Marco Buticchi - Profezia

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Aveva consultato inutilmente tutti i volumi sui Cavalieri del Tempio raccolti negli anni, ma Bertrand de Rochebrune sembrava non aver lasciato tracce nella complessa storia dell’Ordine.

L’immobilità forzata lo faceva sentire impotente, e il tarlo rodeva sempre più la sua mente. Qual era il «Testamento» che il Gran Maestro aveva affidato al Cavaliere, e, soprattutto, che cosa ne era stato di Bertrand de Rochebrune?

Era di nuovo a un punto morto. Eppure. Eppure… Dove aveva già sentito il nome de Rochebrune? Per quanto si arrovellasse, non riusciva a ricordare. Ma continuava a sperare: era sicuro che, tenendo duro, prima o poi sarebbe arrivato alla soluzione dell’enigma.

«Dunque», ripeté per l’ennesima volta ad alta voce. «A vestire l’abito di Cavaliere del Tempio erano giovani di nobile casata, prevalentemente francesi. Di norma secondo o terzogeniti, che non ereditavano il titolo ma tutt’al più una dote che avevano l’obbligo di conferire all’Ordine. Spesso era loro affidata la cura dei beni conferiti, podere o castello che fosse, e ancor più spesso il loro nome derivava dalla località di cui avevano la signoria.»

Gli venne in mente un’ultima risorsa. Non nutriva grandi speranze, ma non si poteva mai sapere. Si sedette al computer e si connesse con quello che amava definire «il sapere universale»: Internet.

Scelto uno dei migliori motori di ricerca, digitò l’espressione ‹DE ROCHEBRUNE› nella finestra di ricerca. La macchina gli rispose che compariva in tre siti.

Due di essi illustravano un maestoso picco delle Alpi Marittime, in Francia. Offrivano magnifiche randonnées su neve fresca e stupendi scenari di ghiacciaio. Ma il terzo…

«Il castello di Rochebrune», lesse, «forse un’antica dimora dei Templari, ha subito diverse ristrutturazioni nei secoli, e oggi è un albergo di gran lusso.»

«Dimora dei Templari !» gridò Gerardo, facendo scorrere il testo sullo schermo con dita impazienti. Il castello era a qualche chilometro da Briançon.

Nella sua mente scattò un vaghissimo ricordo. Corse in biblioteca e prese da uno scaffale un antico volume.

Lo aveva puntigliosamente redatto il bisnonno, raccontandovi la storia della famiglia di Valnure fino alla sua epoca.

Lo sfogliò febbrilmente e finalmente trovò quel che cercava.

«Le due sorelle», lesse, «sposarono rispettivamente il conte Filiberto di Valnure e il marchese Gerard de Serre, signore di Briançon. Dalla prima unione nacque Lorenzo, dalla seconda due figli: François e Bertrand, cui fu assegnato in dote il castello di Rochebrune.»

Isola di Ruad. 14 aprile 1302

Il bel viso bruno di Shirinaze era incorniciato da capelli neri come la notte, che le scendevano fin sulle spalle con riccioli ribelli. Era alta per i suoi diciassette anni, e gli abiti non riuscivano più a dissimulare le curve del suo corpo. Bertrand aveva ottenuto che rimanesse al suo fianco anche quando era stato comandato in una delle ultime roccaforti cristiane della Terrasanta.

Otto anni prima era diventato Gran Maestro dell’Ordine Jacques de Molay, che era vissuto a lungo a Cipro e conosceva bene le coste dominate dai mori. L’isola di Ruad era una rocca imprendibile, da dove i Templari, su navi veloci, compivano scorrerie nelle terre musulmane. Nel 1301 era stata donata all’Ordine da Bonifacio VIII proprio per farne una spina nel fianco dei mori.

Dopo aver trascorso alcuni anni a Cipro, Bertrand de Rochebrune era stato inviato al seguito di de Molay. Nel frattempo aveva mantenuto una fitta corrispondenza con il cugino Lorenzo di Valnure, tenendo anche fede alla promessa fattagli.

Il secondogenito di Lorenzo, infatti, il giovane Luigi, aveva iniziato da alcuni mesi il tirocinio per diventare sergente agli ordini di Bertrand e poi Cavaliere. Era un giovane focoso, e a Bertrand non era sfuggito lo sguardo con cui aveva osservato Shirinaze la prima volta che l’aveva vista.

Le quattro navi avanzavano in formazione. Quando gli uomini cominciarono a calare le scialuppe, la costa, nella parte meridionale di quella che un tempo si chiamava contea di Tripoli, era ancora distante. Una luna velata illuminava il bianco dei mantelli crociati.

Bertrand comandava un plotone di ottanta uomini. Non appena toccarono terra si avviarono in silenzio. Il nemico poteva essere vicino.

Le variopinte tende dei mori, illuminate dai fuochi, erano infatti a poche migliaia di passi. I Cavalieri del Tempio li colsero di sorpresa. Neutralizzate le sentinelle, scesero in massa dalle alture: erano più di seicento contro trecento mori. Quando l’allarme si diffuse nell’accampamento, era ormai troppo tardi. I cavalieri crociati ebbero rapidamente ragione del nemico, e alle prime luci dell’alba erano già di ritorno alle scialuppe.

Luigi di Valnure era ancora troppo giovane per prendere parte a un’azione militare, sebbene negli addestramenti avesse mostrato una notevole maestria. Era rimasto sulla galea e adesso, affacciato alla battagliola, osservava le operazioni di reimbarco.

Non appena Bertrand fu di nuovo a bordo, gli si avvicinò: «Cugino, quando mi consentirete finalmente di seguirvi in un’azione militare?»

«Frena l’impazienza, Luigi, ogni cosa a suo tempo. Ho promesso a tuo padre di vegliare su di te e d’insegnarti l’arte della cavalleria, non di lanciarti nella mischia ancora inesperto. Hai tutte le doti per diventare Cavaliere, ma è ancora presto.»

Qualche giorno più tardi Bertrand fu chiamato al cospetto del Gran Maestro.

«Bertrand», gli disse Jacques de Molay, «circolano voci inquietanti sull’Ordine. Maldicenze, dicerie infamanti. Fino a oggi la benevolenza del Santo Padre non le ha volute ascoltare, ma Bonifacio VIII è sempre più lontano dalle cose terrene. Che cosa ne sarà di noi quando gli succederà un nuovo papa, soprattutto se cedesse alle pretese di Filippo il Bello?»

«Il Testamento di Hugues de Payns!» esclamò Bertrand. « Strappare il Trono di Pietro a Satana. »

«Non siamo a questo punto, Bertrand, la profezia del mio predecessore è ancor lontana dall’avverarsi. Credo tuttavia che tu possa essere più utile al Tempio di Parigi che qui.»

Bertrand de Rochebrune fece per ribattere, ma un imperioso gesto lo fece desistere, mentre il Gran Maestro continuava: «Sei il Cavaliere in cui ripongo più fiducia. Partirai con la prima nave per la Francia, dove agirai nel solo interesse del Tempio, riferendo direttamente a me qualsiasi situazione di pericolo per l’Ordine».

Quando rientrò nei suoi alloggiamenti, Luigi, che stava lustrando le armi, notò subito la sua aria corrucciata.

«Che cosa vi angustia?» chiese, abbandonando la sua occupazione.

«Dovrai rinviare il tuo battesimo in battaglia, Luigi. Sono richiamato a Parigi. E naturalmente tu verrai con me.»

6

Parigi. 4 ottobre 1303

Il Tempio di Parigi era una costruzione alta e austera, con quattro torri ai vertici e altre due, più basse, sul lato orientale. Il tetto, a forma di tronco di cono, sembrava una settima torre, altissima.

L’edificio era stato eretto nel corso del XII secolo e successivamente ampliato. Alla chiesa, di pianta circolare, era stato recentemente aggiunto un ampio coro. Si diceva che fosse molto più lussuoso della residenza dello stesso Filippo IV, re di Francia.

Bertrand de Rochebrune era stato accolto con grande cordialità dal Precettore. Il suo salvacondotto recava il sigillo del Gran Maestro de Molay e ordinava di riceverlo con tutti gli onori. Quindi gli era stata assegnata una delle stanze sul fronte, mentre Luigi e Paul erano stati sistemati in una stanzetta nell’ala orientale. Shirinaze era stata accolta in una sede attigua, destinata alle donne incaricate delle cucine e delle pulizie, che non entravano mai nel Tempio vero e proprio.

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