Marco Buticchi - Profezia

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«Conosco bene i suoi modi, e proprio per questo sono preoccupato. Ha istituito una sorta di giustizia sommaria, che colpisce tutti, ma soprattutto gli indigeni. Oggi ne ha fatto impiccare due, rei, secondo lui, di aver sottratto una pepita d’oro durante l’estrazione. Sta instaurando un regime di terrore. E alla fine non potrà che danneggiare la nostra pacifica convivenza con i locali.»

«Anche l’atteggiamento degli indigeni è cambiato, però. E credo di sapere perché.»

«Le donne, intendi?»

«Proprio. Al momento della partenza dall’Europa ce n’erano con noi soltanto cinque, oltre a me. Troppo poche per quasi settecento uomini, esclusi i Cavalieri del Tempio e gli ecclesiastici, votati alla castità. Era inevitabile che gli uomini si accompagnassero con le indigene, ma questo ha suscitato un malumore crescente.»

«È vero. Si dice addirittura che Raymond, violando i voti, abbia una relazione segreta con la figlia del capo del villaggio.»

Al grande tavolo sedevano Bertrand, St Clair e Jean Marie de Serrault. Le donne si erano educatamente allontanate dopo aver gustato con loro un ottimo pranzo a base di cacciagione.

St Clair era sui trent’anni e, come il cugino Jean Marie, non era di grande prestanza fisica. I capelli biondi tendenti al rosso gli davano un aspetto quasi fanciullesco. Portava una barba rada e poco curata. Dai suoi occhi traspariva però una forte energia.

«Da quella notte del 1307», disse Jean Marie, «la situazione è peggiorata sempre più, anche se i sovrani a cui Filippo IV aveva rivolto l’invito a comportarsi come lui, sono stati molto più moderati. Qui in Scozia, per esempio, l’invito è stato ignorato.

«Il giorno seguente alla cattura, Nogaret ha trasmesso i capi di accusa alla Facoltà di Teologia della Sorbona per farli esaminare da una commissione. Pochi giorni dopo ha deposto lo stesso Gran Maestro de Molay, riuscendo ad accattivarsi la benevolenza di alcuni componenti della stessa commissione di luminari. Ma il piano architettato da Filippo con Nogaret e l’Inquisitore Imbert non poteva certamente trovare un ostacolo in loro.»

«Tuttavia il papa di Roma, per il quale siamo sempre stati pronti al sacrificio…» obiettò Bertrand.

«Dal marzo del 1309, Clemente V ha stabilito la sua residenza ad Avignone, e non è che un fantoccio prigioniero del re di Francia, anche se all’inizio ha cercato di far valere la sua autorità per quanto concerne l’Ordine. Molti Templari sono stati torturati durante gli interrogatori dell’Inquisizione, e alcuni di loro hanno confessato colpe ignobili. Tanto è bastato a far prevalere le accuse di Filippo.»

«Che sarebbero?»

«Alleanza dei Cavalieri del Tempio con i saraceni per impadronirsi della Cristianità, adorazione di idoli infernali, ripudio della croce, pratiche di sodomia, magia nera e altro ancora.»

«Ma è assurdo», commentò Bertrand con un filo di voce.

«Veramente assurdo», convenne il barone St Clair, sdegnato. «Ma, sotto tortura, lo stesso Gran Maestro de Molay ha ammesso colpe ignobili.»

«È morto?»

«No, ma se le accuse verranno confermate, rischia il rogo.»

«Ha rivelato anche la mia missione?»

«Ho raccolto le confidenze dei parenti di Geoffroy de Charney, a cui è stato concesso di curare le gravi ferite di de Molay e di un congiunto imprigionato con il Gran Maestro», rispose lo scozzese. «Sembra che de Molay sia stato crocifisso, e che gli siano state inferte tutte le ferite di Gesù. I boia dell’Inquisizione sono maestri nel mantenere l’imputato cosciente sin sulla soglia della morte. Ma nessuno dei Templari prigionieri ha mai parlato di voi o dei cofani che custodiamo in questo castello.»

«Credo addirittura che il Gran Maestro abbia deciso di ammettere quelle infamanti accuse proprio per difendere il vostro segreto», intervenne Jean Marie de Serrault.

«Si è dunque davvero sacrificato per questo», mormorò Bertrand.

«È un soldato, temprato dalle sofferenze. Ma il suo sacrificio è stato premiato. Una volta ottenuta la sua confessione, i giudici dell’Inquisizione non hanno indagato sulla destinazione della vostra flotta», convenne de Serrault.

«Da quello sciagurato giorno le cose sono precipitate, e il pontefice non fa niente per salvare i Cavalieri. Anzi, sembra addirittura che due cardinali abbiano interrogato il Gran Maestro a Chinon, confermando le accuse e rinviandolo a deporre davanti a una commissione creata ad hoc per non urtare la suscettibilità del re di Francia. Ma tra il 1309 e il 1310 questa commissione si è riunita soltanto tre volte. Intanto il vescovato di Sens ha condannato a morte cinquantaquattro Templari, arsi vivi nelle vicinanze di Parigi. Nel prossimo ottobre, poi, si aprirà a Vienne il Concilio, che senza dubbio sancirà la fine dell’Ordine.»

«Dobbiamo difendere i miei confratelli da questa infamia, salvarli», esclamò Bertrand con voce rotta dall’angoscia. Quindi, ritrovata la calma, continuò: «Quanti Cavalieri ancora liberi pensate che si possano radunare?»

«Quelli rifugiati in Scozia e Portogallo sono poco più di duemila, ma non è detto che intendano unirsi tutti a voi. E comunque sono troppo pochi per fronteggiare l’esercito del re di Francia.»

«Sia come sia, non possiamo rimanere inerti di fronte a una simile ingiustizia», concluse Bertrand de Rochebrune in tono di sfida.

Roma. Un palazzo all’Eur. Febbraio 1999

Sara Terracini si stava godendo qualche attimo di relax abbandonata sullo schienale della sedia, con le lunghe gambe appoggiate al primo cassetto della scrivania. Era esausta ma soddisfatta. Il laboratorio scientifico che dirigeva, uno dei più all’avanguardia nel mondo, aveva appena finito di catalogare il carico di una nave oneraria romana, recentemente riportato in superficie. La sua non comune bellezza era appena velata dal tono affaticato. La testa reclinata all’indietro lasciava cadere i capelli corvini sulle spalle come una cascata.

Il suo attimo di tregua fu interrotto dal trillo dell’interfono. «Il signor Gerardo di Valnure chiede di poterla vedere, dottoressa», le disse la segretaria. «Ma non ha un appuntamento», continuò in tono severo.

«Lo faccia passare subito, per favore.»

Sara si diede una rapida riassettata guardandosi nello specchietto preso dalla borsetta. Studiosa o non studiosa, non scordava mai di essere una donna.

Quando il nobile piacentino apparve sulla porta, si alzò immediatamente, schiudendo il viso in un caldo sorriso e andandogli incontro con le braccia aperte.

«Che magnifica sorpresa, Gerardo. Qual buon vento?»

«Ho bisogno delle tue splendide doti di scopritrice di misteri.»

Misteri? Sara avvertì un fin troppo noto campanello d’allarme. Non sarebbe mai riuscita a godersi cinque minuti consecutivi di tranquillità?

Si vide posare davanti una scatola di polistirolo, da cui Gerardo estrasse due antichi astucci cilindrici in pelle, attraverso la cui apertura si vedevano altrettante pergamene.

«Ecco il motivo della mia visita.»

A Sara bastò un rapidissimo esame per esclamare: «Custodie di età tardo-medievale, in ottimo stato di conservazione. Però temo che non si possa dire altrettanto delle pergamene. Che cosa raffigura quel sigillo?»

«Credo che troveremo una risposta proprio nelle pergamene, sempre che si riesca a estrarle integre. Il sigillo è quello di un Templare, che penso possa essere stato testimone degli ultimi travagliati momenti dell’Ordine. Sono entrato in possesso per puro caso della medaglia da cui il sigillo è stato ricavato, e poi l’ho ritrovato lì», rispose Gerardo posando sulla scrivania il disco d’argento. «Non puoi non aiutarmi, Sara. Che cosa sai dei Templari?»

«Non un granché, ma la loro storia mi affascina da quando il loro cammino si è intrecciato con una vicenda a cui ho avuto occasione di lavorare. Anche allora per un amico. Begli amici ho.»

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