Marco Buticchi - Profezia

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«Certo. ‘La Profezia incombe, voi potrete salvare il mondo.’»

«Noi siamo collegati a quegli avvenimenti, o meglio, vi sono collegata io. Stammi vicino, Derrick. Ho paura che stiamo per vivere avvenimenti terribili.»

Arhangelsk. Mar Bianco. Russia settentrionale.

Febbraio 1992

La nave rompighiaccio Dvinskaja Guba era ormeggiata al molo principale. Con le sue sovrastrutture alte nella parte prodiera, era del tutto simile a un rimorchiatore oceanico, e con la sua capacità di mantenere una velocità di crociera sui sei nodi non si sarebbe arrestata neanche in un oceano coperto da dieci centimetri di ghiaccio. Iosif Drostin la guardò a lungo dalla banchina. Vestiva una giacca foderata da marinaio, fatta per resistere alle rigide temperature che avrebbe incontrato.

Il comandante Govaleck lo accolse come un normale membro dell’equipaggio, e lui si mise subito all’opera come il più diligente dei marinai. Aveva sistemato le pietre nel doppiofondo di una cintura che non si toglieva mai, nemmeno quando andava a letto.

Il rompighiaccio prese il largo poche ore più tardi in un mare che sembrava un deserto bianco. Ma la prora si apriva la strada senza fatica, sollevando due baffi di acqua mista a grossi frammenti di ghiaccio. Lo seguiva un convoglio di otto navi.

Nel corso della quarta giornata di navigazione il comandante Govaleck mandò a chiamare Drostin.

«Lei sbarcherà nel porto di Bergen, dove la imbarcherò di nuovo quindici giorni più tardi. L’armatore mi ha detto che deve andare ad Amsterdam, e ha già provveduto per i biglietti aerei: le verranno consegnati non appena arriveremo in porto. Buona fortuna, signor Bykov», concluse il comandante, chiamandolo con il cognome che figurava sui suoi nuovi documenti d’identità.

Giunsero a Bergen tre giorni più tardi, accolti da una tormenta di neve, e, non appena ormeggiarono in banchina, il comandante lo chiamò in plancia, porgendogli un appunto. «Scenda a terra subito, Bykov, e vada a questo indirizzo. Vi troverà i biglietti per Amsterdam.»

Giunto in quella città, Iosif prese alloggio all’Hotel Owl, in Roemer Visscherstrass, e non appena fu in camera telefonò al numero scritto sul biglietto consegnatogli dal comandante.

«Ditta Karnapolsky», rispose la voce gentile di un’impiegata.

«Sono Bykov, il signor Karnapolsky sta aspettando una mia chiamata», spiegò Iosif nel poco inglese imparato da Nadja, e dopo pochi istanti di attesa una voce anziana gli disse in perfetto russo: «Benvenuto, signor Bykov».

«Parla la mia lingua, signor Karnapolsky?»

«Sono russo, come si può facilmente capire dal mio cognome. Amici comuni mi hanno riferito che lei ha cose interessanti da propormi.»

«Credo sia opportuno incontrarci, in modo che lei possa valutarle.»

«Le andrebbe bene domattina verso le nove?»

«A domani mattina.»

Il giorno dopo il commerciante di pietre lo accolse con grande cordialità. Era un uomo di oltre settant’anni, camminava curvo e gesticolava animatamente. Sembrava contento di poter finalmente parlare un po’ nella sua lingua madre.

Iosif estrasse dalla cintura tre sole pietre — un diamante, un rubino e uno degli zaffiri blu — e le appoggiò sul tavolo.

Kamapolsky non parve affatto impressionato e inforcò la lente monoculare, esaminandole con estrema attenzione.

«Sono tre belle pietre, signor Bykov. Dobbiamo verificarne la caratura, le impurità al microscopio elettronico e la eventuale fluorescenza con la macchina a raggi ultravioletti, ma mi sembra che siano veramente buone.»

«Ne ho altre trenta simili, signor Karnapolsky, e intendo vendere tutto in un solo lotto.»

«Naturalmente non devo chiederle la provenienza della merce.»

«Se teme che sia roba rubata, si sbaglia. Diciamo che ho scoperto un tesoro. E non è un modo di dire.»

L’esame e la valutazione delle gemme richiesero tre giorni, durante i quali Iosif non le abbandonò mai in mani sconosciute.

«Sono pietre d’incredibile purezza», confermò Karnapolsky, «fatta eccezione per due diamanti che presentano un’alta fluorescenza. Una bella partita di merce. Quanto alla valutazione», continuò dopo una breve pausa, «il loro valore commerciale si aggira attorno ai sedici, forse diciassette milioni di dollari. Ripeto: valore commerciale , ovvero quanto si potrebbe ricavare mettendo in vendita una o due pietre per volta, ammesso di avere una clientela in grado di potersele permettere. Quindi l’acquisto di questa partita costituisce un impegno economico pesante.»

E Karnapolsky si calò gli occhiali sulla punta del naso, fissando il suo interlocutore con due occhi penetranti, prima di riprendere. «Le offro dieci milioni di dollari. E tenga presente che per raccogliere una somma simile mi occorre almeno una settimana.»

«Tra sette giorni le consegnerò le pietre», rispose Iosif, «in cambio di dieci milioni di dollari in contanti.»

«Non preferisce che li faccia versare su un conto corrente in una banca svizzera?»

«Dimentica che vivo e opero in Russia, signor Karnapolsky. Preferisco i contanti.»

«Un’ultima domanda, signor Bykov, ma se vuole può non rispondere. I tagli di quelle pietre, seppure perfetti, non sono opera di strumenti odierni. E sapendo che provengono dal nostro Paese, mi chiedo… Insomma, gli unici che potevano permettersi gioielli del genere erano i Romanov. Mi sbaglio?»

«Le risponderò con la stessa franchezza. Ci sono buone possibilità che le cose stiano così.»

New York. Marzo 1992

Timothy Hassler era partito per uno dei sempre più frequenti viaggi in Italia e Medio Oriente. La sua carriera nell’antiterrorismo stava procedendo a passi da gigante. Ma a Maggie non dispiaceva affatto essere sola: aveva moltissime cose da fare e bisogno di tranquillità.

Erano diverse sere che provava a concentrarsi, ma senza riuscire ad andare in trance. Nel corso di questi suoi esercizi aveva preso la buona abitudine di tenere acceso un registratore. Una sera, infatti, era caduta in uno stato di trance profonda e al risveglio non ricordava più niente. Lo stato di spossatezza in cui la lasciavano questi esperimenti non le consentiva di farne a vuoto.

Questa volta però, finalmente, la trance era venuta, e al risveglio riavvolse il nastro registrato. Sentì scandire dalla voce di un bambino: «Sono Francisco, voi siete i Prescelti. Guarda indietro nel tempo e scoprirai il motivo. Il regno di Satana vuole impossessarsi del Seggio degli Apostoli. Per farlo non si fermerà davanti a niente, nemmeno ad avvenimenti che potrebbero distruggere il mondo. Dovete fermare il Maligno. Guarda indietro nel tempo».

Il nastro era appena terminato, quando squillò il telefono.

«Non so se si ricorda di me», le disse una voce che non riuscì a inquadrare. «Ci siamo conosciuti a casa di Mark Dooley. Sono Gerardo di Valnure.»

«Ah, sì, certo che mi ricordo di lei, signor conte», rispose Maggie. «È un piacere saperla di nuovo a New York.»

«In realtà sono venuto proprio per lei. Ovvero, meglio, per l’aiuto che posso forse ricevere da una straordinaria sensitiva come lei. Non riesco a decifrare un’iscrizione che ho scoperto nel corso di certi lavori su una pietra d’angolo nel mio castello di Piacenza, e chissà che… Possiamo vederci, signora Hassler?»

«Con piacere. Vuole venire a colazione da me domani? Non sono una gran cuoca, ma le dedicherò volentieri tutto il tempo che riterrà necessario.»

Il signorile italiano arrivò con un mazzo di rose rosse. Non era cambiato molto da quando Maggie lo aveva conosciuto, aveva soltanto i capelli e la barba più in ordine. Vestiva un paio di pantaloni di velluto e un maglione di cachemire a girocollo. Un elegante foulard di seta spuntava dal colletto aperto della camicia.

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