Marco Buticchi - Profezia

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Gerardo di Valnure, però, non lo aveva seguito con grande attenzione. Era interessato a ben altro: uno spettatore solitario, seduto poche file più avanti. Non appena vide Holoff alzarsi, lasciò anche lui il teatro.

A poca distanza da loro, Derrick Grant rimase galantemente in piedi fin quando Maggie non si fu accomodata a un tavolo abbastanza defilato del Dioniso, il bar principale.

«Molto brava quella cantante», commentò.

«Davvero, proprio una voce magnifica», convenne Maggie. «Ma ho bisogno di parlarti di una cosa.»

«Sono a tua completa disposizione.»

«Se siamo su questa nave… è perché abbiamo una missione», continuò lei con aria trasognata.

«Che cosa dici, Maggie?»

«Non lo so di preciso, ma sento che la nostra presenza qui non è dovuta al caso… Abbiamo un compito molto importante.»

«Mio Dio!» esclamò Derrick, sorridendo. «E io che pensavo volessi dirmi tutta un’altra cosa.» Ma smise subito di scherzare, facendosi sollecito. «Sei tesa, Maggie. O, meglio, lo sono i rapporti con tuo marito, e sempre più. L’ho capito da un pezzo.»

«È vero. Credo che ormai il nostro matrimonio sia definitivamente andato a rotoli.»

Ma Maggie non aveva voglia di confidarsi nemmeno con il suo migliore amico. Per fortuna vide tra i frequentatori del bar Lionel Goose con la moglie.

Salutatili allegramente con la mano, li invitò: «Volete bere qualcosa con noi, signori Goose?»

A pochi tavoli di distanza, Gerardo stava sorseggiando un ottimo Margarita, facendo scorrere lo sguardo sugli arredi del salone. Sembrava avere un fortissimo interesse per la specchiera che rivestiva una delle pareti. Era l’unico modo per tenere d’occhio di nascosto Hans Holoff.

Anche Iosif Bykov era seduto a un tavolo del bar Dioniso, quando si sentì chiedere in buon russo da uno sconosciuto se poteva sedersi con lui. Riconobbe immediatamente la voce.

«Ha avuto conferma del bonifico?» gli chiese l’uomo non appena si fu seduto.

«Posso sapere con chi ho il piacere di parlare?»

«Può chiamarmi Hans. Sono la persona con cui si doveva incontrare.»

Iosif lo valutò con attenzione. Aveva un’espressione dura e minacciosa. Gli occhi erano gelidi, quelli di un uomo abituato a uccidere. Ma non gli faceva paura.

«Sì, ho ricevuto un fax dall’Institut Bancaire de Lausanne.»

«Quindi è ora che mi comunichi la collocazione della merce.»

«No. Sarò io a decidere quando farlo.»

«Le ricordo che i miei datori di lavoro sono a conoscenza di alcune cose del suo passato.»

«Non c’è bisogno che mi ricordi niente. Ricordi casomai lei che l’esatta collocazione di ciò che le interessa la conosco soltanto io.»

Gerardo di Valnure vide Holoff alzarsi con un gesto di stizza, represso, ma chiarissimo. L’altro, invece, l’uomo che aveva incontrato nel corridoio accanto alla sua porta e che poi aveva saputo essere un ricco uomo d’affari russo, rimase seduto imperturbabile.

Holoff uscì velocemente dal bar, e Gerardo pensò che sarebbe stato molto imprudente seguirlo ancora.

Sebastian Chalag era nato a Manila ventisette anni prima. Da quasi tre era imbarcato sulle navi delle Maritime Cruise Lines come aiuto-cuoco. Faceva parte di una squadra di otto addetti a preparare le decorazioni che ornavano le portate dei buffet e quasi ogni piatto dei commensali nei vari ristoranti.

Non si sentiva bene dalla notte prima, ma ci sarebbe voluto ben altro per tenere il coscienzioso filippino lontano dal suo posto di lavoro. Stava infatti passando uno straccio umido sul collo di un cigno di ghiaccio che aveva appena finito di scolpire con maestria, quando si sentì ardere nei visceri una vampata di calore. Poi gli si annebbiò la vista, e le emorragie cominciarono a devastare i suoi organi interni.

Pat Silver aveva applaudito Paola Lari, poi era sgattaiolato al casinò, a poppa dello stesso ponte del teatro. Aveva puntato distrattamente alcuni gettoni alla roulette, ma la sua attenzione era stata presto attirata dai tavoli dove i croupier distribuivano le carte ai giocatori. Pochi istanti dopo era seduto a un tavolo di Caribbean Poker, una variante del poker americano con cinquantadue carte, le cui regole mettono ancora di più in vantaggio il banco.

Al bar Dioniso, intanto, Lionel Goose aveva insistito perché le consumazioni venissero addebitate sulla sua carta di credito di bordo e poi aveva lanciato un’idea.

«Perché non andiamo a dare un’occhiata al casinò?»

Lisa Goose alzò gli occhi al cielo e spiegò a Maggie e Derrick che il marito puntava ogni sera cinque dollari sul ventitré rosso. Se vinceva, continuava.

«Ma purtroppo», concluse con un sorriso, «non è mai successo.»

Nella sala da gioco la loro attenzione fu subito attratta da un folto gruppo di passeggeri assiepato al tavolo del Caribbean Poker.

Pat Silver giocava da solo contro il croupier: tutti gli altri giocatori avevano abbandonato la partita e seguivano la sfida, che sembrava pendere in una sola direzione. Pat aveva davanti a sé diverse pile di gettoni, e la sua concentrazione sul gioco appariva evidente, almeno a giudicare dalle mani costantemente appoggiate alle tempie, sopra un paio di occhiali dalla spessa montatura nera.

«Che strano», commentò Maggie rivolta a Derrick, «non avevo mai visto Pat con gli occhiali.»

Parigi. 19 marzo 1314

Auguste d’Auberge era un personaggio che Bertrand de Rochebrune conosceva molto bene dai tempi del suo soggiorno al Tempio di Parigi. Era il crudele comandante della guardia personale di re Filippo e, a poca distanza da loro, stava impartendo ai suoi sgherri l’ordine di mantenere la calma tra i curiosi ancora assiepati di fronte al macabro scenario dove la sera prima Jacques de Molay e Geoffroy de Charney avevano esalato l’ultimo respiro.

Sia Bertrand sia Luigi tenevano il cappuccio calato sulla testa per nascondere il viso. Ma una voce tonante alle loro spalle li fece gelare.

«Voi due siete di sicuro i frati incaricati di dare gli ultimi sacramenti alle spoglie di questi eretici», disse Auguste d’Auberge, avvicinandosi con passo tracotante. Quando fu a breve distanza, però, notò il loro fisico possente e li scrutò con attenzione.

«Avete un corpo da guerrieri e non da fraticelli di campagna. Qual è il vostro convento?» chiese con tono dubbioso, portando la mano alla spada.

«Veniamo da Assisi, patria del nostro fondatore Francesco», rispose pronto Luigi, marcando il suo accento italiano. Intanto Auguste aveva estratto la spada, facendo cenno a due sgherri di avvicinarsi.

«Due buoni fraticelli d’Assisi, sicuro. Ma vorrei che il Signore mi illuminasse facendomi vedere» — e d’Auberge infilò repentinamente la punta della spada nel cappuccio di Bertrand — «le vostre pie facce.»

Sgranò istantaneamente gli occhi, esclamando in tono incredulo: «Bertrand de Rochebrune! Il traditore…» Ma le sue parole si spensero in un gorgoglio di sangue.

Il pugno di Bertrand lo aveva colpito in pieno volto con una forza tale da frantumargli l’osso del naso e fargli perdere i sensi. Nello stesso istante Luigi si era gettato sui due sgherri, cogliendoli di sorpresa. Estratto il pugnale che portava sotto il saio, ne aveva avuto ragione in pochi attimi.

Adesso però avevano il problema della fuga. Alle loro spalle scorreva la Senna e, se vi si fossero gettati, la temperatura gelida li avrebbe sicuramente uccisi in breve tempo. Davanti a loro, invece, cercando di sfondare l’argine creato dai corpi dei soldati di Filippo, ondeggiava il muro umano degli spettatori del rogo.

Si lanciarono senza esitazione da quella parte, pronti ad aprirsi un varco anche con le armi. Come per miracolo, la marea umana si aprì davanti a loro, richiudendosi subito sugli inseguitori.

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