Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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«Certo che mi ricordo di lei», riuscì a rispondere.
«Lo speravo. In una riunione editoriale di ieri abbiamo deciso che l’idea andrebbe rispolverata, visti i suoi successi. La storia di quella bambina ha tenuto gli Stati Uniti con il fiato sospeso per tre giorni.»
Dooley si riferiva all’ultimo caso risolto, una bambina di dodici anni scomparsa nel Nevada. Maggie l’aveva vista in fondo a un pozzo asciutto e aveva contribuito a farla ritrovare ancora in vita.
«Come sa, rinunciare mi è dispiaciuto, ma…»
«Mi permetta d’insistere, signora Hassler. Abbiamo in mente una trasmissione da lanciare tra sei o sette mesi. E per condurla vogliamo lei.»
«Non so… Devo riparlarne con mio marito.»
«Lo faccia, signora Hassler. Ci auguriamo tutti che questa volta decida di accettare.»
Derrick Grant arrivò puntuale. L’invito a cena era per le otto e mezzo, e a quell’ora in punto suonò alla porta della villetta a due piani nel quartiere residenziale di Wards Island. Aveva con sé un regalino e un mazzo di fiori per Maggie. Ormai il suo studio si stava avviando a divenire uno dei più rinomati di New York.
La conversazione procedeva piacevole, e circa a metà della cena la padrona di casa disse: «Oggi mi ha chiamato di nuovo Dooley».
«Dooley chi?» chiese Timothy.
«Il produttore televisivo che mi aveva proposto di condurre una trasmissione. Si è rifatto vivo con la stessa proposta.»
«Mi sembra che ne abbiamo già discusso allora, no?»
Derrick seguiva con un certo imbarazzo quello che aveva tutta l’aria di voler degenerare in un litigio tra coniugi.
«Questa volta, però, vorrei provare», tenne duro Maggie.
«Ti ho già detto come la penso e non vorrei tornarci sopra. Comunque puoi fare quello che vuoi. Derrick, ti prego di scusarmi, ma mi è venuto un terribile mal di testa.» E Hassler si alzò di scatto, dirigendosi verso il piano superiore.
Maggie cercò di dissipare il gelo calato nella sala. «Per lui è una cosa inconcepibile», disse in un tono che non era per nulla lieve come avrebbe voluto.
«A me invece non sembra affatto una cattiva idea, tanto più che ormai sei un personaggio pubblico: i giornali sono pieni di tue foto. Se hai bisogno di me, considerami a tua disposizione. Non so, per il contratto, o qualsiasi altra cosa.»
Maggie lo ringraziò con uno sguardo velato di malinconia che lo fece sbottare: «Non voglio intromettermi nella tua vita, e se vuoi non rispondere. Ma sei felice?»
«Certo, Derrick, sono felice», rispose lei dopo una breve esitazione. Ma ancora una volta il suo tono suonò falso.
Mosca. Agosto 1991
La mente di Iosif Drostin era annebbiata dalla vodka. Si aggirava per la città in abiti lisi e luridi e con passo malfermo, rovistando nei bidoni dei rifiuti. Passando davanti a una vetrina, si piantò a gambe larghe di fronte alla propria immagine e scoppiò a ridere sguaiatamente: ecco com’era ridotto il depositario del segreto di un tesoro. Ma la risata si trasformò in un singulto alcolico.
Gli anni erano passati, ma la ferita aperta dalla morte di Nadja non si sarebbe mai rimarginata. Aveva abbandonato precipitosamente Ekaterinburg con il primo treno per Mosca, lasciandosi dietro quasi tutto. La grande metropoli era il solo posto che potesse nasconderlo. Ma ci aveva messo poco a capire che, senza lavoro e addirittura senza una vera identità, gli sarebbe stato difficile vivere.
Aveva provato con il mercato nero, con lavoretti saltuari, ma a poco a poco si era rassegnato a vivere ai margini di una società già in sé misera. Aveva trascorso inverni di gelo, dividendo con altri diseredati magri falò di cartacce e poche briciole di cibo. Non appena riusciva a racimolare qualche spicciolo correva a comprare una bottiglia di vodka scadente: l’unico rimedio al freddo, ma soprattutto all’angoscia che aveva dentro.
Due ragazze uscirono dall’Hotel Belgrad sorridendo. Quasi certamente prostitute per i turisti e gli uomini d’affari che affollavano l’albergo. Una delle due mostrò all’altra un fascio di banconote. Drostin, seduto sul marciapiede, seguì la scena: erano almeno duecento dollari americani. Una cifra per lui enorme.
Scattò come un lupo famelico, raggiunse le due ragazze e con un violento strattone strappò la borsetta dove aveva visto riporre i dollari. Poi scappò.
Corse a perdifiato per molto tempo, finché non svoltò in una stradina buia e senza uscita. Doveva prendere i soldi e disfarsi della borsetta.
Una Mercedes nera piombò nel vicolo con uno stridio di gomme. I tre uomini che ne scesero erano armati, e lui troppo debole per tentare una reazione. Lo presero. Mentre due lo tenevano da dietro, il terzo gli rovesciò una gragnola di pugni allo stomaco, finché uno di loro disse: «Basta, facciamolo fuori. Questi miserabili devono imparare che le nostre ragazze non si toccano». E gli puntò la pistola alla tempia, facendo scattare la molla del percussore.
Iosif si preparò a morire.
«Aspetta», disse un altro. «Sai che il capo non vuole che prendiamo certe iniziative.»
«Già, il diritto di condannare a morte lo vuole tutto per sé.»
«Insomma, sai com’è fatto, non vorrei che s’incazzasse.»
Iosif fu caricato sull’auto, ridotto a una maschera di sangue.
Alcuni minuti più tardi, in una zona a nord-est di Mosca, la Mercedes nera s’infilò in un pesante cancello automatizzato e imboccò il vialetto di una villa.
Due uomini sorressero per le ascelle Iosif, che nel corso del breve tragitto aveva perso i sensi diverse volte e ciondolava in avanti, trascinandolo in una cantina scarsamente illuminata. La voce che sentì gli sembrò lontana, ovattata.
«Sarebbe questo il bastardo che ha scippato una delle nostre ragazze? C’era bisogno di portarlo qui? Fatelo fuori.»
Iosif alzò la testa, farfugliando un tentativo di scusa. Il capo dei malviventi lo vide per la prima volta in faccia ed ebbe un attimo di esitazione. Poi si avvicinò e lo guardò meglio, con un’espressione indecifrabile.
«Drostin! Iosif Drostin! Fratello!» sbraitò finalmente. E gli gettò le braccia al collo.
Con la vista ancora annebbiata, Iosif cercò confusamente di capire che cosa stesse succedendo. Ma abbinare quel viso a Chalva Tanzic, il suo vecchio compagno di lavoro, fu un’operazione che richiese alcuni secondi.
«Liberatelo, imbecilli!» urlò Tanzic ai suoi, allibiti. «Iosif Drostin è un vecchio amico.»
Una donna si prese cura di lui, gli pulì e medicò le ferite e lo fece stendere su un letto al piano superiore.
Iosif dormì a lungo, finalmente con la testa su un guanciale. Quando si svegliò, trovandosi nudo tra le lenzuola, doveva essere sera. Su un attaccapanni in un angolo vide degli abiti. Si alzò ancora dolorante e puntò verso il bagno, attiguo alla camera.
L’arredamento della casa gli parve di un lusso sbalorditivo, anche se in realtà era soprattutto di pessimo gusto. Tende e drappeggi di colori sgargianti pendevano un po’ dappertutto. Il bagno era in marmo, e ovunque girasse lo sguardo vedeva la sua figura emaciata riflessa in uno specchio. Stentò a riconoscersi. Dov’era finito il corpo agile e robusto di un tempo?
Si immerse nella vasca da bagno, provando uno straordinario piacere nel sentirsi l’acqua sul corpo. A mano a mano che si raschiava dalla pelle la sporcizia accumulata in quegli anni di miseria, il suo spirito cominciò a sollevarsi.
Quando rientrò nella stanza, trovò un’altra donna ad aspettarlo.
«Finalmente ti sei svegliato. Hai dormito una notte e un giorno filati», disse la giovane, sfoderando un bel sorriso. Era alta, formosa e vestita all’occidentale, con una minigonna molto corta. «Mi chiamo Xenia e sono qui per soddisfare qualsiasi tua necessità. Intanto Chalva ti aspetta a cena giù in sala da pranzo.»
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