Marco Buticchi - Profezia

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I passeggeri e tutto l’equipaggio, a esclusione del turno in plancia — annunciò la voce del comandante attraverso gli altoparlanti —, dovevano riunirsi nella sala teatro e in quella del bar principale.

Che noia questa epidemia, pensò Pat Silver, girandosi dall’altra parte nel letto. Sì, sarebbe senz’altro andato in uno dei due punti di ritrovo, ma più tardi. Adesso voleva dormire.

In quello stesso momento, dal ponte superiore del Blue Sapphire si stava alzando un elicottero a due posti. Accanto al pilota sedeva Iosif Bykov con la sua solita espressione di gelo.

16

Roslin. Marzo 1314

«Andate pure avanti, Cavalieri», disse la contessa de Serrault con voce affaticata. «Io vi raggiungerò con calma. Non voglio che il mio povero cuore ceda proprio adesso che sto per riabbracciare mio figlio. Andate, andate, e ditegli di venirmi incontro al più presto. Sono ansiosa di vederlo.»

Era un’esortazione strana da rivolgere a due Cavalieri del Tempio, il cui Ordine era stato fondato proprio per accompagnare e difendere i viandanti sulle strade pericolose dei pellegrinaggi. Ma il castello dei St Clair era ormai in vista, imponente. Bertrand e Luigi spronarono quindi i cavalli alla sua volta.

Dai torrioni del castello pendevano stendardi con lo stemma del re di Scozia, Robert the Bruce. Un leone dalla lunga coda, iscritto in un anello formato da una correggia, troneggiava sopra il portale.

Bertrand de Rochebrune chiese ad alcune persone incontrate lungo la via quale fosse il motivo di quell’aria festosa, e gli fu risposto che il re di Scozia era lì onde arruolare uomini per lo scontro con Edoardo d’Inghilterra, ormai imminente, oltre che risolutivo per l’indipendenza della Scozia.

Non appena varcarono il portale del castello, Jean Marie de Serrault fu tra i primi a correre loro incontro. Era più pallido e tremante del solito. Bertrand non gli diede il tempo di aprire bocca, dandogli subito la bellissima notizia.

«Ti abbiamo portato una sorpresa dalla Francia, amico mio», gli disse. «Tua madre è partita con noi e sta per raggiungere il castello. Ti chiede di correrle incontro.»

Pazzo di felicità, Jean Marie inforcò immediatamente un cavallo e lo spronò verso la strada per Edimburgo.

Raggiunta l’ala principale del palazzo, Bertrand e Luigi si videro venire incontro il barone St Clair.

«Fraterni amici», esclamò il nobile scozzese. «Non sapete quale gioia sia rivedervi. Per darvi il benvenuto ho interrotto una riunione con Robert the Bruce, il re di Scozia. Presto, venite, il re mi ha chiesto di condurvi da lui.»

Ebbro di felicità, Jean Marie de Serrault galoppava a spron battuto sulla strada per Edimburgo. Sua madre era l’unica persona cara che gli fosse rimasta. Aveva temuto per la sua vita: ogni messaggio che aveva tentato di farle avere non era mai arrivato a destinazione.

Da alcuni amici di Parigi aveva poi saputo che era caduta in disgrazia, e che i suoi beni erano stati requisiti da Filippo il Bello. Ma adesso sua madre era a poche miglia di distanza. I tacchi degli stivali spronarono di nuovo i fianchi del cavallo in un tratto di foresta rigogliosa.

Uscendo da una curva del sentiero, vide un fagotto in mezzo alla carreggiata. Sulle prime pensò a un mucchio di stracci. Poi capi che si trattava di un corpo, prono. Frenò bruscamente il cavallo e smontò.

Quando lo girò, non riuscì a trattenere un grido di disperazione. Era sua madre. Un fendente le aveva spaccato il cranio fin quasi alle sopracciglia.

Jean Marie si sentì gelare in tutto il corpo, e le gambe gli cedettero di schianto. Non si accorse nemmeno che dodici soldati inglesi lo avevano circondato.

Mediterraneo meridionale. 22 luglio 1999

Pietro Vassalle era imbarcato sulle navi delle Maritime Cruise Lines da sette anni. Era sempre stato con il comandante Di Bono, salendo via via di grado. Parlava l’inglese con un accento ricco d’inflessioni della regione italiana dov’era nato, la Liguria.

Quando udì il messaggio attraverso gli altoparlanti di bordo era in plancia e, mentre si chiedeva che cosa potesse mai essere successo, ricevette una telefonata del comandante.

«Dia l’ordine di fermare le macchine, signor Vassalle. Da questo momento il colonnello Mills e i suoi uomini prendono il comando della nave», si sentì dire. «Le raccomando di eseguire ogni loro ordine. Ne va della sicurezza della nave e dei passeggeri. La raggiungerò in plancia tra pochi minuti.»

Pietro Vassalle capì subito che stava succedendo qualcosa di molto grave. Prese immediatamente la chiave dell’armeria dal mazzo che portava sempre alla cintura e, entrato nella sala ufficiali, rimosse un grande quadro e la inserì nella serratura che esso nascondeva.

Le dieci Beretta bifilari 7.65 erano allineate su altrettante sagome di legno. Poco più in alto c’erano quattro fucili a pompa Winchester. Vassalle limitò la sua scelta a tre armi corte e ad alcune scatole di colpi. Quindi fece sparire i tre scalmi di legno dove erano alloggiate le pistole.

Probabilmente i suoi timori erano eccessivi, e il comportamento del comandante dovuto a un aggravarsi dell’epidemia. Ma, conoscendo bene Di Bono, sapeva che non avrebbe mai abbandonato il comando della sua nave prima che fosse affondata fino «all’albero dell’apparato radio». Era una frase che aveva imparato da suo padre, per lungo tempo comandante dei transatlantici italiani.

Maggie e Gerardo rimasero nel loro nascondiglio finché l’uomo con la tuta bianca non fu passato loro davanti una seconda volta.

«Dobbiamo rimanere nascosti, Maggie, almeno fino a quando non riusciremo a capire che cosa sta succedendo», le mormorò lui.

Appena sentito il messaggio del comandante, Lionel Goose prese disciplinatamente la moglie sottobraccio e si avviò con lei verso il luogo di riunione.

Si era messo in colonna con gli altri passeggeri, quando vide un primo uomo in tuta bianca. Si stupì non poco che un membro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità impugnasse una mitraglietta. C’era qualcosa che non andava. Pochi istanti più tardi ebbe conferma del suo sospetto.

Pat Silver fu svegliato di soprassalto dal rumore di una porta che sbatteva con violenza. Un secondo schianto lo indusse ad alzarsi e ad affacciarsi nel corridoio. Vide due uomini armati, in tuta bianca, che stavano spalancando tutte le porte, quasi volessero accertarsi che le cabine fossero state evacuate. La cosa non gli piacque per niente.

Richiuse silenziosamente la porta e rimase immobile. I rumori si facevano sempre più vicini, fra poco sarebbe toccato alla sua cabina. Attese che i due uomini fossero entrati nell’appartamento di Maggie e, quando sentì che ne uscivano di nuovo, si precipitò sul balcone e scavalcò la balaustra che lo aveva portato tra le braccia della donna che amava. Un attimo dopo i due uomini entrarono nella sua cabina, trovandola deserta.

Pietro Vassalle decise di non aspettare Di Bono in plancia, come gli era stato ordinato. Conosceva quella nave in ogni suo recesso. Non gli sarebbe stato difficile sparire finché la situazione non si fosse chiarita.

Ordinato al timoniere di fermare le macchine, lasciò la plancia e scomparve nel ventre della nave. Aveva con sé, in una borsa, due delle tre pistole e le munizioni. La terza Beretta la teneva infilata nella cintura dei pantaloni, nascosta dalla giacca.

Haifa. 22 luglio 1999

L’elicottero militare israeliano impiegò meno di mezz’ora per percorrere i novantacinque chilometri che separano Tel Aviv da Haifa. A bordo, Oswald riesaminò punto per punto le ultime, tragiche notizie. Era profondamente perplesso: non riusciva a capire le mosse del nemico.

Erma gli aveva telefonato circa due ore prima per dirgli che il Mossad aveva captato una conversazione tra il comandante della nave e una persona che si era qualificata come il responsabile dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’area mediorientale. Ma era bastata una telefonata dello stesso Erma al vero alto funzionario dell’Organizzazione, perché questi precisasse di non sapere niente della Queen of Atlantis. Né aveva avuto alcun contatto con il ministero della Sanità di Israele.

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