Marco Buticchi - Profezia

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Timothy era sempre più infastidito e una sera, a tavola, le chiese seccamente: «Non ti sembra di esagerare?»

«In che senso?»

«Nel senso che, tra gli impegni televisivi e queste tue strampalate ricerche, mi trovo praticamente senza moglie.»

«Cerco di fare tutto durante le tue assenze, Timothy, proprio per non turbare il nostro equilibrio domestico. Anche se non posso negare che mi sembra sempre più incerto.»

«Incerto? E non dipende da te?»

«No.»

«Vuoi dire che è colpa mia?»

«Voglio dire che se facessimo entrambi un esame di coscienza e ne parlassimo un po’… Invece tu arrivi e ti nascondi dietro il giornale.»

«Adesso basta!» sbottò suo marito. «Lavoro dieci ore al giorno e non torno a casa per sentirmi dire queste cose. Ti ricordo che è il mio lavoro…»

«Che cosa vuoi dire? Che sarebbe il tuo lavoro a concederci questo tenore di vita? Se permetti, dà il suo contributo anche quella che tu continui a chiamare la mia occupazione saltuaria. »

«Sì, certo, finché il mondo dell’occulto andrà di moda. Ma poi?»

«Poi tornerò a lucidare argenti, a sbattere tappeti e a farmi bella ogni sera per il maritino che torna a casa esausto a chiedere la sua cena.»

Timothy si alzò di scatto, tirò un pugno al centro della tavola facendo cadere alcuni piatti e bicchieri, che andarono in frantumi sul pavimento, e si chiuse in camera da letto al piano di sopra.

Maggie rimase impassibile. Raccolse i cocci da terra e si preparò un letto sul divano del salotto. L’indomani mattina avrebbe chiamato Gerardo di Valnure, in Italia, per riferirgli l’insuccesso delle sue attività paranormali.

Quando scese per la prima colazione, Timothy aveva un’espressione cupa.

«Ti ho preparato uova e pancetta», disse lei, cercando di sfoderare un sorriso rappacificatore.

«Grazie», rispose semplicemente lui, senza guardarla.

«Non voglio vivere in questo clima, Timothy. Ti prego, cerchiamo di dimenticare quello che è successo ieri sera.» Quindi, visto che il marito non rispondeva, continuò: «Non credi che alla nostra famiglia manchi qualcosa?»

«Certo: una moglie che faccia la moglie e non rincorra i fantasmi.»

«Non rincorro i fantasmi, cerco soltanto di tenere sotto controllo queste sensazioni inspiegabili, che però in molti casi sono state utili. Anche a te, non dimenticartelo. Comunque mi riferivo a un figlio. Non pensi che un figlio darebbe nuova vita al nostro rapporto?»

«Un figlio?» chiese Timothy, sbalordito. «Abbiamo tempo per pensarci.»

«E quando? Quando l’impegnatissimo Timothy Hassler troverà il tempo di valutare questa opportunità ? Ho trentasei anni, ricordi? Non posso aspettare ancora molto.»

Maggie sapeva che la discussione si stava mettendo sui binari della sera prima, ma non era riuscita a trattenersi. Sì, il loro rapporto era drasticamente cambiato. Piantò in asso il marito e si tappò in cucina, sbattendo la porta.

Quel pomeriggio chiamò Gerardo di Valnure in Italia, sperando che non fosse in giro per il mondo.

La costruzione del castello di Valnure risaliva alla prima metà dell’XI secolo, ma in seguito si erano succeduti diversi interventi di modifica. Gerardo occupava il piano superiore di quelle che un tempo erano le scuderie.

Rispose personalmente al telefono.

«Sono Maggie Hassler, conte di Valnure.»

«Maggie, che piacere.»

«Purtroppo non ho buone notizie. Temo che non riuscirò a esserle d’aiuto. Ho provato diverse volte a concentrarmi, ma con scarsi risultati.»

«È un vero peccato, Maggie, lei costituiva la mia ultima speranza di riuscire a venire a capo di questo mistero. Sto effettuando altre ricerche, ma non cavo un ragno dal buco. Quindi siamo pari.»

«In realtà… io vedo qualcosa. E sento uno strano legame con quelle vicende antiche, come se le avesse vissute un mio avo o… o un mio altro io, in un altro tempo. Ma le immagini che mi appaiono sembrano attuali, riferite ai nostri giorni.»

«Ha provato con la regressione? Sa che cos’è?»

«Certo, le ho dedicato due puntate della mia trasmissione. Gli esperti intervenuti hanno spiegato che, sotto trattamento ipnotico, spesso il soggetto rivive situazioni avvenute anni e addirittura secoli prima. Buona idea, Gerardo. Contatterò uno degli esperti, che vive nel New Jersey, e proverò con questo metodo.»

«Non vorrei esserle di peso, Maggie.»

«No, lo faccio volentieri. Come le ho detto, ho la singolare impressione che queste vicende siano in qualche modo legate ad altre che mi riguardano di persona.»

Maggie però non parlò delle apparizioni del pastorello di Fatima. Non ci pensò nemmeno. Non riteneva che avessero attinenza con la storia dei Templari.

Mosca. Settembre 1992

In quei pochi mesi Iosif Drostin e Chalva Tanzic avevano compiuto un forte salto di qualità nelle gerarchie della malavita organizzata russa. L’enorme disponibilità di contante in dollari aveva loro consentito di comperare a ottimo prezzo grosse quantità di armi messe sul mercato nero in seguito allo sfacelo dell’Armata Rossa. Avevano poi trovato con facilità i canali clandestini per rivenderle con nuovi, colossali profitti.

«Sei un genio, Iosif», disse Chalva. «E ho fatto bene a darti retta. Vendere armi è molto più facile che gestire ragazze isteriche, e i guadagni non sono neppure paragonabili. Ce l’abbiamo fatta. Boris Semënov vuole parlare con noi.»

«Boris Semënov?»

«Esattamente. Il capo della più grossa organizzazione russa per il traffico di armi. Ci ha invitato a cena.»

«Dove?»

«Nel miglior ristorante di Mosca. Al Fyodor, in Lubyanski Proezd. Fra tre giorni.»

«Uhm. Questa storia mi piace poco.»

«Sta’ tranquillo, ho preso le mie precauzioni. Otto uomini ci accompagneranno all’entrata del ristorante e resteranno lì ad aspettarci. L’accordo con Semënov è che nessuno di noi sia armato. Secondo me ha capito chi siamo e vuole scendere a patti.»

Quella sera stessa Iosif invitò una delle ragazze a cena nel ristorante dove si sarebbe tenuto l’incontro con Semënov, una ragazza nuova, bellissima e vistosa. Fece di tutto perché i clienti del ristorante guardassero soltanto quella splendida figlia del Don e non lui, e ci riuscì. Fingendo di andare in bagno, nascose una pistola in un vaso antico che aveva l’aria di non essere mai stato pulito.

Un’auto con tre uomini precedeva quella in cui viaggiavano Tanzic e Drostin, un’altra li seguiva a breve distanza. Arrivati davanti al ristorante, gli uomini li circondarono facendo loro scudo.

Poco dopo arrivò una Mercedes blindata, da cui smontò Semënov. Sembrava molto meno preoccupato di loro: viaggiava con due sole guardie del corpo.

Furono fatti accomodare in un salottino privato, e prima di entrarvi Iosif controllò la posizione del vaso dove aveva nascosto la pistola. L’aveva scelta molto bene.

Semënov sorrise: «Prima di sederci a tavola e parlare di affari, voglio vedere se avete prestato fede ai patti. Posso perquisirvi? Potete fare altrettanto con me.

«Ho assistito alla vostra irrefrenabile ascesa», continuò non appena si furono seduti. «E devo ammettere che il vostro modo di operare mi piace molto, mi ricorda i miei inizi. Penso che ci sia spazio per tutti, ma credo anche che sia il caso di trovare un modo per dividerci il mercato senza pestarci i piedi a vicenda. No, Chalva?»

Tanzic sembrava affascinato. «Parole sacrosante, Semënov. Trovare un accordo con te interessa anche a noi.»

Nel corso della cena, aiutati dal vino francese e dalle grosse ciotole d’argento colme di caviale, i tre uomini raggiunsero l’accordo auspicato, dividendosi il territorio, i tipi di armi e i fornitori. Festeggiarono con una nuova bottiglia di vino, ordinata personalmente da Semënov.

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