Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Vedendo le effusioni di due giovani a pochi passi da lui sul ponte, probabilmente sposini in viaggio di nozze, fu preso da un’intensa malinconia. Come sarebbe stata diversa la sua vita se Nadja fosse rimasta al suo fianco.
Non si era mai posto il problema di come venissero utilizzate le armi che lui vendeva a chiunque potesse pagarle. Ma il pensiero di Nadja, il ricordo della sua fresca e pulita onestà, lo spinse per la prima volta a chiedersi che cosa potesse mai farsene delle dieci testate nucleari quell’ignoto cliente.
La spiegazione datagli da Fosh — che si trattava di un Paese mediorientale che voleva incrementare il suo arsenale atomico — lo aveva soltanto fatto sorridere. C’era sotto ben altro. Un simile potere di distruzione costituiva un pericolo per l’umanità intera.
Intanto, un altro inquietante e sfuggente pericolo incombeva sulla piccola umanità chiusa in quella nave.
«Chalag è addirittura peggiorato», disse al dottor Redjia uno dei collaboratori. «È anche subentrata una fortissima febbre, che assolutamente non riusciamo a far recedere. I momenti di lucidità sono sempre più rari. Non ho mai visto niente di così aggressivo.»
Isola di Santorini. Grecia. 19 luglio 1999
Attraverso la vetrata panoramica accanto al suo letto, Lionel Goose stava vedendo uno spettacolo senza uguali. La nave aveva dato fondo quasi al centro di un grandissimo cratere vulcanico invaso da un’acqua cristallina. Ringraziò Dio di avergli regalato ancora quella giornata.
La prevista escursione fu di particolare interesse: la visita ai resti di un’antica città che alcuni sostenevano essere addirittura la leggendaria Atlantide. I croceristi visitarono poi la città moderna e ridiscesero all’imbarcadero in parte a dorso di mulo e in parte con una teleferica.
Maggie dedicò tutto il suo interesse ai reperti millenari illustrati dalla guida e non incrociò mai lo sguardo di Pat. Se lo avesse fatto, sapeva che sarebbe stata costretta ad abbassare gli occhi. E non capiva perché. Non la sfiorava nemmeno l’ombra di un rimorso, eppure aveva paura di arrossire come una adolescente colta in fallo.
Be’, si disse con un sorriso amaro: come sarebbe arrossita la studentessa che era quando aveva conosciuto Pat. E da allora — decise finalmente di ammetterlo — non aveva mai smesso di amarlo.
Avevano optato tutti e cinque per la discesa al porto a dorso di mulo e risero per tutto l’impervio tragitto, gridandosi incitamenti e battute.
Raggiunto il livello del mare dopo circa quaranta minuti di perigliosa cavalcata, si meravigliarono per la severità dei controlli, cominciati ancora prima dell’imbarco sulle lance e conclusi sulla Queen of Atlantis da un’ispezione personale con il metal detector e un passaggio ai raggi X di ogni bagaglio a mano.
Arthur Di Bono pigiò tre volte sul pulsante della sirena, e i fischi di saluto echeggiarono amplificati dalle pareti del cono vulcanico.
Quindi il comandante si affrettò a raggiungere il suo ufficio, da dove chiamò il primo medico di bordo. In tanti anni di navigazione con il dottor Redjia non gli era mai capitato che gli inviasse un rapporto scritto sulle condizioni di un paziente. Anzi, aveva avuto più volte modo di constatare come il medico di origine indiana sapesse cavarsela egregiamente anche in circostanze critiche.
Se gli aveva mandato quel rapporto e poi telefonato diverse volte in tono preoccupato, doveva essere una cosa davvero grave.
Intanto Redjia stava occupandosi di Sebastian Chalag, che non aveva mai ripreso conoscenza. La febbre era altissima e nessun farmaco riusciva a debellarla. In più il paziente presentava vomito, diarrea e difficoltà respiratorie. I muscoli della mascella erano serrati in una morsa che soltanto gli strumenti medici riuscivano ad aprire.
Il telefono sulla sua scrivania squillò, e alla preoccupata richiesta del comandante rispose: «Capisco che l’incolumità dei nostri croceristi le stia a cuore, ma sta a cuore anche a me. E, ripeto, non ritengo sia opportuno sbarcare il malato, sempre ammesso che sopravviva fino a Rodi. Il nostro ospedale di bordo è sicuramente meglio equipaggiato di quelli di queste isole. Oltre a tutto, se si dovesse trattare di una malattia di origine virale — speriamo di no —, le autorità portuali non consentirebbero lo sbarco del malato per il timore di un’epidemia.»
«Le leggi della navigazione», obiettò Di Bono, «ci impongono di denunciare il caso.»
«Lo so, comandante. Ma le cause della malattia mi sono ancora ignote. Potrebbe trattarsi soltanto di un gravissimo avvelenamento alimentare, o di un altro malanno non causato da virus patogeni. Metteremmo in allarme senza un giustificato motivo tutti i porti che abbiamo toccato. D’altra parte, se si trattasse d’infezione virale epidemica, mi dispiace ammettere che il contagio potrebbe già essere iniziato. Quindi è meglio che rimanga circoscritto alla nostra nave.»
Canale d’Inghilterra. Marzo 1314
Nella zona malfamata dove si era dovuta ridurre a vivere la contessa de Serrault si poteva acquistare di tutto. Quindi, pagandole a caro prezzo con il denaro datole da Bertrand, la coraggiosa signora non aveva faticato a procurarsi due divise da sottufficiale della guardia del re e tre cavalli sellati.
Dopo di che era stato messo in atto il piano che avevano studiato con grande cura. Travestiti da guardie del re, Bertrand e Luigi erano partiti verso la costa atlantica fingendosi incaricati di scortarvi una prigioniera.
E tutto era andato benissimo. Avevano incontrato molte pattuglie di soldati, che però, vedendo le divise della guardia personale del re, li avevano lasciati proseguire senza problemi.
Arrivati a Calais, Bertrand aveva saputo che proprio quella sera sarebbe salpata una nave per la Scozia. Si precipitarono al porto.
Vi trovarono una piccola imbarcazione da carico, tozza e alta di bordo, poco più lunga di trenta passi, collegata alla terraferma da una passerella volante formata da due tavole appoggiate l’una all’altra.
«Sono un sottufficiale della guardia del re e devo scortare una prigioniera sino in Scozia», disse Bertrand dalla banchina. «Chiedo il permesso di salire a bordo per parlare con il comandante.»
Il quale comandante, un figuro a metà tra il pirata e il brigante di strada, s’infilò avidamente in tasca alcune monete d’oro, dichiarandosi molto onorato di rendere un servigio al re di Francia.
La piccola nave aveva appena raggiunto il largo, quando nel porto irruppero alcune guardie del re. E il loro capo, fatte un po’ di domande ansiose sul molo, esplose in una sequela di bestemmie.
21 luglio 1999
Quando l’ultimo dei pullman riportò al molo gli escursionisti era ormai sera. Effettuate le meticolose operazioni di controllo per il reimbarco, la Queen of Atlantis era pronta a salpare per percorrere in poco meno di venti ore le quattrocento miglia da Rodi a Haifa.
All’escursione, l’unica da quando si era imbarcato, aveva partecipato anche Iosif Bykov. Poche ore prima dell’arrivo a Rodi aveva ricevuto una telefonata dall’emissario del cliente, a cui aveva rivelato dov’erano le testate nucleari.
Adesso la sua vita era in pericolo, e per questo aveva preferito confondersi tra la carovana dei turisti. Ma sapeva che qualcuno lo avrebbe comunque tenuto sotto stretto controllo.
Tra i partecipanti all’escursione c’erano anche Gerardo di Valnure e Paola Lari. Avevano visitato la città medievale e sentito cose di grande interesse sulla storia dell’isola. Gerardo aveva preso molti appunti, ma in diverse occasioni non aveva potuto fare a meno di gettare un’occhiata di sguincio al suo vicino d’appartamento, che sembrava invece avere scarsissimo interesse per quanto spiegava la guida, limitandosi a seguire il gruppo con aria pensierosa e assente. Una persona strana.
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