Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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«Che cosa significa? È un vero e proprio sequestro. Le autorità sapranno reagire.»
«Qui dentro, le persone più vicine alle autorità siamo noi, signora», tagliò corto il primo uomo.
L’ennesima cena elettorale stava ormai volgendo al termine. Oswald Breil interruppe la conversazione con il suo vicino di tavola e, scusatosi, si tolse di tasca il cellulare che stava ronzando con insistenza.
«L’arrosto è in forno, signor vice ministro», gli disse Erma, il capo del Mossad.
«Grazie. A presto», rispose semplicemente Oswald, chiudendo il telefonino e riprendendo la conversazione.
Dicembre 1311
«Il Concilio ha sospeso il dibattito», annunciò il giovane in tono concitato.
«Che cosa può significare?»
«Pare che, nonostante le intimidazioni, non tutti i prelati siano disposti a negare ai Cavalieri il diritto alla difesa, come vorrebbero il papa e il re», rispose la guardia. «Ma si dice anche che Clemente V aspetterebbe soltanto che le truppe di Filippo siano vicine a Vienne per proclamare ex autoritate la soppressione dell’Ordine.»
Il villaggio dei Tequesta era a poca distanza dall’estuario di un fiume che si gettava nell’oceano. Era composto di piccole capanne di tronchi, con un tetto spiovente in foglie di palma intrecciate. Soltanto quella del capo tribù era più grande, con un lato di una ventina di passi. Gli uomini erano di notevole statura, molto più alti degli europei, e coperti soltanto da un perizoma di pelle legato a una cintura sui fianchi. Le donne erano di grande bellezza, con seni prosperosi che esibivano senza vergogna.
La popolazione complessiva era di circa tremila persone, ma gli uomini validi poco più di ottocento. L’abitato era circondato da una palizzata che lo proteggeva dagli assalti dei nemici e degli animali feroci.
Ogni giorno Luigi e suo figlio potevano trascorrere un po’ di tempo fuori dalla capanna dov’erano tenuti prigionieri per sgranchirsi le gambe e avevano la possibilità di lavarsi nel fiume, sia pure sotto scorta.
«Cavaliere Luigi», risuonò improvvisa una voce tra il vivace brusio del villaggio.
Lui si girò, incontrando lo sguardo nero come la notte di un vecchio dalla pelle bruna. Lo riconobbe subito: era Tucla, un indigeno che Shirinaze aveva curato da una brutta febbre, riuscendo anche a insegnargli qualche rudimento di francese.
«Mio figlio ha riconosciuto in te l’uomo della gentile donna che mi ha salvato la vita», disse stentatamente l’anziano Tequesta. «Per questo tu e tuo figlio siete ancora vivi.»
«Ringrazio tuo figlio e te. Ma purtroppo mia moglie è prigioniera dei malvagi contro cui siete in guerra.»
«Una schiava», disse de Ceillac con un ghigno diabolico. «Sei la mia schiava. E lo sarai per tutta la vita.»
Shirinaze rimase impassibile, fissandolo con uno sguardo carico d’odio. Ma già de Ceillac si stava rivolgendo ai luogotenenti convocati nel suo alloggio.
«Non ho nessuna intenzione di finire i miei giorni in queste terre selvagge», disse. «Presto ci rimetteremo in viaggio per l’Europa, ma prima voglio che le stive della nostra nave siano ben colme di oro e argento. Torneremo a casa straordinariamente ricchi, fratelli.»
Mentre gli altri si scambiavano occhiate gonfie di avidità, Denis obiettò: «Come faremo, adesso che gli indigeni sono in guerra con noi? Ci sono venuti meno non soltanto l’accesso alle miniere, ma anche la mano d’opera per l’estrazione e il trasporto».
«Proprio di questo voglio parlarvi. Dobbiamo assoggettare di nuovo i Tequesta, a qualunque costo», ribatté de Ceillac con una luce sinistra negli occhi. «Anche se dovessimo decimarli.»
«Il rapporto è di quasi dieci a uno, e i Tequesta sono buoni combattenti», insistette Denis. «Dovremmo cercare di sfruttare la rivalità tra loro e i Calusa.»
«Ci avevo già pensato, ma non sarà facile. I Calusa ci sono sempre stati ostili.»
Aprile 1999
Oswald Breil ed Erma, protetti da un falso specchio, seguivano un interrogatorio nella sede del Mossad. La voce di Estelle Dufraisne giungeva loro nitida attraverso i due altoparlanti sui lati dello specchio.
«Che cosa sa dirci di questa setta segreta, signora Dufraisne?» chiese in tono duro uno degli agenti.
La donna rispose con altrettanta durezza: «Non appartengo a nessuna setta e protesto per questa procedura illegale».
«Avrà modo di esporre le sue rimostranze nelle debite sedi», replicò un altro degli agenti. «Intanto però vorremmo sapere che cosa sa dirci di questo.»
E le mostrò il cordoncino rosso trovato nella sua borsetta.
«È un pezzo di corda», rispose la donna senza tradire alcuna emozione.
«Temo che dovremo cambiare metodo, dottoressa.»
«Intendereste torturarmi?»
«Credo che una dose di Pentotal le schiarirà la memoria.»
I due agenti si scambiarono un cenno d’intesa e uno di loro uscì dalla stanza.
Senza che nessuno riuscisse a intervenire, la donna s’infilò qualcosa in bocca con un gesto repentino e deglutì.
La sua fronte s’imperlò subito di sudore, e il suo colorito si fece cereo.
«Non riuscirete mai a sopraffare il nostro potere», furono le sue ultime parole.
Un sole caldo illuminava la primavera; Roma si stava svegliando dal torpore invernale. Il computer di Sara fece sentire il suo scampanellio.
Quasi fosse in costante contatto telepatico con il suo minuscolo amico, la giovane digitò qualcosa nella finestra del messaggio prima ancora di aver verificato chi la stesse chiamando: ‹OSWALD?›
‹COME FACEVI A SAPERE CHE ERO IO?›
‹INTUITO FEMMINILE, CI SONO NOVITÀ?›
La risposta fu una parola sola: ‹ENCRYPT›.
Sara azionò il programma, dopo di che vide scorrere nella finestra: ‹PURTROPPO NON HO BUONE NOTIZIE, LA PEDINA CON CUI SPERAVO DI PARTECIPARE AL GIOCO SI È SACRIFICATA IN NOME DELLA CAUSA›.
‹CIOÈ?›
‹DOMANI APPARIRÀ LA NOTIZIA CHE ESTELLE DUFRAISNE, DIRETTRICE DEL MUSEO DI AKKO, È MORTA PER UN MALORE IMPROVVISO MENTRE STAVA ORGANIZZANDO UNA SPEDIZIONE ARCHEOLOGICA, IL MONDO SCIENTIFICO PIANGE LA SUA SCOMPARSA ECCETERA ECCETERA.›
‹UN’ALTRA MORTE… AGEVOLATA?›
‹NO. SI È UCCISA PER NON RIVELARCI NIENTE. L’UNICA COSA DI CUI SIAMO ENTRATI IN POSSESSO È UN CORDONCINO ROSSO IMPREZIOSITO DA UN FILAMENTO D’ORO ZECCHINO.›
Gennaio 1312
L’urlo di terrore squarciò la notte, mentre le grida degli assalitori si levavano alte. Diversi aggressori erano già riusciti a superare la palizzata e correvano per il villaggio brandendo lance e torce.
Luigi si svegliò di soprassalto, stringendo istintivamente a sé il figlio, mentre un fumo acre e denso invadeva la capanna. La torcia scagliata da un guerriero Calusa aveva incendiato le foglie di palma del tetto.
Immediatamente lucido, coprì la bocca e il naso del bimbo con una mano e si gettò in un angolo, mentre il tetto della capanna crollava. Il crollo aveva però aperto un varco nella parete di tronchi, attraverso cui si lanciò all’esterno.
Il villaggio era in preda al caos. A terra si vedevano molti corpi, in maggioranza di donne e bambini. Luigi capì che per salvare se stesso e il figlio doveva combattere.
I bagliori delle fiamme illuminavano alcune canoe tirate in secca. Adagiò Lorenzo sotto una di esse, capovolta, raccomandandogli di non muoversi per nessun motivo, quindi tornò indietro, raccogliendo una lancia posata a terra accanto al corpo senza vita di un guerriero.
Tutto attorno, smarriti, i Tequesta correvano senza ordine in ogni direzione, incapaci di organizzare una difesa.
Luigi si buttò tra i nemici con la lancia in pugno, e la sua improvvisa apparizione, se da un lato disorientò i Calusa, dall’altro sembrò infondere nuovo vigore nei guerrieri Tequesta, che serrarono finalmente i ranghi e si lanciarono all’assalto.
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