolo presidiato da uno dei terroristi in tuta bianca si coprì di telefoni cellulari e apparecchi radio portatili.

Poco dopo altri terroristi si aggiunsero al gruppo iniziale. Erano quelli che avevano perquisito a fondo la nave.

«Sono tutti qui, colonnello», disse uno di loro. «Il resto della nave è deserto. Agli uomini della sicurezza è stato provveduto secondo gli ordini.»

La nave passeggeri più grande del mondo si era trasformata in un lager in viaggio verso la morte.

Roslin. 23 luglio 1999

L’accoglienza riservata al gruppo di studiosi dal sovrintendente della Cappella di Rosslyn fu cortese.

«Influenti funzionari del nostro governo mi hanno esortato a fornirvi la massima collaborazione, e sono lieto di farlo.

«Consentitemi dunque di accompagnarvi in un primo sopralluogo. Quando vi sarete orientati» potrete operare fuori del normale orario di visita, anche se ovviamente non vi è consentito manomettere in alcun modo le strutture, né prelevare campioni o eseguire analisi che possano in qualsiasi modo danneggiare il sito. A questo proposito è tassativo che lasciate la porta della Cappella aperta, per un eventuale nostro controllo.»

La struttura principale era protetta da un tetto in lamiera e da un percorso in ferrotubi che consentiva di esaminare anche le sculture e i fregi nella parte alta della Cappella.

Il sovrintendente fu prodigo d’informazioni storiche, ma non sfiorò uno solo dei dubbi che la singolare costruzione poteva far sorgere. Sara finse educatamente la massima attenzione, ma sia lei sia Toni sapevano già a memoria quanto andava spiegando.

«William St Clair, terzo e ultimo principe di Orkney, cominciò la costruzione della Cappella di Rosslyn nel 1446, e alla sua morte, avvenuta nel 1484, fu tumulato nella parte occidentale della struttura, che non venne praticamente mai completata», disse il sovrintendente.

«Tra il 1589 e il 1590, però», continuò, «la Cappella fu duramente censurata dalle autorità ecclesiastiche, che la definirono ‘edificio e monumento d’idolatria, in nessun modo adeguato per insegnarvi la Parola e amministrarvi i Sacramenti’. Oliver St Clair, discendente di William, fu più volte invitato a demolire gli altari, e nel 1592 fu convocato presso l’Assemblea Generale, che lo minacciò di scomunica se non avesse prontamente provveduto. La demolizione venne certificata il 31 agosto di quell’anno, e da allora Rosslyn andò progressivamente in rovina. Comunque, tra alterne vicende, è sopravvissuta fino ai nostri giorni, e purtroppo c’è chi si ostina a voler scoprire misteriosi simbolismi celati nelle raffigurazioni statuarie e nella stessa architettura.»

La visita durò poco meno di cinquanta minuti, dopo di che i quattro visitatori si congedarono dal cortese sovrintendente, ringraziandolo e dicendogli che avrebbero cominciato le loro ricerche quella sera stessa.

Si stavano inoltrando nelle anguste vie di Roslin, quando Toni diede di gomito a Sara, indicandole la prima pagina di un giornale in un’edicola.

«Dirottata la Queen of Atlantis », vi si leggeva a caratteri cubitali. «Quasi cinquemila persone nelle mani dei terroristi.»

Si precipitarono ad acquistarne due copie. Un uomo, fermo davanti a un portoncino sull’altro lato della viuzza, si frugò nelle tasche in cerca della chiave fin quando non li vide allontanarsi ed entrare nel loro albergo. Disinteressatosi di chiave e portoncino, entrò in un pub, sedendosi davanti a una vetrinetta da cui poteva tenere d’occhio precisamente quell’albergo.

Mediterraneo meridionale. 23 luglio 1999

L’ordine impartito da Oswald Breil al comandante della Sa’ar 5 era di tenersi sulla scia della Queen of Atlantis , senza però rendersi visibile.

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