Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Lionel scacciò il pensiero e si lasciò andare sul letto, guardandosi attorno compiaciuto: i pannelli in ciliegio riscaldavano l’atmosfera della stanza. Il letto king size era parallelo alla parete di vetro aperta sull’Oceano. Le luci erano distribuite con sapienza nel soffitto, anch’esso in ciliegio chiaro.
In ogni stanza c’era una tastiera simile a quella di un computer, collegata allo schermo del televisore con un sistema a raggi infrarossi. Attraverso quella meraviglia tecnologica ci si poteva connettere con un servizio centrale in grado di fornire le più disparate informazioni: si poteva far comparire sullo schermo l’estratto conto aggiornato della propria cabina, ricevere notizie sulla crociera, effettuare prenotazioni di servizi particolari.
Il bagno era vasto, interamente rivestito in marmo e dotato di doppio lavabo e doppia vasca per idromassaggio. I servizi igienici erano separati da una sottile parete, anch’essa rivestita di marmo bianco di Carrara.
Il salotto attiguo dava sul terrazzino e aveva una zona divani attorno a un tavolo, dove, nei rari casi di maltempo, veniva servita la prima colazione. Altrimenti la facevano a quello sul terrazzino, un angolo rivestito in teak a strapiombo sul mare, oltre trenta metri sotto di loro.
Lisa si stava truccando con cura. Secondo tradizione, il comandante invitava al suo tavolo i croceristi in gruppi di quattro-sei. E quella sera sarebbe toccato a loro, gli ospiti della suite Minothaurus sul ponte numero quattordici.
Come negli hotel, le cabine erano infatti contrassegnate da numeri progressivi, le cui prime cifre rappresentavano il ponte. Le trenta suite avevano invece nomi presi dalla mitologia. Ma, come negli alberghi, il rispetto di eventuali suscettibilità superstiziose aveva eliminato il numero tredici.
Arthur Di Bono rimase in plancia sin quasi all’ora di cena. In quel tratto di mare del Nord il traffico era molto intenso, e lui preferiva rimanere a fianco del nocchiere. Di notte, diceva sempre, è difficile avere la percezione precisa della velocità e delle dimensioni di una nave che si sta incrociando, nonostante tutti gli strumenti di bordo. Il mare è sconfinato, ma la collisione è sempre in agguato.
La sala comando, a forma di ellisse appuntita alle estremità e protetta da un’ampia vetrata polarizzata, era in un’ala soprelevata rispetto al ponte più alto della nave. L’antica ruota del timone aveva lasciato il posto a una cloche di tipo aeronautico, e due joystick sostituivano le scampanellanti manette di un tempo. Sui due lati del posto di guida c’erano postazioni dotate delle tecnologie più sofisticate per la navigazione. Al centro i cinque schermi radar, sulla sinistra i video collegati al computer centrale, con informazioni aggiornate in tempo reale su apparato motore, stabilizzatori e allarmi di macchina. Sulla destra un’altra serie di monitor teneva sotto controllo il funzionamento dei servizi: dal livello dell’acqua nelle piscine allo stato dell’impianto di desalinizzazione, capace di potabilizzare duemilacinquecento tonnellate di acqua al giorno.
Le due cuspidi della sala comando sporgevano di qualche metro dalle fiancate per favorire la visibilità nella manovra di accosto. «I nostri specchietti retrovisori», li definiva Di Bono. Due postazioni di guida identiche a quella centrale erano fissate su ognuna delle soprelevazioni laterali della sala comando. Venivano utilizzate alternativamente nel corso della manovra in porto, a seconda che la nave ormeggiasse sul lato di dritta o su quello di sinistra. Davanti a ogni stazione di guida una fila di monitor ripeteva le immagini delle oltre ottanta telecamere a circuito chiuso collocate nei punti strategici della nave.
L’anima computerizzata della Queen of Atlantis era in una stanza subito a ridosso della plancia, un ambiente con tasso di umidità e temperatura tenuti sotto costante controllo per non provocare danni al parallelepipedo di circa due metri per uno, per un’altezza di oltre un metro e mezzo, che costituiva il cervello della nave.
Lisa Goose aveva indossato un abito lungo di taglio italiano, acquistato proprio per la crociera. Lionel, invece, si era strizzato a forza in uno smoking fatto quasi venti anni prima. Usciti dal loro appartamento, presero uno dei quattro ascensori panoramici per scendere nella sala ristorante, sette ponti più in basso.
Il comandante Di Bono attendeva gli ospiti accanto al suo tavolo, a ridosso della parete di fondo del ristorante di prora. Oltre ai buffet nei pressi della piscina, utilizzati prevalentemente per la seconda colazione e per gli spuntini notturni, a bordo c’erano infatti due ristoranti pressoché identici, uno a prora e l’altro a poppa, capaci di ospitare gli oltre tremila passeggeri in due turni successivi.
Al tavolo del comandante, quella sera, con i coniugi Goose avrebbero pranzato il più anziano dei tre medici di bordo, il secondo ufficiale e una coppia di giovani coniugi di Baltimora.
New York. Giugno 1999
Maggie aveva preparato un’ottima cena per festeggiare il ritorno del marito, che però la piluccò distrattamente. E poco prima del dolce le chiese a bruciapelo: «Quando pensi che finirà la tua trasmissione?»
«Tra circa un mese. Faremo la solita pausa estiva.»
«Non intendevo questo», ribatté nervosamente Timothy. «Quando la smetterai, per trasferirti finalmente a Washington con me?»
«Finché lo share sarà così alto, non credo che interromperanno la trasmissione. Ancora oggi Labyrinth è uno dei talk show più seguiti.»
«D’accordo, ma chi segue il nostro matrimonio?»
«In che senso?»
«Non te ne accorgi? Viviamo di fatto separati. Per colpa del tuo maledetto Labyrinth ci vediamo soltanto nei week-end, e non sempre. Se tu vivessi a Washington con me…»
«Sarà il caso di precisare che a Washington non vivrei con te , ma aspettando te. Ci vedremmo con la stessa frequenza di adesso, con la sola differenza che passerei le giornate chiusa in casa. Al massimo potrei fare un po’ di shopping con la moglie di qualche tuo collega. Sai la noia. È un genere di vita che non fa per me.»
«Quando mi hai sposato, sapevi che assumevi degli obblighi nei miei confronti.»
«Sapevo che c’erano obblighi reciproci. Non hai comperato una donna al mercato degli schiavi, Timothy: l’hai sposata. Una donna fedele ma innamorata del suo lavoro.» I toni della discussione stavano però salendo troppo, per cui Maggie cercò di assumere un atteggiamento più pacato. «Forse non è colpa del lavoro se il nostro matrimonio è in crisi. Dipende da altro», continuò guardandolo fisso negli occhi, mentre lui manteneva la sua aria dura e scostante.
«E da che cosa?»
«Oh, accidenti, lo sai. Un figlio, Timothy. Voglio un figlio prima di diventare troppo vecchia.»
Lui la scrutò con uno sguardo mai visto prima, in cui alla freddezza si mescolava un velo di supponenza.
«E che cosa ti fa credere che io abbia intenzione di mettere al mondo un figlio negro?»
Maggie non replicò. Non c’era niente da dire: il suo matrimonio era finito.
Quando poco dopo Timothy si ritirò in camera da letto, rimase nel soggiorno. Per non scoppiare a piangere, cercò conforto nell’unico vero amico che aveva. Era tardi, ma sapeva che Derrick Grant rimaneva spesso in ufficio fino a ore impossibili. Sollevò la cornetta del telefono e compose il numero.
«Maggie! Che piacere scoprire che anche le celebrità non scordano gli amici», esclamò Derrick non appena la segretaria gli ebbe passato la comunicazione. Ma dal tono di Maggie aveva capito che qualcosa non andava: sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «Come va?» si affrettò a chiederle.
«Sono stanca, Derrick. Ho bisogno di staccare. Da tutto e da tutti.»
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