Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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Iosif indossò gli abiti nuovi e scese al piano inferiore. Trovò Chalva Tanzic a capo di una tavola magnificamente imbandita, da cui si alzò per andargli incontro.
«Oh, adesso ti riconosco meglio, fratello», tuonò. «Ma che cosa diavolo ti è successo? Come hai fatto a ridurti così?» gli chiese, scrutandolo con due occhi a cui gli anni e la fin troppo evidente opulenza non avevano tolto l’espressione torva. «Ma no, abbiamo tempo per raccontarci tutto. Adesso penso che avrai fame.»
Chalva picchiò una manata su un campanello d’argento, e immediatamente entrarono due domestici con vassoi fumanti.
Iosif si avventò letteralmente sul cibo. Da quanto tempo non consumava un pasto caldo? Ci vollero parecchi minuti prima che riuscisse a parlare.
«Quel bastardo di Kaplan mi ha rovinato, Chalva», disse con voce cupa. «Non ha mai smesso di perseguitarmi, e un mattino, mentre ero fuori, ha violentato e ammazzato la donna con cui vivevo.
«L’ho strangolato con queste e lo farei ancora», continuò dopo una breve pausa, picchiando le mani sul tavolo. «Ecco che cosa mi è successo, Chalva. Sono ricercato per almeno un omicidio, quello di Nadja, la mia donna, e probabilmente anche per quello di Kaplan, se il suo cadavere è stato scoperto.»
«Ben fatto, perdiana», esplose Tanzic, chinandosi a dargli una pacca su una spalla. «E in casa mia sei al sicuro, Iosif. Nessuno verrà mai a cercarti qui. Ti procurerò dei documenti falsi, in modo che tu possa andare in giro liberamente per la città. Come vedi, me la passo bene. I miei affari rendono. Se avessi seguito i miei consigli e piantato in asso quella fogna di Ekaterinburg con me, tutto questo non sarebbe successo. Comunque adesso sei qui, e per te avrò sempre un po’ di lavoro. Mi sento responsabile delle disgrazie che ti sono capitate.»
Quindi, versatagli una colossale dose di vodka, Chalva spiegò di essere diventato il capo di un’organizzazione che si spartiva il mercato della prostituzione nella città. Sotto la spinta di quello che lui continuava a chiamare «nuovo corso», Mosca brulicava di turisti e uomini d’affari stranieri affamati della compagnia di una bella russa.
«Giovanissime, le vogliono, quei porci, che a casa loro passano metà della vita a lavarsi la bocca con l’acquasanta. Pagano bene, in bei dollari verdi e crocchianti, e io gliele procuro: le migliori.»
New York. Ottobre 1991
La serata a casa del produttore Dooley scorreva molto piacevolmente. La cucina era disinvoltamente esotica, la conversazione brillante. A Maggie, dopo tanti anni di noia con il marito, pareva di rinascere. Anche perché suo marito non c’era, trattenuto da uno dei suoi soliti impegni di lavoro.
Le erano stati presentati noti attori, conduttori, registi, opinionisti, giornalisti. «Ah», si trovò spesso a pensare, «se avessi accettato l’altra volta.» Ma adesso aveva accettato , e avrebbe cercato di fare del suo meglio. I responsabili della programmazione stavano già cercando un tema per la trasmissione di debutto, ed era stato chiesto anche a lei di proporre qualcosa. Era dal giorno prima, ovvero dalla fatidica firma apposta al contratto con l’assistenza di Derrick Grant, che ci stava pensando.
Tra gli invitati seduti attorno al grande tavolo oblungo stava riscuotendo un grande successo un bell’uomo sui cinquanta o poco più, vestito in maniera molto disinvolta come quasi tutti, ma di una signorilità del tutto particolare e dal ricercato accento londinese che ne nascondeva un altro, più musicale.
A Maggie era stato spiegato che si trattava di un nobile italiano, Gerardo di Valnure, grande viaggiatore e studioso dilettante di questioni medievali. Discendeva da un’antichissima famiglia che vantava un papa, due cardinali e un ragguardevole numero di capitani di ventura. Dal padre, straordinario bon vivant e capo scarico, aveva ereditato quanto rimaneva delle proprietà di famiglia: un castello e diversi appezzamenti di terreno, che però non producevano alcun reddito. Insomma, il conte di Valnure si era trovato senza il becco di un quattrino. Ma, diversamente da una lunga serie di antenati, aveva la testa sulle spalle, per cui aveva oculatamente venduto tutto ciò che gli era stato possibile e aperto il castello avito al pubblico, in modo da ammortizzarne i costi.
Una volta sistemate le proprietà, aveva potuto dedicarsi alla sua passione: seguire le tracce dei nobili avi, cercando di risalire il più possibile indietro nel tempo. Quando non era in viaggio per le sue ricerche, viveva in un’ala del suo castello, nel Nord Italia.
Da diversi minuti Gerardo di Valnure stava incantando i commensali con i suoi racconti su località esotiche e oscure vicende del passato remoto.
«Da qualche tempo», disse a un certo punto con la sua voce profonda e dai toni bassi, «le mie ricerche mi hanno portato ad affrontare una questione affascinante quanto tenebrosa.
«Quella dei Cavalieri del Tempio di Gerusalemme», continuò, rispondendo alla domanda di una nota giornalista che sembrava volerselo divorare con gli occhi e non soltanto.
«Che magnifico argomento, signor conte», esclamò la donna. «Dunque lei sa tutto dei misteriosi Templari. Di quello che si dice e mormora di loro, quanto è leggenda e quanto realtà?»
«Mio Dio», rispose Gerardo, «sono ben lungi dal sapere tutto. Come ha detto lei stessa, si tratta di una vicenda avvolta nel mistero, almeno per la sua conclusione.»
«Ma noi americani ne sappiamo poco o niente», intervenne il padrone di casa. «Ci illumini, per favore.»
Gerardo di Valnure sorrise e cominciò la sua rapida lezione.
«L’Ordine Templare», disse, «fu fondato a Gerusalemme attorno al 1120 da un nobile francese originario della Champagne, Hugues de Payns. Arrivato lì con altri otto cavalieri, godette a lungo dell’ospitalità di re Baldovino II in un’ala del palazzo reale. Un edificio costruito nientemeno che sulle rovine del Tempio di Salomone.
«I Templari si assunsero essenzialmente il compito di proteggere i pellegrini in viaggio per la Terrasanta. Costituivano dunque un Ordine militare, ma i suoi appartenenti prestavano i voti monastici di povertà, castità e obbedienza.
«Agli inizi vissero di donazioni dei nobili europei, ma in seguito arrivarono ad accumulare ricchezze tali da far invidia a un potente dell’epoca come Filippo IV re di Francia, detto il Bello. E questo significò la loro rovina e il fitto mistero che la circonda.»
«Un autentico mistero», intervenne la giornalista rivolta agli altri commensali. «State a sentire.»
«Sarà opportuno procedere con ordine», sorrise Gerardo di Valnure. «Nel 1128 l’Ordine Templare ottenne il riconoscimento di papa Onorio II e, sotto la guida spirituale del potente abate di Chiaravalle — il futuro san Bernardo —, si diede una ‘Regola’, sancita dal Consiglio di Troyes. In realtà consentiva diverse interpretazioni a seconda delle lingue in cui veniva tradotta.
«La lingua in uso tra i Cavalieri dell’Ordine Templare era infatti il francese, essendo quella dei fondatori. Ma in seguito Hugues de Payns e i suoi reclutarono proseliti nella più ampia nobiltà europea, soprattutto tra gli ultimogeniti, che erano destinati alla vita religiosa.
«I Cavalieri veri e propri, ovvero quelli che combattevano, vestivano una tunica con una croce rossa sul petto e sulla schiena, mentre gli ecclesiastici portavano una veste verde, anch’essa con la croce rossa.»
«Ma il mistero?» incalzò il padrone di casa.
«Le leggende sui Templari sono molteplici, anche se in genere puramente fantasiose. C’è chi dice che siano entrati in possesso di antichissimi documenti rinvenuti sotto il Tempio di Gerusalemme e risalenti all’epoca di Mosè, chi sostiene che abbiano nascosto sacre reliquie chissà dove. E così via.
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