Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Attivò il segnalatore satellitare. I suoi uomini avrebbero dovuto recuperarlo nel giro di un’ora.
«Purtroppo», disse Annie Ferguson al dottor Redjia, «non posso eseguire né un isolamento virale in coltura cellulare, né test Elisa o Western Blot o d’immunofluorescenza che possano confermare con assoluta certezza la diagnosi di un virus Eboia o Marburg. Anche se i sintomi sembrano evidenti, ho ancora qualche dubbio che si tratti davvero di un filovirus.»
«Per esempio, dottoressa?» chiese il medico.
«La febbre, che nel cuoco filippino è stata riscontrata diverse ore dopo la comparsa dei sintomi, mentre negli altri tre ricoverati non si sono ancora rilevate temperature fuori della norma. Nelle infezioni virali che sospettiamo compare una febbre altissima come primo sintomo, e non come estrema conseguenza di emorragie e infezioni.»
«A quali conclusioni sarebbe giunta?»
«Senza i miei strumenti di laboratorio non posso azzardarne. Comunque, analizzando i soli effetti neurotossicologici, mi sembra che potremmo trovarci di fronte a un avvelenamento piuttosto che al virus Eboia.»
«Di qualsiasi cosa si tratti, stiamo per scoprirlo: il comandante mi ha appena informato che una squadra dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sta per raggiungere la nave con tre elicotteri. La loro attrezzatura ci consentirà la certezza. Terremo fra poco la prima riunione con loro: dovrebbero atterrare tra una decina di minuti.» E Redjia si alzò, sfilandosi il camice e indossando la giacca della divisa.
Uscirono assieme, e Redjia si diresse immediatamente alla riunione.
Annie, invece, andò verso il ponte. Aveva bisogno di una boccata d’aria fresca. Appoggiatasi al parapetto, si strinse le tempie fra le mani. C’era qualcosa che non la convinceva, e, se non fosse stato per la limitata attrezzatura della Queen of Atlantis , ne sarebbe sicuramente venuta a capo.
Sentì una mano su una spalla e si voltò.
«Abbiamo bisogno di te», le disse Maggie in tono agitato. Con lei c’era il nobile italiano che le aveva presentato all’inizio della crociera.
I tre elicotteri si avvicinarono alla nave in formazione. All’ultimo era appeso un container metallico, assicurato con solidi cavi di acciaio.
Le operazioni di avvicinamento alla piattaforma di atterraggio, esattamente sopra la plancia comando, furono ostacolate da un leggero vento al traverso. I primi due elicotteri si rialzarono non appena ebbero terminato di scaricare. Come nella sequenza di un film di fantascienza, ne erano smontati alcuni uomini in tuta stagna bianca, con un cappuccio dall’ampia visiera trasparente.
A differenza degli altri due, il terzo elicottero non atterrò, limitandosi a depositare il container metallico nel quale evidentemente c’era il materiale per quel tipo di emergenza.
L’ufficiale addetto ai servizi accompagnò immediatamente la task-force sanitaria dal comandante.
Intanto, nella camera operatoria attrezzata a laboratorio, Annie aveva prelevato un campione da una pagina dell’agenda datale da Gerardo di Valnure e l’aveva esaminato al microscopio convenzionale che aveva a disposizione.
Era rimasta diversi minuti con l’occhio incollato allo strumento, staccandolo di quando in quando dall’oculare per consultare alcuni libri.
Ma finalmente si rialzò con un’espressione di trionfo e lasciò precipitosamente il laboratorio. Il dottor Redjia doveva essere ancora nell’ufficio del comandante con gli uomini dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Doveva avvertirli subito di ciò che aveva scoperto.
Il responsabile della task-force entrò nell’ufficio del comandante con due dei suoi, senza che si fossero mai tolti la tuta stagna. Tesa la mano guantata a Di Bono, si presentò come colonnello medico Mills.
Il dottor Redjia aveva preparato una relazione esauriente sui casi osservati, ma con suo stupore Mills non la degnò neppure di uno sguardo, rivolgendosi nuovamente a Di Bono in tono perentorio.
«Da questo momento assumo il comando della nave, comandante», disse con una voce che uscì distorta e metallica dai filtri per la respirazione inseriti nel cappuccio.
«Mi scusi, colonnello, ma le leggi internazionali non prevedono questa eventualità, a meno che io stesso non presenti sintomi di…»
Mills infilò la destra nella grossa borsa portadocumenti che aveva con sé, e i due pensarono che ne volesse estrarre un verbale di sequestro della nave, o qualcosa che legittimasse la sua intenzione.
Quando invece la destra del colonnello Mills ricomparve, stringeva una mitraglietta Skorpion.
«Assumo il comando della nave con i miei uomini, Di Bono», ripeté in tono minaccioso.
Annie non attese che dall’interno della stanza arrivasse una risposta: ciò che aveva scoperto era troppo importante per non comunicarlo immediatamente al comandante, al medico di bordo e al personale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità appena sbarcato.
Quando fu entrata, non si accorse che gli uomini in tuta stagna avevano nascosto precipitosamente qualcosa dietro la schiena, attribuendo alla sua improvvisa intrusione il tono d’imbarazzo che regnava nella stanza.
«Chiedo scusa se interrompo la vostra riunione», si precipitò a dire, «ma ho scoperto una cosa che modifica radicalmente la prassi da seguire. Non si tratta di filovirus né di epidemia, ma di un veleno che provoca intossicazione e spesso morte con sintomi simili a quelli dei virus Eboia e Marburg.
«È un veleno che viene usato anche in anestesiologia e proviene da un serpente molto comune in Birmania e Laos: la vipera di Russell. Qualcuno lo ha iniettato nel morto e nei tre malati con una siringa, o con chissà quale altro sistema.
«Dobbiamo quindi cercare un omicida, non un agente virale.»
E Annie stava per esibire l’agenda di Gerardo di Valnure, quando uno degli uomini in tuta bianca la interruppe.
«Brava», esclamò la voce del colonnello Mills, senza che la sonorità metallica riuscisse a nascondere il tono ironico.
Soltanto allora Annie si accorse delle armi che la tenevano sotto tiro.
«Che cosa succede? Non capisco…» mormorò.
«Pare che questi signori non siano ciò che credevamo, signorina Ferguson», le spiegò il comandante Di Bono in tono di assoluta calma. «Sono semplicemente criminali che vogliono impadronirsi della mia nave.»
Gerardo e Maggie avevano atteso fuori dell’improvvisato laboratorio che Annie ricomparisse con l’esito delle sue analisi.
Poi l’avevano vista uscire di corsa con un’espressione di trionfo. Dopo aver semplicemente spiegato che non c’era nessun pericolo di epidemia, era corsa via dicendo che doveva immediatamente riferire la notizia al comandante, al medico di bordo e agli uomini dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Quindi erano tornati sui ponti superiori ad aspettare che Annie li raggiungesse e desse loro qualche altra spiegazione.
Erano circa a metà del corridoio per gli ascensori, quando da dietro un angolo sentirono arrivare le voci di due uomini che parlavano in russo.
«Che cosa ne debbo fare dei malati?» chiese uno di essi.
«La dose di veleno che ho loro iniettato non lascia scampo, ma è inutile perdere tempo. Falli fuori», rispose l’altro in tono gelido.
Con un trasalimento, a Gerardo parve di riconoscere la voce di Holoff. Senza dire niente, prese Maggie per un braccio e la tirò con sé in uno sgabuzzino usato dal personale.
Quando i due uomini ebbero svoltato l’angolo del corridoio, li vide attraverso uno spiraglio della porta: uno indossava la tuta stagna bianca della task-force, l’altro invece era Holoff.
L’uomo in tuta bianca entrò nell’ospedale, e pochi istanti più tardi i colpi di una mitraglietta, pur attutiti dal silenziatore, arrivarono fino al ripostiglio.
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