Marco Buticchi - Profezia

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Profezia: краткое содержание, описание и аннотация

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Mentre scappavano, Bertrand si sfilò il saio e Luigi lo imitò. Ormai erano stati scoperti: il travestimento non sarebbe servito ad altro che a impacciarli.

«Presto, signori, di qua», sentirono gridare mentre correvano in una via stretta e buia.

Una megera in abiti logori e sudici li chiamava dall’uscio di una cadente casa di legno. I capelli le scendevano grigi e unti sulla faccia. Si precipitarono da quella parte e, non appena furono dentro, la vecchia li spinse in un antro sotto una botola di legno.

Dalla strada si sentirono arrivare lo scalpiccio dei cavalli e le voci concitate dei soldati, quindi Bertrand e Luigi udirono bussare con violenza alla porta, mentre una voce stentorea ingiungeva: «Aprite, in nome del re!»

«Hai per caso visto due fuggiaschi, due pericolosi assassini, vecchia?» chiese ancora la stessa voce, più distinta, mentre nella casa risuonavano i passi di alcuni soldati che avevano fatto irruzione con il loro comandante.

«Qui c’è soltanto una grande miseria, ufficiale e, se va bene, qualche famiglia di ratti», mentì spavaldamente la donna.

Poco dopo i soldati abbandonarono la casa, e la vecchia aprì il nascondiglio. Sebbene fosse giorno, la luce che filtrava a stento nella casa non bastava a illuminarla.

«Mi riconoscete finalmente, de Rochebrune?» chiese la donna.

«Mio Dio…» esclamò Bertrand, dopo averla scrutata attentamente. «Voi siete… siete la contessa de Serrault.»

«Proprio, sono la madre di Jean Marie, e per questa orribile colpa il re mi ha fatto privare di tutto. Ma, ditemi, che ne è di mio figlio?»

«Sta bene ed è al sicuro in Scozia presso i vostri cugini, i conti di St Clair. Mi ha detto che nessuno dei messaggeri che vi ha inviato è mai riuscito a trovarvi.»

«Oh, chi potrebbe mai trovarmi in questo laido antro?» disse amaramente la megera a cui era ridotta una delle donne un tempo più belle e influenti di Parigi. Ma il sollievo per la notizia che suo figlio stava bene era evidente. «Adesso veniamo a voi», continuò in tono pensoso. «Bisogna trovare il modo di farvi tornare in tutta fretta alla costa atlantica a cercare un imbarco per la Scozia.»

PARTE QUARTA

IL DISEGNO DEL MALE

15

Riproduzione di Bafometto Idolo infernale venerato secondo laccusa dai - фото 4
Riproduzione di Bafometto. Idolo infernale venerato, secondo l’accusa, dai Cavalieri del Tempio

Mediterraneo. 18 luglio 1999

Quella notte il dottor Redjia aveva dormito poco e male. Ma di buonora era già ugualmente nello studio adiacente all’ospedale di bordo. Lo angustiavano le condizioni di un membro dell’equipaggio. In tutta la sua carriera non aveva mai visto niente di così inquietante. I sintomi manifestati da Sebastian Chalag non corrispondevano a nessuna delle malattie che capitasse normalmente di diagnosticare. E la sua esperienza andava indubbiamente al di là del normale.

Anche quel giorno, come faceva sempre prima di un’esercitazione di abbandono nave, Arthur Di Bono riunì gli ufficiali. Conosceva troppo bene il mare per non sapere che nessuna nave poteva considerarsi totalmente sicura. Tempestività e addestramento potevano salvare migliaia di vite umane. Per questo le esercitazioni di sicurezza non venivano svolte come noiosa routine ma con grande impegno.

Verso la fine della riunione, Di Bono si rivolse al giovane ufficiale italiano addetto ai servizi, tra cui quello di sicurezza.

«Mantenga i suoi uomini in stato di allerta, signor Vassalle. Siamo sempre in zone a rischio per una nave che batte bandiera americana, e tra pochi giorni arriveremo in Israele.»

«Stiamo eseguendo controlli scrupolosi sui passeggeri a ogni imbarco, signore, e tutti i bagagli vengono passati ai raggi X. Siamo perfettamente consapevoli del pericolo di atti terroristici in queste regioni.»

I sette fischi di sirena diedero inizio all’esercitazione di abbandono nave, e tutti gli ufficiali si avviarono verso la postazione assegnata.

L’ordine impartito per altoparlante di recarsi ai punti di raccolta per l’esercitazione costrinse invece Pat Silver a lasciare il tavolo del Caribbean Poker, dove, contrariamente al giorno prima, stava perdendo. Giocava in un modo stranamente distratto.

«Che cos’hai intenzione di fare, Maggie?» chiese Timothy a sua moglie, quando altri sette fischi di sirena segnalarono che l’esercitazione era conclusa, aggiungendo senza aspettare risposta: «Nella sala cinema stanno per dare un vecchio film che mi interessa. Che cosa ne diresti di vederci tra un paio d’ore direttamente al buffet della piscina?»

Maggie annuì. Da quando si era abbandonato a quella disgustosa scena di violenza, qualsiasi cosa lo tenesse lontano da lei le dava sollievo. Da quel momento si sentiva sporca. Aveva continuamente necessità di sentirsi scorrere acqua sul corpo.

Tornò in cabina e si allungò qualche istante sul letto, giusto il tempo che la vasca per l’idromassaggio si riempisse. Poi s’immerse, ma non servì a niente: l’orribile scena vissuta con il marito non le usciva di mente.

Anche Pat Silver stava facendo una doccia. Il ponte dove aveva dovuto stare pazientemente inquadrato con gli altri passeggeri, infagottato in un ingombrante giubbotto salvagente, era caldissimo. Rimase sotto il potente getto d’acqua per diversi minuti, quando la sua attenzione fu richiamata dai rumori che venivano dal bagno confinante. Quello di Maggie.

La parete che separava i due locali, sebbene rivestita di marmo, doveva essere troppo sottile, o non abbastanza insonorizzata. Sperò che si trattasse proprio di Maggie, e la sua fantasia si mise a galoppare.

Avvoltosi nell’accappatoio bianco, uscì sul balconcino panoramico, sporgendosi a guardare un branco di delfini che giocavano con la scia della nave. Ma dopo qualche minuto un nuovo lieve rumore lo fece girare verso il terrazzino della cabina di Maggie.

La vide seduta sulla chaise longue , con il viso tra le mani. Evidentemente non si era accorta di lui. Si raschiò rumorosamente la gola, e lei allontanò di scatto le mani dagli occhi. Erano arrossati e lucidi. Stava piangendo.

«Che cosa succede, Maggie?», esclamò Pat, allarmato.

«Niente», rispose lei con voce rotta. «Ordinarie questioni di famiglia. Cose che non conosci. Beato te.»

«Nessuno e niente deve mai far piangere la mia Venere Nera. Lo proibisco», provò a scherzare lui, ma lo sfogo di Maggie lo aveva riempito di una sconosciuta voglia di sincerità.

«Ogni volta che penso a una mia possibile famiglia, mi vieni in mente tu, Maggie. Sei l’unica cosa veramente pulita che io abbia mai avuto.»

I loro sguardi s’incrociarono, e lei si sentì pervadere da un fremito. Oh, pensò in un lampo, se quelle poche parole me le avessi dette allora. Quante cose sarebbero potute andare diversamente per entrambi.

Si alzò come un automa dalla sdraio e raggiunse il divisorio da cui si sporgeva Pat. Senza dire una parola, lo prese per la nuca e lo attirò a sé, baciandolo.

Pat si sporse ancora di più e la strinse a sé. Rimasero così, abbracciati fuori del parapetto, per alcuni lunghi istanti, finché Pat non scavalcò agilmente la balaustra del suo terrazzino e, reggendosi su una sporgenza, saltò in quello di Maggie.

Si strinsero in un abbraccio quasi disperato, baciati dal sole.

«Ti ho sempre desiderato, Maggie. Sei la cosa più bella che io conosca.»

I lembi dei due accappatoi si erano scostati, e lei sentì sul ventre l’eccitazione di Pat. Le parve di fuoco. Si lasciò adagiare sulla sdraio e si aprì per accoglierlo.

Iosif Bykov aveva deciso che durante la navigazione tra Santorini e Rodi avrebbe finalmente rivelato all’emissario del cliente dov’erano le dieci testate: nei cinque involucri di frigorifero imbarcati a Venezia. Ma era sempre convinto che da allora la sua vita sarebbe stata in pericolo. Doveva quindi essere pronto a far scattare il piano che aveva predisposto, e a farlo funzionare.

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