Marco Buticchi - Profezia

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La direttrice prese la medaglia d’argento che aveva posato sul tavolo e la studiò.

«Sembrerebbe autentica. Una medaglia templare. Ne sono state scoperte diverse.»

«Sì, ma questa ha sul retro un sigillo singolare.»

«Questo?» chiese la donna. «Sembrerebbe un pesce stilizzato. No, qui ad Akko non ho mai visto niente di simile.»

«Già, un pesce con la coda annodata in quello che sembra un nodo marinaro.»

«Ripeto, non ho mai visto niente del genere. Conosco il simbolo stilizzato del pesce: si dice che fosse in uso tra i primi cristiani. Ma non ho notizia di nodi marinari.»

Gerardo si accorse che la donna stava per congedarlo e si affrettò a prevenirla: «Signora Dufraisne, alloggerò ancora per qualche giorno al Palm Beach Hotel. Se le venisse in mente qualcosa, le sarei veramente grato se volesse contattarmi».

Non appena Gerardo di Valnure fu uscito dalla sua stanza, Estelle Dufraisne si attaccò al telefono.

Adriatico. 26 maggio 1291

La nave sbandava paurosamente. Le onde erano meno alte di quelle che li avevano investiti durante la fuga da San Giovanni d’Acri, ma non per questo meno insidiose.

La costa era ormai in vista, e patron Magri si era piazzato accanto al timone, pronto a correggere la rotta in caso di bisogno, anche se sapeva di poter contare sull’esperienza dei suoi uomini.

Fu il calafato a comunicargli che stavano imbarcando acqua e che la parte immersa aveva subito danni.

Lo scafo della nave era costituito da un lungo telaio orizzontale, detto «posticcio», due «correnti» longitudinali e due «gioghi» trasversali. E una delle «correnti» aveva ceduto nella parte prodiera. Non era un danno che per il momento potesse pregiudicare la navigazione, ma avrebbe richiesto lunghi lavori, impedendo per parecchio tempo alla galea di riprendere il viaggio verso Venezia.

Alle prime luci del mattino seguente, mentre il mare si andava calmando, la nave eseguì le manovre di ormeggio nel porto di Recanati.

Bertrand aveva trascorso l’intera notte accanto a Shirinaze, che non riprendeva conoscenza. Il suo corpicino era scosso da brividi di febbre; dalla bocca le uscivano parole incomprensibili.

Aveva visto uomini morire — ne aveva anche uccisi molti —, ma questa era una cosa diversa. Quella bimba gli era ormai entrata nel cuore.

«Lo scafo ha riportato seri danni», gli spiegò quel mattino il comandante. «La nave dovrà rimanere in cantiere a lungo. Credo che una volta a terra ci dovremo separare.»

«Mi spiace davvero, patron Magri. Ho potuto apprezzare la vostra abilità, e il viaggio via terra sarà senza dubbio molto più faticoso.»

«Vedrete che al convento che vi ho indicato presteranno le cure necessarie alla piccola.» Quindi il comandante lo fissò con uno sguardo carico di simpatia. «Prima che ci congediamo, avrei piacere che accettaste un modesto ricordo, Bertrand.»

Posò una piccola borsa di pelle sul tavolato e ne estrasse tre medaglie d’argento. Su un lato era impressa l’effigie dei templari: due cavalieri sullo stesso cavallo. Sull’altro si vedeva un pesce stilizzato, la cui coda era costituita dai due capi di una fune serrata dal nodo che Bertrand conosceva bene.

«Le ha coniate il nostro fabbro. Spero che vi piacciano.»

Bertrand le prese e le osservò a lungo. «Non so come ringraziarvi, patron Magri. Ci avete portato in salvo e mi fate dono di quello che d’ora in avanti desidero sia il mio sigillo.»

«Non ringraziatemi, Bertrand. In tanti anni di navigazione, ho incontrato di rado una persona del vostro altruismo. Sono fiero di avervi conosciuto.»

La piccola Shirinaze, caricata su una lettiga, fu la prima a sbarcare per essere ricoverata nel vicino convento. Bertrand de Rochebrune sbarcò invece con i suoi militari, tenendo gelosamente stretto il cofanetto consegnatogli dal Gran Maestro dell’Ordine.

Akko. 23 ottobre 1998

Gerardo di Valnure accese il suo computer portatile, apprestandosi come ogni sera a inserirvi con metodo tutti i nuovi particolari della ricerca e le sue impressioni. Digitò le tre password necessarie per l’accesso e cominciò a scrivere.

‹FINO A QUESTO MOMENTO IL MIO VIAGGIO IN TERRASANTA È STATO DEL TUTTO INUTILE. HO VISTO SOLTANTO LE ROVINE DI UN’ANTICA CITTÀ CROCIATA E UNA DIRETTRICE DI MUSEO FURIOSA CON INDIANA JONES COMPANY. EPPURE CONTINUO AD AVERE LA NETTA SENSAZIONE CHE LA STORIA CHE MI INTERESSA COMINCI DA QUI, ANCHE SE PER IL MOMENTO NIENTE ME LO CONFERMA. TRANNE, OVVIAMENTE, LA MEDAGLIA›

Scosse la testa, rassegnato. Aveva ormai deciso di trattenersi soltanto qualche altro giorno, concludendo lì il suo viaggio e tornando in Italia. Scrisse ancora alcuni appunti, quindi spense il computer e andò a letto.

Intanto, al museo di Akko, Estelle Dufraisne stava parlando con un uomo dai lineamenti duri, che però le si rivolgeva nel tono di rispetto di un subalterno.

La donna posò sulla scrivania un cordoncino rosso intessuto con un filo d’oro, annodandone le estremità. L’altro fece passare nell’asola un capo di un cordoncino identico e ne annodò le estremità come aveva fatto lei, in modo che le corde fossero unite da due nodi identici: due gasse d’amante.

«Che cosa ti ha chiesto?» le chiese.

«Aveva una medaglia con il simbolo del nostro Ordine.»

«Sarà uno dei soliti cacciatori di miti. Stanno diventando un’epidemia.»

«No. Sapeva il fatto suo e mi è parso molto risoluto. Per questo mi sono rivolta al Gran Maestro, che ha subito contattato te», ribatté Estelle.

«Non dubitare, lo terremo d’occhio.»

Il mattino dopo Gerardo di Valnure si recò di buon’ora nella zona nord della città antica. Erano ancora in corso alcuni scavi, ma, come ogni sabato, la zona era deserta. Gerardo superò le transenne che delimitavano gli scavi e, attraverso una ripida scaletta in ferro, s’introdusse in un cunicolo che conduceva nel luogo dove un tempo c’era Porta Sant’Antonio.

Immerso nel buio di quella specie di cripta, trovò a tentoni l’interruttore generale, e la scena s’illuminò. A poca distanza da lui era stato riportato alla luce l’antico muro di cinta. Il terreno era scavato in più punti e coperto da un reticolo in filo di ferro. Osservò a una a una le grosse pietre delle mura e prese da terra un pennello usato dagli archeologi per rimuovere gli strati di polvere.

Lavorando con cautela e metodo, a poco a poco arrivò a ripulire una zona dove la pietra era stata incisa utilizzando una punta sottile, forse di chiodo o di pugnale. Tolse da una delle tasche della giacca multifunzionale una piccola torcia, accostandola alla zona, che intanto continuava a ripulire. E davanti al suo sguardo eccitato vide comparire un’iscrizione che sulle prime gli parve incomprensibile.

La studiò con attenzione spasmodica per qualche istante, e a poco a poco i caratteri gotici gli svelarono il loro mistero. Si accorse che, sebbene l’ambiente fosse quasi gelido, era madido di sudore.

Con dita tremanti tolse da un’altra tasca il taccuino e vi copiò le parole scritte in francese antico, traducendole mentalmente in italiano: « La città sta per cadere nelle mani degli infedeli. Nessuno di noi si salverà. Ma Bertrand de Rochebrune ha raggiunto il mare, portando con sé il Testamento. Dio vegli su di noi. G.d.B » .

«Guillaume de Beaujeu!» esclamò Gerardo, lasciandosi andare a sedere su una grossa pietra: il Gran Maestro caduto nella difesa di San Giovanni d’Acri. Il cerchio si stava chiudendo.

Ma che cosa poteva essere quel «Testamento»? Quanto importante era per ridurre Guillaume de Beaujeu a far fuggire uno dei suoi Cavalieri proprio quando ne avrebbe avuto più bisogno? Che fossero le sue ultime volontà? E chi era Bertrand de Rochebrune?

Costa adriatica. 30 maggio 1291

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