Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Una donna stava correndo al centro del villaggio con un bimbo tra le braccia, urlando di terrore. Uno dei nemici la inseguiva brandendo una mazza. Rapido come un fulmine, Luigi gli fu addosso. Schivato un colpo, caricò con la lancia. La punta d’osso si conficcò nell’addome dell’avversario con un rumore orribile. Il Calusa strabuzzò gli occhi, poi la sua bocca si arrossò di sangue. La donna e il bambino erano salvi, e molti guerrieri Tequesta avevano visto tutto.
Appostati su un’altura poco distante, Raymond de Ceillac e i suoi seguivano gli alterni sviluppi della battaglia.
«Guardate là», gridò improvvisamente Denis. «L’uomo che guida gli indigeni. È un bianco. Non lo riconoscete?»
«Luigi di Valnure!» esclamò de Ceillac in tono di esecrazione.
«I Calusa stanno battendo in ritirata verso il fiume», disse ancora Denis con aria inquieta. «Non mi pare il caso di scendere in campo. Le sorti della battaglia mi sembrano decise.»
«Hai ragione. Torniamo alla nave. Provvederemo ai Tequesta in un altro momento.»
Luigi aveva il viso madido di sudore e il corpo lordo del suo stesso sangue, mescolato a quello dei nemici uccisi. Combatteva con tenacia, guidando con il suo esempio una schiera di guerrieri.
Quando anche l’ultimo degli assalitori fu respinto, le urla di vittoria dei Tequesta si levarono alte.
L’alba illuminò una scena di desolazione: molte capanne del villaggio erano ridotte ad ammassi di legna fumigante. Almeno cento guerrieri e duecento tra donne, vecchi e bambini giacevano a terra privi di vita.
Il vecchio Tucla raggiunse Luigi mentre si aggirava tra le rovine cercando di portare aiuto.
«Joti, il capo del villaggio, vuole parlarti», disse.
Quando entrarono nella sua capanna, videro in un angolo la donna salvata da Luigi.
«Il tuo valore», disse Joti tradotto da Tucla, «ha salvato la vita alla mia donna e a mio figlio. Da oggi non sarai più un prigioniero, ma un uomo libero, un guerriero valoroso, un amico.»
«Sono giunti in città gli emissari del re», disse la giovane guardia. «Dovete fuggire, Bertrand. E io vi aiuterò. Di notte la sorveglianza è molto allentata. Colpitemi sulla testa. Colpitemi, vi dico», ripeté concitatamente, vedendo l’espressione confusa del Cavaliere.
«Dirò che ero entrato nella cella perché sembrava che foste morto, mentre si trattava di un tranello. Insomma, siete riuscito a evadere. Vi ho portato indumenti per travestirvi, e prendete anche la mia spada, potrebbe esservi utile.»
Poco dopo Bertrand percorreva furtivamente i sotterranei del castello di Vienne. Come aveva detto il giovane, la sorveglianza era quasi nulla. Anche nel corpo di guardia, presso il ponte levatoio abbassato, i soldati sonnecchiavano.
Tenendosi rasente ai muri, Bertrand de Rochebrune riuscì a guadagnare la libertà.
Ma quale direzione prendere? Di lì a poco le guardie avrebbero dato l’allarme, e le strade sarebbero state perlustrate.
Tuttavia le ricerche sarebbero quasi sicuramente state concentrate su quelle che portavano al Portogallo o al braccio di mare tra la Francia e l’Inghilterra, Paesi dove l’Ordine non era ancora stato messo al bando.
Puntò quindi risolutamente a sud, verso l’Italia. Suo cugino Lorenzo di Valnure gli avrebbe sicuramente offerto un rifugio.
Aprile 1999
Sara Terracini non perse tempo. Non appena si fu accertata della presenza di Gerardo al castello, prese il primo treno per Piacenza. Doveva assolutamente parlare con lui faccia a faccia, lontano da orecchi indiscreti. Lo trovò ad attenderla in stazione.
«Spero di non aver guastato qualche tuo programma», gli disse, «ma avevo assolutamente bisogno di vederti.»
«Averti qui è soltanto un piacere.»
Non appena furono al castello, Sara venne subito al dunque. «È un pezzo che volevo chiederti una cosa, ma non ci sono mai riuscita. Conosci le connessioni tra la Sindone e i Templari?»
«Certo, una serie di strane coincidenze sembrerebbe collegarla a Jacques de Molay. C’è addirittura chi sostiene che l’immagine impressavi sia la sua. Dopo aver subìto nel Tempio di Parigi le stesse torture riservate a Gesù Cristo, sarebbe stato avvolto in un lenzuolo funebre e affidato alle cure di parenti del suo compagno di prigionia Geoffroy de Charney. Non era ancora morto, e il suo corpo avrebbe subito un procedimento chimico, di cui però…»
«Acidosi metabolica», lo interruppe Sara.
«Ah, vedo che conosci questa ipotesi.»
«Fino a questo punto, ma mi manca il seguito. Come si arriva da lì a Torino?»
«La prima ostensione della Sindone risale alla seconda metà del XIV secolo, nella località di Lirey. E, guarda caso, proprietaria del Santo lenzuolo era Jeanne de Charney, vedova di Geoffroy, pronipote e omonimo del Precettore di Normandia imprigionato con de Molay. La Chiesa s’interessò subito al sudario, diffidando i fedeli dal venerarlo come reliquia cristiana. Ma le sue rimostranze si placarono quando nel 1378 Jeanne de Charney, risposatasi con un membro di una famiglia potente in campo ecclesiastico, divenne zia del nuovo papa, Clemente VII. In seguito il sudario fu acquistato dai Savoia. Come mai questo interesse?»
«La Sindone sembra in qualche modo connessa con la setta del nodo. Un cordoncino rosso annodato è stato trovato nella Cappella del Guarini, a Torino, e un altro è saltato fuori dalla borsetta di Estelle Dufraisne. Soprattutto di quest’ultimo ti vorrei parlare.»
«Sono tutt’orecchi.»
«Ti scongiuro però di non dire a nessuno quello che ti dirò. Bada bene: la direttrice del museo di Akko ha preferito suicidarsi piuttosto che fornire informazioni sulla setta.»
Gerardo la guardò sbalordito, mentre lei continuava.
«Sì, ho ormai la netta convinzione che si tratti di una setta segreta, con affiliati fanatici fino al suicidio. Sei alle prese con gente pericolosa, Gerardo. Sta’ in guardia.»
«Da chi hai avuto queste informazioni?»
«Ho amici influenti in Israele, e forse un giorno ti parlerò di loro. Per adesso sappi che sono a nostra disposizione per qualsiasi necessità.»
«Il Mossad?»
«Anche, ma non soltanto.»
Si interruppero, avendo sentito che davanti al cancello si era fermata un’auto di piccola cilindrata.
Ne smontò Paola Lari, e Gerardo procedette alle presentazioni. Ma Sara rimase lì ancora poco. Preso il primo treno possibile, tornò a Roma.
Febbraio 1312
Shirinaze si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, trovandosi davanti il ghigno di Denis torto in un’espressione di scherno. «La contessa negra è desiderata dal Gran Maestro», si sentì dire.
Era il momento che attendeva con ansia da giorni, rosa dal timore che non arrivasse mai, che de Ceillac si fosse stancato di lei. Per questo momento teneva nascosto tra le vesti un pugnale affilato che la sorte benigna le aveva fatto trovare nell’alloggio del suo seviziatore.
Senza dire niente, si alzò e seguì a testa china lo scherano.
«Sai chi guidava quei selvaggi nella difesa?» le chiese de Ceillac con una luce torva nello sguardo. «Il tuo amato Luigi», continuò, con gli occhi ridotti a due fessure gonfie d’odio. «Ma la pagherà. E ti giuro che assisterai alla scena.»
Rafforzata nella sua determinazione dalla notizia che suo marito e probabilmente anche suo figlio erano vivi, Shirinaze allungò la mano verso il pugnale. Ma non riuscì a raggiungerlo.
Ne fu impedita dalla destra di de Ceillac, che le si era insinuata sotto le vesti. Forte come il ferro, la costrinse a inginocchiarsi, mentre con l’altra mano l’uomo si calava le brache. Shirinaze chiuse gli occhi. Aveva un solo pensiero: rivedere Luigi e suo figlio.
Tucla era il solo a conoscere la lingua dei bianchi quanto bastava per fungere da traduttore, quindi era costantemente al fianco di Luigi.
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