Marco Buticchi - Profezia

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«Dove potrò rintracciarla in caso di necessità?»

«Nei primi giorni il mio indirizzo sarà quello che ti ho dato, e a ogni spostamento mi farò vivo io per telefono.»

Il mattino dopo Gerardo di Valnure si svegliò al Palm Beach Hotel, affacciato su un Mediterraneo battuto da un sole ancora caldo. Poco lontano si scorgeva la città che oggi porta il nome di Akko, ma che un tempo era San Giovanni d’Acri.

San Giovanni d’Acri. 18 maggio 1291

Gli uomini schierati da al-Ashraf Khalil avanzavano ordinatamente disposti su tre linee. La prima era schierata a imitazione della testuggine romana, e i soldati si proteggevano con grossi scudi. La seconda era seminascosta dal fumo di vasi di pece infuocata e petrolio. L’ultima era formata dagli arcieri. La città stava per cadere.

Sulle torri già fortemente danneggiate dalle catapulte, Guillaume de Beaujeu chiese a Bertrand de Rochebrune: «Avete radunato tutte le donne e i bambini che possono trovare riparo su una delle nostre galee?»

«Sì, signore, sono circa duecento e mi aspettano all’inizio della seconda galleria che conduce al porto.»

In quel momento gli assalitori si divisero in due tronconi, il più consistente dei quali puntò verso Porta Sant’Antonio.

Il Gran Maestro li osservò qualche istante, poi ordinò: «Andate, Bertrand, presto. Stanno dirigendosi verso il lato opposto rispetto al porto. Correte a portare in salvo i vostri protetti. Noi cercheremo di tenerli impegnati.»

«Il Signore sia con voi, Gran Maestro.»

Bertrand s’inchinò e le mani di Guillaume tracciarono una croce nell’aria.

«Ci rivedremo, Bertrand, qui o in Cielo. Dio vi protegga.»

Gli attacchi dei mori erano stranamente concentrati sulla cittadella e non sul porto, che, protetto da un baluardo fragile, sarebbe stato più facile da conquistare. Nell’insenatura naturale erano alla fonda quattro galee, con gli equipaggi pronti a salpare.

Il cunicolo che correva sotto le mura verso il. porto era angusto e maleodorante. Le donne e i bambini, in lacrime, si tenevano per mano. La catena umana avanzava incerta nel buio illuminato da poche torce, e Bertrand e i suoi la incitavano ad affrettarsi.

Quando finalmente fu tutta raccolta a ridosso delle mura del porto, i soldati condussero donne e bambini a bordo della galea pronta a salpare.

I mori si accorsero di loro quando gli argani erano già in tensione e la galea stava per lasciare gli ormeggi. Preoccupato, Bertrand li vide girare la catapulta puntata contro la Torre Nuova, mirando su di loro. Il primo dei grossi proiettili partì quando i remi della murata di dritta della galea stavano lambendo le acque. Altri massi sollevarono alti spruzzi d’acqua, ma si persero a poppa, sempre più lontani.

Quello stesso giorno Guillaume de Beaujeu morì con molti dei suoi nella strenua difesa di Porta Sant’Antonio, e dieci giorni dopo, lunedì 28 maggio 1291, San Giovanni d’Acri cadde. Nessuno dei Cavalieri del Tempio rimasti abbandonò la postazione: morirono tutti, come avevano giurato.

La fusta dell’emiro Ibn ben Mostoufi era in grave difficoltà. Da due giorni e due notti gli uomini si affannavano senza tregua alle pompe, ma sembrava che l’acqua del mare in tempesta penetrasse da ogni parte. Il vessillo dei mori sventolava a poppavia, teso nel vento impetuoso.

All’improvviso, tra le paurose onde apparve la galea cristiana. Era più veloce, e quasi certamente aveva a bordo il doppio, se non il triplo degli uomini dell’imbarcazione moresca. L’unica via di scampo sembrava la fuga.

«Nave a dritta!» gridò la vedetta della galea, superando il frastuono delle onde. «Reca il vessillo degli infedeli.»

«Abbiamo a bordo duecento donne e bambini, non possiamo ingaggiare battaglia», disse Bertrand al comandante, un veneziano esperto e scrupoloso.

«È vero, signore. Li incroceremo, e sarebbe facile avere ragione di loro, ma dobbiamo anzitutto pensare a questa povera gente.»

Tutt’altro clima regnava a bordo della piccola fusta di Ibn ben Mostoufi. «Virate di bordo, allontanatevi dalla loro rotta, proveremo a fuggire», gridò l’emiro.

«Ma così offriremo il fianco alla tempesta, effendi», obiettò uno dei marinai. «La nave si capovolgerà.»

«Se non viriamo finiremo in bocca agli infedeli, e sapete bene come riducono i prigionieri.»

Tra i cristiani era infatti diffusa la leggenda che, prima di lanciarsi all’attacco, i mori ingoiassero gioielli e oro. Quindi ogni saraceno catturato veniva sbudellato in cerca di quelle ricchezze.

A Ibn ben Mostoufi stavano a cuore due cose: le preziose stoffe di cui aveva stipato le stive, ma soprattutto una bambina di soli sette anni, l’unica figlia concessagli da Allah misericordioso prima che una grave setticemia lo rendesse sterile.

La navicella moresca virò improvvisamente, resistendo a una prima serie di onde, ma improvvisamente si capovolse.

«Non c’è alcuna speranza che sopravvivano», commentò Bertrand, affacciato alla battagliola di prora tra il ribollire degli spruzzi, indicando al comandante alcuni naufraghi che cercavano disperatamente di tenersi a galla sul mare in tempesta.

Quando raggiunsero il punto del naufragio, non si vedevano più tracce di vita. Soltanto cadaveri e relitti alla deriva. Ma l’attenzione di Bertrand fu attirata da un pezzo del cassero di poppa della fusta, che rimaneva miracolosamente eretto tra il tumulto delle onde. Il giovane aguzzò lo sguardo, e ciò che vide lo fece rabbrividire.

Rannicchiata in un angolo del relitto c’era una bambina di pochi anni, nera come la notte. Anche da quella distanza si vedeva che i suoi occhi bruni erano sbarrati e pieni di paura. Quel rifugio di fortuna avrebbe potuto reggerla ancora pochi istanti, prima di capovolgersi.

Bertrand non poteva rimanere inerte: ben altro gli ordinava la pietà cristiana che, come ogni Templare, aveva giurato di perseguire a ogni costo. Si spogliò e si gettò nel mare in tempesta.

Con la testa sanguinante, aggrappato a un relitto poco lontano, fu l’ultima cosa che gli occhi appannati dell’emiro poterono vedere. Poi Ibn ben Mostoufi perse i sensi.

Bertrand era un buon nuotatore, ma stava affrontando un’impresa ai limiti delle possibilità umane. Riuscì comunque a raggiungere il relitto, mentre la galea arrestava la sua corsa, mettendosi con la prora al mare e al vento. Il comandante manovrò in modo che la nave facesse da scudo al soccorritore, mettendosi sopravvento.

Bertrand sentì il fasciame del cassero scricchiolare e fece appena in tempo ad afferrare la bambina per i capelli, mentre il relitto si sfasciava. Le tenne la testa fuori dall’acqua, cercando faticosamente di riguadagnare la nave, la cui murata sembrava invece allontanarsi.

Era esausto, le forze stavano per abbandonarlo, e cominciava a disperare, quando si sentì afferrare da una mano forte. Incrociò lo sguardo del comandante della galea, sporto dalla murata su una scala di corda. Accanto a lui, un marinaio era già riuscito a sollevare dal mare la piccola.

Quando si issò a bordo, Bertrand fu accolto da un’acclamazione. Tutti avevano seguito con ansia la sua impresa, commossi dal coraggio del Cavaliere del Tempio che metteva a repentaglio la sua vita per salvare quella di una giovane infedele.

«Come ti chiami?» chiese Bertrand non appena ebbe ripreso un po’ di fiato, cercando di spremere tutto ciò che poteva da una lingua che conosceva appena.

«Shirinaze, signore», rispose la piccola con una voce rotta dai singhiozzi.

Akko. Israele. 20 ottobre 1998

Erano trascorsi quindici giorni da quando Gerardo si era trovato a passeggiare in un mercatino d’antiquariato nei pressi di Recanati, in Italia. Era andato a Loreto per visitare il celebre santuario della Vergine, dove si dice che i Crociati in fuga da San Giovanni d’Acri abbiano trasportato, tra altre sacre reliquie, la Santa Casa di Nazareth.

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