Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Nel corso del primo anno della sua permanenza a Parigi, Bertrand si dedicò con grande impegno alle sottili arti di diplomazia e politica, onde poter stilare periodici rendiconti da inviare al Gran Maestro.
De Molay era sopravvissuto miracolosamente alla capitolazione dell’isola di Ruad, presa dal Sultano d’Egitto dopo un lungo assedio. Nella battaglia erano morti duecentocinquanta Templari, e quasi la metà erano stati fatti prigionieri. Ma il Gran Maestro era riuscito a rifugiarsi a Cipro.
Ancora una volta un ordine di un Gran Maestro aveva salvato la vita a Bertrand, ma quel genere di esistenza non faceva per lui.
« Signore », scrisse un giorno, « non so se quanto accaduto ad Anagni è giunto ai vostri orecchi, quindi ve ne ragguaglio per sommi capi, gonfio di apprensione. Sciarra Colonna e Guglielmo de Nogaret, emissari del Re di Francia, sono entrati nella sede del Papa con le loro soldataglie e hanno imprigionato il Pontefice. È un affronto che sconvolge la Cristianità e pone le basi di una prevaricazione del potere temporale su quello ecclesiastico.
« Pare che Bonifacio VIII versi in cattiva salute, e si teme che la sua fine sia prossima. Già s’indicano molti pretendenti alla successione, in grande maggioranza legati a Filippo IV. Che cosa ne sarà di noi? A Parigi circolano insistenti voci circa l’intenzione del Re di Francia di sopprimere l’Ordine e confiscare tutti i nostri averi. Sono soltanto voci, ma potete ben immaginare quale sia lo stato d’animo di noi tutti qui al Tempio. Temo che il fronte della Guerra Santa si stia spostando, e che ben altre battaglie dovremo combattere. Mi permetto pertanto di suggerire la necessità della Vostra presenza qui a Parigi.
« Nutro il forte timore che quanto scritto nel Testamento stia per avverarsi. E credetemi, signore, quanto riferisco non è che una piccola parte dei veleni che si respirano a Parigi. La considerazione in cui i Cavalieri di Cristo sono tenuti dagli uomini del Re è cambiata: lo si capisce da mille piccoli segni: sguardi, comportamenti, voci. »
Bertrand de Rochebrune arrotolò con cura la pergamena, la sigillò e poi, introdottala in un cilindro di pelle, vi appose un secondo sigillo di ceralacca raffigurante una fune annodata con un nodo marinaro a formare il simbolo di un pesce stilizzato.
Lione. Giugno 1305
La città era addobbata a festa. I drappi e gli stendardi con gli stemmi pontifici erano affissi a ogni angolo: Clemente V, papa voluto dal re di Francia, l’aveva scelta per salirvi sul Trono di Pietro.
Bertrand de Rochebrune era nel seguito del pontefice, accoltovi con tutti gli onori come alto esponente del Tempio, sebbene le accuse contro l’Ordine si fossero andate sempre più intensificando. Si parlava di sordidi riti, addirittura denunciati da un presunto testimone oculare, l’ex templare Esquieu de Floyran.
La cattedrale di Saint Just era su un’altura. Sul percorso per raggiungerla si assiepava una folla festante.
Improvvisamente si udì un rumore sordo. Un muro di pietre, su cui avevano trovato posto centinaia di fedeli, oscillò paurosamente e rovinò sul corteo papale. Lo stesso Clemente V fu disarcionato, e la sua tiara rotolò nella polvere. Dodici persone rimasero uccise, e molti furono i feriti travolti dalla folla in preda al panico.
Carlo di Valois, fratello del re, si chinò, raccolse il copricapo papale con le tre corone sovrapposte, simbolo dell’integrità della Chiesa, e, inginocchiatosi, lo porse al pontefice.
Profondamente scosso, Bertrand de Rochebrune non poté non ripensare alle ultime parole di Hugues de Payns: « Quando Satana s’impossesserà del Trono di Pietro, i sacri simboli cadranno nella polvere e l’influenza del Maligno schiaccerà la potenza dei Cavalieri del Tempio. State in guardia, fratelli » .
Nel frattempo, al Tempio di Parigi, in assenza del suo protettore, Luigi di Valnure soffriva d’inedia. Quell’inattività gli pesava come una cappa di ferro.
Mentre girovagava incupito nelle viuzze all’esterno del Tempio, incontrò Shirinaze, che gli sorrise con la sua bella chiostra di denti candidi, sfavillanti nella pelle bruna. I due giovani non si vedevano da qualche tempo.
«Sono stanco di questo ozio», sbuffò Luigi. «Verrà mai il giorno in cui potrò impegnarmi in battaglia?»
«In modo che possiamo piangere un altro morto?» ribatté la giovane mora in tono carico di apprensione.
«Mai vorrei vedere i tuoi occhi piangere», replicò lui con profonda tenerezza, sorridendole. Gli occhi neri della ragazza riflettevano la luce di un sole pallido.
«Devo andare a portare questi panni nelle lavanderie», disse Shirinaze. «Perché non scendi con me? Puoi rientrare al Tempio attraverso i sotterranei.» E senza aspettare risposta, prese il cesto con gli indumenti e si avviò.
Luigi la seguì senza dire niente, ma, non appena furono nei sotterranei, la superò e le si parò davanti, fermandola.
«Shirinaze», esclamò in tono quasi implorante, «non sai che cosa darei per indossare una delle tuniche da templare che hai nella cesta.»
«Non è possibile», replicò la giovane in tono severo. «Verremo puniti.»
«Chi potrebbe scoprirci? Non lo diremo a nessuno. Ti prego, amica mia.»
Shirinaze abbassò lo sguardo al pavimento, con un’espressione di profonda inquietudine. Oltre a quel giovane, non aveva praticamente amici. Non parlava quasi mai con nessuno.
«Ti prego», insistette Luigi a voce bassissima. «Ti ripeto: non lo saprà nessuno.»
La giovane mora, schivatolo con un’abile mossa, scappò via senza dire niente: nemmeno di no.
Con il cuore in gola, Luigi vide che però non entrava nelle lavanderie ma in un locale di servizio.
La segui d’impulso e, non appena ebbe varcato la soglia della stanzetta oscura e angusta, vide che Shirinaze gli stava porgendo il mantello da Cavaliere del Tempio.
Presolo con mani reverenti, Luigi se lo lasciò cadere sulle spalle.
«Sei il più bel Cavaliere che io abbia mai visto», sbottò Shirinaze.
Lui la guardò, stupito, e per la prima volta la vide veramente per ciò che era diventata: una giovane donna molto bella e in fiore. Si sentì bruciare da un fuoco sconosciuto, che non riuscì a reprimere.
Senza dire niente, le si accostò, la cinse alle spalle e premette la bocca contro la sua.
«È… è peccato», esclamò lei, imbarazzata, ritraendosi di scatto.
«No, Shirinaze, lo sarà quando avrò preso i voti, ma fino a quel momento sono un uomo libero. E… ti amo.»
«Non dire così, Luigi. È male… io…»
Ma Shirinaze non aggiunse altro, stringendosi a lui e rispondendo con ardore al bacio. A ragionare per entrambi era l’istinto della gioventù sana e forte.
«Lo desideravo da quando ti ho visto», mormorò Luigi.
La risposta di Shirinaze si spense in un altro bacio.
Novembre 1998
Gerardo era seduto in poltrona, con la gamba ingessata appoggiata su uno sgabello, devotamente accudito da Giacomo.
Aveva in mano la medaglia d’argento trovata a Recanati. Gli era venuta in mente una cosa su cui doveva indagare, e cioè da dove provenisse tutto il metallo prezioso di cui disponevano i Cavalieri del Tempio. Sul finire del XIII secolo, infatti, le miniere tedesche e russe non erano ancora in funzione. Eppure il Tempio possedeva enormi forzieri colmi d’argento, oro e altri metalli preziosi. Certo, i Templari erano stati gli antesignani dei moderni banchieri: aprivano lettere di credito, prestavano denaro persino a sovrani. Ma l’accumulo di una simile ricchezza in soli duecento anni, tanto grande da suscitare le mire persino del re di Francia, era un fatto singolare. Da dove veniva?
Chissà che nel vecchio castello di Rochebrune, o nei pressi, non si potesse scoprire qualcosa?
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