Marco Buticchi - Profezia

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Marradesi annuì, e lei continuò.

«Hai nominato un paese presso Edimburgo e una cappella della famiglia St Clair. Be’, devo saperne tutto il possibile.»

«Quanto tempo mi dai?»

«Gerardo di Valnure è a Roslin e ci resterà tre giorni. Ho la sensazione che potrebbe avere bisogno di noi.»

Il pullman della visita guidata svoltò in una stradina quasi al centro del paese, infilandosi tra due antiche locande. Appena oltre l’angolo comparve la cappella di Rosslyn, protetta da un tetto in lamiera. Vi si entrava attraverso un piccolo cottage zeppo di souvenir e fotografie in vendita.

L’imponente parete ovest stonava con la perfezione architettonica dell’insieme: diroccata, sembrava che i costruttori non fossero riusciti a completarla.

La guida si soffermò soltanto brevemente a descrivere i bassorilievi sui montanti del portale d’accesso, ma quanto bastava perché Gerardo vi riconoscesse le pannocchie di mais. Come poteva, l’anonimo scalpellino che le aveva scolpite con incredibile precisione, conoscere quel vegetale almeno dodici anni prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America?

Gerardo si staccò dal gruppo, fermandosi a osservare un’iscrizione in latino sopra un portale.

PIÙ FORTE DEL VINO È IL RE,
PIÙ FORTE DEL RE È UNA DONNA,
MA SU TUTTI TRIONFA LA VERITÀ.

Grazie a una e-mail speditagli dal prezioso Marradesi e ricevuta collegandosi in rete con Piacenza, Gerardo sapeva quale ne fosse la fonte: le Antichità giudaiche di Flavio Giuseppe, dove si legge che Zorobabele, trovandosi con altri due ebrei alla reggia di Dario come sua guardia del corpo, rispose con queste parole all’indovinello: «È più forte il vino, il re o una donna?»

Compiaciuto della risposta, Dario gli disse che d’ora in avanti lo avrebbe fatto sedere al suo fianco e chiamato «cugino»: gli chiedesse pure ciò che desiderava. Allora Zorobabele gli ricordò l’impegno preso quando era divenuto re: ricostruire Gerusalemme e il suo Tempio e restituire i vasi sottratti e portati a Babilonia da Nabucodonosor. Così Dario ordinò che fosse fatto.

Ecco dunque un primo indizio che rinviava al Tempio.

Quindi Gerardo contò il numero dei pilastri: erano dodici. Ma nella zona orientale della cappella c’era un’altra coppia di colonne gemelle, di più pregevole fattura: una seconda analogia con l’interno del Tempio di Gerusalemme, di cui ricordava bene la struttura.

E due colonne gemelle, denominate Jachim e Boaz, risalenti ai rituali d’iniziazione dei Templari, costituivano tuttora una componente importante nell’arredo delle sedi della massoneria, che molti consideravano un’erede dei Cavalieri del Tempio.

Il terzo indizio, gli aveva detto l’e-mail, lo avrebbe trovato sulla parete esterna. Fu infatti esaminando con attenzione quei bassorilievi che scoprì due figure: un uomo bendato, inginocchiato e coperto da una tunica, tenuto come al guinzaglio da un secondo personaggio.

Reggeva un libro, probabilmente una Bibbia o un altro testo sacro, visto che sulla copertina era scolpita una croce quasi cancellata dal tempo. L’altro invece teneva la corda stretta attorno alla sua testa. Il soggetto in secondo piano aveva la barba e capelli fluenti sulle spalle. Avvicinatosi di più, Gerardo vide ciò che cercava: la croce incisa sulla tunica del secondo personaggio. Una croce templare.

Ma dalla bolla papale Vox in Excelso , che aveva bandito l’Ordine, al completamento della cappella erano trascorsi centosessantotto anni. Ecco dunque la prova che i rituali d’iniziazione dei Cavalieri erano sopravvissuti alla loro scomparsa.

Purtroppo il tempo aveva cancellato il nodo che serrava la corda al collo dell’uomo, ma Gerardo era convinto di sapere che cosa fosse: una gassa d’amante.

Giugno 1312

Bertrand de Rochebrune porse al cugino Lorenzo di Valnure il foglio su cui aveva disegnato il motto e l’emblema di quello che sperava sarebbe stato il Nuovo Ordine. Era un disegno molto semplice: un pesce stilizzato, simbolo dei primi cristiani. Le estremità che costituivano la coda erano annodate con un nodo marinaro. Una gassa d’amante, aveva spiegato il Templare al cugino. Sotto la figura stilizzata si leggeva il motto del Nuovo Ordine: Non nobis, Domine, non nobis, sed Nomini Tuo da gloriam. Nos perituri mortem salutamus.

«Sono ormai depositario di molti segreti», disse Lorenzo. «Dalla segreta terra dove vive Luigi alla tua volontà di ricostituire l’Ordine, seppure in clandestinità. Ti chiedo pertanto di concedermi l’onore di farne parte. Accetta inoltre alcuni uomini della mia guardia, una quindicina. Ti scorteranno nel viaggio verso la Scozia.»

«L’onore di accoglierti tra i Cavalieri del Nuovo Ordine è mio. Non ho ancora pensato alla Regola, ma non appena avrò provveduto te la farò pervenire. Però devi prestare un solenne giuramento di segretezza.»

E Lorenzo di Valnure pronunciò la formula rituale del giuramento dei Templari: « Ego, Miles de Ordine Templi, promitto Domino Meo… »

Quindi aggiunse solennemente: «Farò scolpire il simbolo e il motto del nostro Ordine su una pietra, che verrà collocata nel punto più importante di ogni costruzione: la pietra d’angolo , come sta scritto nei Vangeli».

«Ti ringrazio di tutto ciò che hai fatto per me, Lorenzo. Un’intera vita non basterà per sdebitarmi.»

«Devo chiederti ancora una cosa, Bertrand. Se dovessi andare di nuovo al di là dell’Oceano, di’ a Luigi che questa è la sua casa. Sua, di sua moglie e di mio nipote.»

«Ci andrò senza dubbio: le navi e gli uomini che abbiamo lasciato là ci sono indispensabili per combattere gli usurpatori del Trono di Pietro.»

Luigi di Valnure sapeva di poter contare su ciascuno di quei guerrieri fedeli e indomiti. Ma si accingevano ad affrontare un’impresa veramente ardua. Le difese erette da de Ceillac sembravano insuperabili.

Dopo aver visto la nave scomparire in prossimità di quell’isola, vi si era spinto con la canoa, trovando conferma a ciò che pensava: era il rifugio degli ex Templari. Ne aveva valutato le difese, osservando attentamente la baia con la nave alla fonda e il minaccioso forte.

Aveva capito che un attacco in forze non avrebbe sortito il risultato che si prefiggeva. Soltanto l’azione di pochi uomini ben addestrati avrebbe potuto tentare di liberare Shirinaze.

Ricordò quanto gli aveva insegnato Bertrand de Rochebrune: «Un buon ufficiale non si limita a pianificare le fasi dell’attacco. Egli sa bene che la ricerca di vie di fuga è altrettanto importante, se non di più».

Tutto dipendeva dallo stato della nave: se gli uomini di de Ceillac avessero avuto difficoltà a manovrare, con ogni probabilità non sarebbero riusciti a raggiungere la canoa in fuga. Contare su quell’eventualità era un rischio, ma sapeva di doverlo correre se voleva salvare Shirinaze.

9

Giugno 1999

‹POSSO COMPLIMENTARMI CON SUA ECCELLENZA IL VICE MINISTRO DELLA DIFESA?› digitò Sara Terracini.

‹MI FAI FELICE›, rispose Oswald Breil.

‹HO PERÒ PAURA CHE I NUOVI IMPEGNI TI RENDERANNO INAVVICINABILE.›

‹CI SIAMO SEMPRE TENUTI IN CONTATTO, E HO SEMPRE OCCUPATO POSIZIONI DI UN CERTO RILIEVO, NO?›

‹NON SPARIRAI, VERO? PROMETTIMELO.›

‹NON CE N’È BISOGNO. ADESSO PERÒ DIMMI A CHE PUNTO SONO LE RICERCHE DEL TUO AMICO. INTERESSANO MOLTO ANCHE NOI.›

‹LO VEDRÒ TRA POCO, E FAREMO IL PUNTO DELLA SITUAZIONE.›

‹TIENIMI INFORMATO.›

‹PUOI STARNE CERTO. ANCORA AUGURI, SIGNOR MINISTRO. SHALOM!›

‹VICE MINISTRO!›

Faceva molto caldo, ma nel laboratorio di Sara umidità e temperatura erano costantemente sotto controllo, per cui Gerardo di Valnure, appena entrato, trasse un sospiro di sollievo.

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