Marco Buticchi - Profezia

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«No, soltanto qualche riflessione. I miei dati importanti sono nascosti in un posto molto più sicuro.»

«Meno male. Comunque sarò a Milano per un paio di giorni da domani. Che cosa ne diresti d’invitarmi a cena?»

«Con vero piacere. Se hai modo di raggiungermi a Piacenza, sarò molto onorato di averti mia ospite domani sera, sempre che tu possa.»

«Potrò senz’altro. A domani.»

Quando Paola arrivò al castello con un’auto di piccola cilindrata, era già buio, e i fari sapientemente disposti dagli architetti illuminavano l’edificio in tutto il suo splendore. Lui la aspettava nei pressi del cancello.

«E hai il coraggio di chiamare ‘casa’ questa magnificenza?» gli chiese lei, ridendo e abbracciandolo.

Saliti all’appartamento di Gerardo, trovarono ad attenderli sulla porta Giacomo, in giacca bianca con i bottoni dorati.

«Vuole affidarmi il soprabito, signora?» chiese quest’ultimo con un leggero inchino.

«Giacomo è un cuoco insuperabile, come scoprirai», spiegò Gerardo. «Posso intanto offrirti un aperitivo?»

Paola continuava a guardarsi attorno come abbagliata. Non le era mai capitato di trovarsi in un edificio così bello, oltre che così ricco di storia.

«Ecco il mio buon ritiro», continuò Gerardo. «E qui che mi rifugio quando torno dai miei viaggi.»

Quando finalmente ebbero finito di cenare e furono rimasti soli, Paola si mise comoda sul divano, accavallando le lunghe gambe fino a lasciar intravedere il confine tra la seta delle calze nere e la pelle.

Senza una sola parola, attirò a sé Gerardo e lo baciò sul collo, risalendo fino alla bocca. Lui la strinse, infilando le mani sotto la camicetta di seta bianca.

Sapeva che sarebbe stata l’avventura di una notte. Si era lasciato raramente coinvolgere in relazioni durature.

Parigi. Mattino del 2 ottobre 1307

Un militare raggiunse Bertrand mentre si trovava a colloquio con il Gran Maestro de Molay.

«Chiedo perdono, Cavalieri, ma un mendicante chiede di conferire con Bertrand de Rochebrune. È logoro e sudicio e si rifiuta di fornire le sue generalità, ma adduce motivi della massima importanza.»

«Ricevetelo, Bertrand», disse Jacques de Molay. «Possiamo senz’altro rimandare la nostra conversazione.»

Arrivato al cospetto del Templare, il mendicante si tolse il cappuccio del mantello, e, con un tuffo al cuore, Bertrand riconobbe Jean Marie de Serrault.

«Presto, Bertrand, dovete fuggire tutti», gli disse senza indugio il giovane, cereo in volto e con le mani scosse da un tremito. «Il re intende farvi imprigionare.»

«Spiegatevi meglio, vi prego.»

«Lo scorso 14 settembre il re ha deliberato il vostro arresto in massa, e il 22 gli ordini di cattura sono stati diramati in tutta la Francia, anche se dovranno essere aperti soltanto il 13 di ottobre. Dovete mettervi in salvo.»

«E di che cosa saremmo accusati?»

«Eresia, adorazione di idoli satanici come Bafometto, insulto ai sacri simboli religiosi, baci indecenti, sodomia. E sono soltanto i più gravi degli oltre cento capi d’accusa. Ma avete ancora il tempo di fuggire.»

«Sareste disposto a ripetere al nostro Gran Maestro quanto mi avete riferito?»

«A chiunque. Tanto ormai è in pericolo anche la mia vita. Il Tempio di Parigi e molte altre sedi templari sono sotto stretta sorveglianza da diversi giorni, ed è probabile che uno degli sgherri del re mi abbia riconosciuto.»

Dopo qualche tempo, ascoltatolo attentamente, Jacques de Molay rifletté qualche istante con espressione cupa e poi sbottò: «Non abbiamo niente da temere. Sono accuse prive di qualsiasi fondamento, e a fronte di esse sta il nostro operato al servizio della Cristianità. Nessun tribunale potrà mai credere a simili infamie».

«Permettetemi d’insistere», gridò quasi de Serrault. «È una congiura architettata dalla mente diabolica del Nogaret. Vi arresteranno e tortureranno, e molti di voi cederanno. Le loro ammissioni, per quanto estorte, basteranno per condannare l’intero Ordine del Tempio.»

«Vi ringrazio per quello che avete fatto per noi, conte de Serrault. Sapremo tenerne conto. Ma adesso vi prego di lasciarmi conferire con il Cavaliere de Rochebrune», tagliò corto de Molay.

«È ormai troppo tardi per mettere in salvo l’intero Ordine», continuò non appena rimasero soli. «E in ogni caso non posso fuggire davanti ad accuse così infamanti. Devo difendere me stesso e tutti voi. Quindi ti chiedo ancora una volta di mettere in salvo ciò che ci è sacro. È un ordine. La nostra flotta è pronta a salpare da La Rochelle. Raggiungila.»

«E dove andremo, signore? De Serrault ci ha detto che le accuse di Filippo IV sono state inviate a tutti i sovrani d’Europa. Nessun luogo sarà più sicuro per noi Templari.»

«Esistono terre ancora inesplorate, e vi rifugerete lì. È un viaggio lungo e difficile, ma non impossibile. I comandanti della nostra flotta conoscono bene la rotta. Si tratta di terre ricche d’oro e d’argento, popolate da indigeni ospitali, convinti che siamo la reincarnazione di una loro divinità.»

«Sono dunque ancora una volta costretto a fuggire davanti al pericolo? Mi ripugna, ma non posso che inchinarmi al vostro ordine. Consentitemi tuttavia una promessa solenne: tornerò. Tornerò per difendere i miei confratelli. Lo giuro sulla Croce.»

De Molay parve non sentirlo nemmeno e continuò: «A La Rochelle sono alla fonda diciassette navi. Non possiamo farle cadere nelle mani di Filippo IV. Dobbiamo portarle in salvo assieme al nostro tesoro».

«Ma ci vorranno diversi giorni, e come potremo trasportare tutto di nascosto?»

«Non sto parlando del Tesoro dell’Ordine, Bertrand, ma soltanto di alcuni oggetti sacri che custodiamo da quando li scoprirono i fondatori nei sotterranei del Tempio di Gerusalemme. Io vi coprirò per quanto mi sarà possibile. Se necessario, arriverò fino ad ammettere le colpe che mi verranno contestate. La mia vita vale molto poco al confronto con l’importanza di quegli oggetti.

«Basta così. Tra due giorni partirai per La Rochelle sotto mentite spoglie. Sarai preceduto da una staffetta con i miei ordini. In quella città portuale ti si uniranno altri fratelli. Prenderai il comando della flotta, che successivamente dividerai. Dieci navi si fermeranno in Scozia, il cui sovrano non potrà mai mostrarci alcuna ostilità. Si terranno pronte a tornare in Francia, qualora altri Cavalieri dovessero trovarsi nelle condizioni di lasciare questo Paese. Con le altre sette, le più solide e veloci, tu farai invece rotta per quelle terre lontane. Dio ti assista.»

«Debbo parlarvi» disse Bertrand a Luigi e Shirinaze, convocati con la massima urgenza nel suo alloggio. «Il re sta per imprigionare tutti i Templari di Francia. E io sono stato destinato a una missione della massima segretezza e importanza. Credo sia meglio che voi due vi rifugiate in Italia, nel castello di Valnure.»

Luigi alzò su di lui uno sguardo intimidito, e ci volle qualche istante perché potesse parlare.

«È da tempo che voglio dirvi una cosa, Bertrand», sbottò finalmente, «ma non ho mai trovato il coraggio. Adesso… adesso… però…» e di nuovo s’interruppe, arrossendo intensamente. «Shirinaze e io ci amiamo», disse infine tutto d’un fiato. «Quindi… quindi devo rinunciare a diventare Cavaliere. Ma palesare il nostro amore a mio padre e ai miei parenti sarebbe molto difficile. Shirinaze è devota alla nostra religione, ma le sue origini… persino il colore della sua pelle… Non avremmo vita facile in nessun luogo cristiano. Portateci con voi.»

Bertrand sorrise e annuì.

Aveva occhi acuti, la confessione del suo protetto non lo aveva colto di sorpresa. Rimase qualche istante in silenzio, quindi annunciò in tono solenne: «Mi siete stati affidati dal destino o dalla famiglia. È giusto che rimaniate con me».

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