Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Poco fuori dal porto, la nave di Aniello fece una complicata serie di bordeggi in attesa di essere riconosciuta. All’imboccatura si vedevano chiaramente le onde frangersi contro le grosse maglie della catena, che fendeva la superficie.
Ma finalmente il rauco stridore degli argani si levò alto, avvertendoli che l’accesso al porto era consentito e la catena veniva abbassata.
Mentre la nave entrava nella stretta insenatura, Luigi di Valnure osservò incantato le mura che salivano direttamente dallo specchio circolare d’acqua. Sulla sinistra una sorta di lungo pennello di terra s’inoltrava nel mare per oltre cinquecento passi. Sopra quella sottile striscia di terreno, conclusa da una fortificazione, erano stati costruiti tredici mulini a vento.
All’estremità opposta dell’imboccatura del porto, invece, vedeva uomini e macchine edili intenti a edificare una torre di sagoma piuttosto singolare, simile a un fungo contornato da quattro torrioni.
La nave ormeggiò nei pressi dei mulini, e quasi immediatamente ebbero inizio le operazioni di sbarco delle merci. Luigi scese a terra mescolandosi alla folla e si avviò verso la città, dove entrò per la Porta di Santa Caterina tra un fitto via vai.
Per raggiungere le «case» dei Cavalieri di San Giovanni non dovette camminare molto. Capì subito che erano divise a seconda della lingua d’appartenenza. La «casa» d’Italia era quasi a metà della via che attraversava la città.
Era un edificio di pregevole fattura, a due piani, in grosse pietre vulcaniche a incastro. Sul frontale spiccava il blasone della lingua d’Italia scolpito in marmo bianco. La porta era guardata da due cavalieri armati.
«Chiedo di conferire con l’ammiraglio Corneliano de’ Scalzi», spiegò. «Ho un dispaccio per lui.»
«Chi siete?»
«Il mio nome ha poca importanza. Ditegli che gli porto un messaggio riservato di un amico.»
Fu introdotto in una sala dalle volte alte e malamente illuminata, sebbene vi ardessero alcune torce anche a quell’ora avanzata.
Attorno a un tavolo erano riuniti alcuni Cavalieri, uno dei quali gli chiese con una voce profonda, in cui alle tonalità liguri si mescolava ormai la lingua franca dei cristiani del Levante: «Chi siete, e quale messaggio recate?»
«Sono Luigi di Valnure, ma il mio nome poco importa. È invece importante che io consegni al più presto un messaggio per il quale ho navigato giorni e giorni. Posso avere l’onore di sapere con chi sto parlando?»
«Con la persona che cercate. Sono Corneliano de’ Scalzi.»
Il Cavaliere prese dalle sue mani l’astuccio di pelle e lo osservò con un’espressione che, non appena vide il sigillo, si trasformò immediatamente da distratta in seria.
«Lasciateci soli», ordinò agli altri.
Quando furono usciti, Corneliano de’ Scalzi indicò il nodo marinaro che spiccava sul sigillo.
«Rechi dunque un messaggio di Bertrand de Rochebrune?»
«Sì, signore. È una richiesta d’aiuto. Bertrand è ingiustamente perseguitato dalle forze possedute dal Maligno.»
Corneliano lesse con grande attenzione la pergamena, quindi scosse la testa.
«Accorrere in aiuto del Tempio, eh? Non è una decisione che possa prendere io. Sulla testa di Bertrand e dei suoi pende una grossa taglia di re Filippo», disse. Quindi, posato il messaggio, continuò: «Ma la vecchia amicizia che mi lega a Bertrand… Aspettatemi qui».
Dopo una lunga attesa, Luigi lo vide tornare in compagnia di un altro Cavaliere dal viso scarno e dalle tonalità ieratiche.
Sul corpetto dell’armatura spiccavano il blasone di una casata nobiliare — tre torrioni vermigli con sopra appollaiati tre merli neri — e la croce bianca in campo rosso dei Cavalieri di San Giovanni.
Il tono di deferenza con cui gli si rivolgeva l’ admiratus fece capire subito a Luigi chi fosse, prima ancora che il nuovo venuto dicesse:
«Sono il Gran Maestro Folco de Villaret, e sono lieto di accogliervi in questa nostra fortezza. Corneliano de’ Scalzi mi ha mostrato il messaggio di cui siete latore», continuò, sedendosi sullo scranno più alto e indicando agli altri due di accomodarsi.
«Abbiamo molto sofferto per le notizie riguardanti il Tempio arrivate dalla Francia. Il nostro cuore ha sanguinato per quei Cavalieri al cui fianco abbiamo vissuto tante vicissitudini. Siamo anche stati divisi da profondi contrasti, ma abbiamo sempre lottato per lo stesso fine. Non ho mai incontrato Bertrand de Rochebrune, ma ho sentito molte volte parlare di lui. Ne conosco il valore e la dedizione all’Ordine».
E il Gran Maestro degli Ospedalieri fece una lunga pausa, passandosi nervosamente le dita nella barba rada.
«Ma, accorrere in aiuto del Tempio», riprese con voce bassa ma ferma. «Ahimè, giovane amico, come possiamo? Siamo troppo lontani e stiamo vivendo anche noi tempi calamitosi. L’aver trovato una nuova sede in questa isola non significa che abbiamo raggiunto la sicurezza. D’altra parte, già da tempo ho ritenuto di lasciar cadere la proposta dello sfortunato Gran Maestro de Molay di realizzare un’unione dei nostri due Ordini onde rafforzarli di fronte alle mire dei comuni nemici: sapete bene chi intendo.
«No, giovanotto», concluse in tono amaro ma secco, alzandosi e facendo capire che l’udienza era terminata. «Riferite a Bertrand de Rochebrune che, seppure profondamente angosciati, non possiamo fare niente. Leveremo le più fervide preghiere al Signore perché protegga il Tempio.»
Mosca. 1° luglio 1999
Iosif non riusciva a dimenticare il ricatto: l’avrebbe fatta pagare cara a Fosh. Ma intanto aveva la sgradevole sensazione che le pretese del suo banchiere non sarebbero finite lì.
Aveva effettuato consegne in Bosnia, in Cecenia, nel Corno d’Africa e in Kosovo. I suoi aerei erano atterrati su impossibili piste in terra battuta per scaricare mezzi cingolati. Aveva rifornito ogni genere di guerriglia in buona parte del globo terrestre, ma non gli era mai capitato di fare una consegna su una lussuosa nave da crociera. Era un fatto perlomeno singolare, come del resto la merce richiesta.
Ciascuna delle dieci testate appena acquistate dal comandante russo aveva una capacità dirompente cinque volte maggiore di quella della bomba di Hiroshima.
Iosif si concesse un sorriso pensando a Leonid Uradov e al suo equipaggio, che in quel momento se la stavano probabilmente spassando in qualche paradiso dei Caraibi, sperperando i venti milioni di dollari che la banca svizzera aveva versato sui loro conti cifrati.
Ma bastò l’idea di banca a rendergli livido il sorriso. Gli venne in mente lo sguardo viscido di Fosh.
Neanche per un attimo pensò al suo enorme guadagno personale. Quei soldi non gli interessavano, ma sarebbero serviti per farla pagare a chi lo aveva ricattato.
New York. 3 luglio 1999
Come ogni sabato le telecamere delle quattro maggiori emittenti televisive erano state ammesse nel luogo più protetto della US Gambling Lotteries, una stanza blindata di dieci metri per dieci, senza alcuna apertura esterna oltre alla porta corazzata, il cui unico mobilio era costituito dai due enormi computer piazzati al centro e da qualche poltroncina.
Le macchine stavano immagazzinando i dati e procedendo in diretta all’estrazione dei sette numeri vincenti. L’eventuale vincitore si sarebbe aggiudicato otto milioni e duecentomila dollari.
La voce meccanica del computer cominciò a scandire i numeri estratti, che contemporaneamente apparivano in un maxischermo su una delle pareti bianche: «2… 5… 7… 11… 17… 31… 63».
La tensione era alta tra i presenti come tra i milioni di telespettatori con lo sguardo fisso sul tagliando della giocata. Nessuno poteva accorgersi che Pat Silver, in un angolo, stava digitando i numeri vincenti sulla tastiera del suo portatile.
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