Marco Buticchi - Profezia

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Le due navi si affiancarono minacciose come due lottatori in guardia.

Bertrand vide la terza soltanto quando era ormai vicina. Esultante, la riconobbe: era quella partita con loro dalla Scozia e dispersa nella tempesta.

«Patron Magri», ordinò, «dobbiamo portare indietro con noi la nave di de Ceillac. Ne abbiamo troppo bisogno, non possiamo perderla. Comandate di evitare lo scontro.»

Ma era tardi. Le due navi avevano raggiunto il punto di non ritorno. Le due fiancate si urtarono, facendo cadere in acqua grossi frammenti di fasciame spezzati come fuscelli. Ma, obbedendo all’ordine di patron Magri, i suoi abili marinai riuscirono subito a districarsi dall’ingaggio. Le due navi rimasero vicinissime, ma libere.

«Arrendetevi, de Ceillac», gridò di nuovo Bertrand. «Non ve lo chiederò una terza volta. Dovrò ordinare alle mie navi di affondarvi.»

L’inseguimento durò alcune ore, ma finalmente le due navi di Bertrand de Rochebrune intrappolarono la terza in una baia.

Lontano da lì, i Calusa erano appostati nella vegetazione fitta attorno al villaggio dei Tequesta. Per sferrare l’attacco finale, aspettavano soltanto che gli uomini vestiti di ferro li raggiungessero. Non capivano perché non arrivassero. Inquieti ma disciplinatamente immobili, tenevano gli occhi puntati sul loro bersaglio: non temevano sorprese alle spalle. Fu invece proprio da quella parte che i Tequesta, ammaestrati da Luigi, balzarono loro addosso all’improvviso.

PARTE TERZA

LA REGINA DEGLI OCEANI

10 Helsinki Cantieri navali Kvaerner Masa Marzo 1998 Il presidente delle - фото 3

10

Helsinki. Cantieri navali Kvaerner Masa. Marzo 1998

Il presidente delle Maritime Cruise Lines, la più grande compagnia di navigazione del mondo, tagliò il nastro con i tre colori della bandiera statunitense, mentre la madrina lanciava la consueta bottiglia di champagne. Il vetro colpì la murata della nave, ma non si ruppe. Un cattivo presagio tristemente noto agli uomini di mare.

Quindi l’acqua prese ad affluire nel bacino fino a sollevare la nave dall’invaso. La poppa scivolò verso il mare aperto. I cavi che assicuravano la Queen of Atlantis a quattro rimorchiatori si tesero. La nave passeggeri più grande del mondo prese il mare con il gran pavese che sbatteva sotto un vento gelido di primavera. Le sirene delle altre navi del porto suonarono all’unisono, mentre gli idranti dei rimorchiatori gettavano immense fontane d’acqua: era il saluto del popolo dei naviganti a quella perfetta macchina tecnologica, capace di trasportare tremilaseicento passeggeri e milleduecento uomini d’equipaggio.

Poco più tardi il presidente della compagnia di navigazione entrò in una hall alta cinque piani, dove si muovevano come in altalena quattro ascensori panoramici in cristallo. Rivolto alle autorità, disse semplicemente: «Vi presento la ‘Regina di Atlantide’». Quindi alzò lo sguardo al cielo e mormorò: «Regina di un mondo leggendario. Nel nostro mondo sarai regina degli Oceani.

«La prego, comandante Di Bono, vuole illustrare la nave ai nostri ospiti?» concluse.

Arthur Di Bono aveva i capelli grigi ma portava molto bene i suoi sessantatré anni, di cui oltre trentacinque vissuti sui mari. Era il comandante più anziano ed esperto delle Maritime Cruise Lines. L’elegante divisa, tagliata su misura da un sarto di Bond Street, riusciva a dissimulare un accenno di pancia, inevitabile conseguenza dell’età. La barba bianca, ben curata, conferiva a Di Bono un aspetto bonario. Ma bastava osservare i suoi movimenti, le spalle larghe, i piedi ben piantati a terra, per capire che era un lupo di mare a cui nessuna tempesta poteva incutere timore.

La Queen of Atlantis era un grattacielo viaggiante di quattordici piani dotato di ogni comfort, con 1352 cabine passeggeri, due teatri, un centro termale e quattro piscine, di cui la più grande circondata da sabbia candida proveniente dai paradisi caraibici.

Di Bono ne passò in rassegna a una a una le caratteristiche, soffermandosi in particolare su quelle tecniche: «In pratica questo colosso da centoventimila tonnellate potrebbe essere governato da un uomo solo», disse illustrando la plancia di comando, zeppa di congegni elettronici. «Ecco il cuore della nave», aggiunse, indicando un grosso computer. «Da qui è possibile controllarne ogni funzione, dall’inceneritore dei rifiuti alle tende della sala da pranzo.»

Il comandante della Queen of Atlantis era fiero di quella che considerava una sua creatura, ma non poteva sapere quale ruolo essa avrebbe avuto di lì a qualche mese nella sua vita.

New York. Giugno 1999

La libreria in noce alle spalle di Derrick Grant, principale socio dell’ormai importante studio Grant Associates, era zeppa di testi legali.

«La ringrazio, avvocato», disse Charles Thomas, presidente delle Maritime Cruise Lines, stringendogli con calore la mano. «I suoi suggerimenti si sono rivelati come sempre preziosi. Quando avrà intenzione di prendersi un periodo di riposo, consideri le nostre navi a sua disposizione.»

Grant lo accompagnò alla porta, quindi tornò alla scrivania, allungandosi sullo schienale della poltrona ad ammirare il panorama di Manhattan fuori della grande vetrata. Sì, una vacanza, pensò. Quando? E si rimise subito al lavoro.

In quel momento la sua amica Maggie Erriot sorrideva, guardando la luce rossa della telecamera e dicendo: «Cari telespettatori, anche questa sera abbiamo cercato di risolvere un mistero. Purtroppo, però, il nostro è soltanto un tentativo, e i vostri dubbi sono gli stessi che abbiamo noi. D’altra parte, se i misteri fossero di facile soluzione, non sarebbero misteri».

Le note della sigla riempirono lo studio tra gli applausi del pubblico. Quando quest’ultimo fu sfollato, Maggie rimase ancora un po’ con i suoi collaboratori per discutere eventuali dubbi e suggerimenti. Il successo di Labyrinth era in gran parte dovuto al loro spirito di corpo.

L’autista degli studi televisivi la stava aspettando. Non appena fu montata sull’auto, Maggie diede una rapida occhiata agli indici di ascolto: erano ormai otto anni che Labyrinth continuava a soddisfare i gusti degli ascoltatori. Un successo veramente straordinario.

Posati finalmente i fogli sul sedile, la bella donna di colore accavallò le gambe e si lasciò andare contro lo schienale. Suo marito sarebbe rientrato da uno dei suoi viaggi di lavoro proprio quella sera. Si vedevano ormai di rado, e con un moto di malinconia le tornò in mente ciò che le aveva chiesto tanti anni prima il suo vecchio compagno di studi Derrick Grant: «Sei felice, Maggie?»

In quel momento avrebbe dovuto rispondere: «No».

Lei e il marito si erano praticamente separati di fatto un anno prima, quando Timothy era diventato presidente della Task Force on Terrorìsm Unconventional Warfare e si era trasferito a Washington. Le aveva proposto di andare là a vivere con lui, ma lei si era tassativamente rifiutata di lasciare New York e la sua attività. Ne era seguito uno dei loro dolorosi litigi. E Maggie aveva capito che il suo matrimonio stava per naufragare. Ma non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, forse nemmeno con sé stessa.

Pat Silver sorrise alla bella segretaria della US Gambling Lotteries, una delle tante ditte con sede a New York specializzate in gioco d’azzardo e lotterie. Indossava una tuta bianca come gli altri sette tecnici della società di software dove lavorava da due mesi, lì con lui nella sala di attesa della US Gambling Lotteries.

Dovevano rendere operativo il sistema di trasmissione, controllo e spoglio delle giocate appena installato. Un sofisticato sistema costato centinaia di milioni di dollari, che avrebbe reso più semplici, sicure e celeri le operazioni di una delle lotterie più ricche d’America. La forza della US Gambling risiedeva nella capillarità: più di centomila terminali dislocati in tutto il territorio nazionale, che convogliavano settimanalmente seicento milioni di giocate al centro operativo.

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