Marco Buticchi - Profezia
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- Название:Profezia
- Автор:
- Издательство:Longanesi
- Жанр:
- Год:2000
- Город:Milano
- ISBN:978-88-304-1651-2
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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«Vedo che Drostin si tratta bene», commentò sardonicamente, mettendo in mostra la difficoltà che aveva nel parlare.
«Chi è lei?» chiese Nadja, impaurita dalla pistola.
«Un amico di Iosif. Ho un debito con lui e sono qui per saldarlo.»
«Se ne vada, Iosif tornerà a minuti e se la trova qui…», cercò di mentire Nadja.
«Il tuo bello è molto lontano, cara puttanella. Ha preso un autobus ed è andato nella zona dei Quattro Fratelli. L’ho seguito, come avevo già fatto domenica scorsa. E adesso tu, da brava, mi dici che cosa va a cercare in quella miniera abbandonata.»
«Non saprei proprio. Penso che vada a fare un po’ di moto, per respirare aria buona. Adesso, però, la prego di andarsene.»
La mano aperta di Kaplan la colpì in faccia come una mazza. Nadja barcollò e si precipitò verso la cucina. Ma sapeva di non avere scampo.
Le mani dell’uomo l’afferrarono per i capelli, provocandole un intenso dolore.
Kaplan la buttò a terra e, sempre puntandole addosso l’arma, continuò il suo interrogatorio.
«Che cosa va a fare il tuo uomo ai Quattro Fratelli?»
«Le ho detto che non lo so», ripeté Nadja, sentendo in bocca un brutto sapore di sangue.
Kaplan le sferrò un calcio sul fianco destro, che la lasciò senza respiro.
«Ti ho chiesto una cosa e voglio una risposta.»
«Non lo so, glielo giuro.»
«Allora cambierò tecnica.»
Nadja era talmente atterrita che non sarebbe nemmeno riuscita a urlare. Sentì le sue mani afferrarle la camicia da notte e strapparla via, si trovò nuda sul pavimento. Le mani di Kaplan immobilizzarono le sue come due morse. Se lo sentì sopra. Le gambe dell’uomo premettero contro le sue, divaricandole. Avvertì un dolore atroce. Lo sconosciuto la stava violentando.
Iosif raggiunse il primo pino, individuò subito quello abbattuto e, guardandosi attorno, cominciò a cercare tracce degli altri due. Non era facile. Servendosi soltanto di un ramo secco doveva aprirsi un varco tra la vegetazione in cerca di un grosso ceppo reciso o di una buca profonda, dove una volta potevano essere state alloggiate le radici dell’albero.
Ma aveva lo spirito leggero, sentiva che qualcosa nella sua vita stava cambiando, che la fortuna si era finalmente messa dalla sua parte, e tenne duro. Dopo circa un’ora inciampò quasi in un grosso ceppo, tagliato da chissà quanti anni ma ancora solidamente ancorato al terreno. Si trattenne a stento dall’esplodere in un urlo di trionfo. Adesso disponeva di tre punti cardinali. Trovare il quarto, supponendo che i quattro alberi fossero stati piantati a formare un rombo o un quadrato, sarebbe stato più facile.
Dopo quasi quattro ore sentì aprirsi sotto i piedi una grossa buca. Il tempo e le piogge avevano rimarginato la ferita, addolcendone i contorni, ma era evidente che in quel punto un tempo doveva esserci stato un grosso albero.
La supplica uscì dalle labbra di Nadja come un rantolo soffocato. «Basta. Per pietà.»
«Basta, certo. Basta che tu mi dica che cosa va a fare Iosif ai Quattro Fratelli», incalzò Kaplan con il respiro affannoso.
Nadja provò ribrezzo nel sentire il suo alito sul viso. Si sentiva violata e umiliata in ogni parte del corpo, della mente. Ma perché? Perché?
«Non te lo dirò mai, maledetto. Mai.» E cercò per l’ennesima volta di divincolarsi, ma l’uomo steso sopra di lei le impediva ogni movimento. Come in un incubo orribile lo sentì irrigidirsi, il respiro di Kaplan divenne un rantolo.
La sua smorfia di piacere si trasformò in un ghigno sadico, mentre le stringeva entrambe le mani sulla gola come una morsa. Raggiunse il piacere accasciandosi su un corpo ormai senza vita.
Iosif legò un capo dello spago al pino, poi lo stese con cura finché non raggiunse il ceppo, quindi ripeté la stessa operazione tra la buca delle radici e la base dell’albero abbattuto. A quel punto aveva formato una croce, al cui centro era convinto si trovasse il tesoro di nonno Igor. Quando, servendosi della pala e delle mani, cominciò a estirpare la vegetazione alla convergenza delle diagonali tra i quattro alberi, non sentiva più né freddo né fatica.
Sgombrò dagli sterpi tutta la zona e stava per cominciare a vangare nel quadrato di terra brulla, quando l’istinto lo paralizzò.
Gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo, alle battute di caccia in Siberia. Cercò riparo, acquattandosi tra la vegetazione bassa, ma il rumore si ripeté: uno scricchiolio smorzato. Non un rumore di rami spezzati, ma un altro suono che conosceva bene e che gli fece paura.
Kaplan sbucò dalla boscaglia puntando la pistola.
«Puoi smettere di cercare, Drostin. Continuerò io.»
Iosif non tentò nessuna reazione, rialzandosi.
«Ti troveranno qui con una pistola, suicida dopo il terribile reato di cui ti sei macchiato.»
«Che cosa stai dicendo, Kaplan? Quale reato?» replicò Iosif, tentando di prendere tempo. Ma la luce di follia negli occhi di Kaplan faceva chiaramente intendere che presto avrebbe premuto il grilletto.
«Te lo avevo detto che ti avrei presentato il conto, Drostin.»
«Non sono stato io.»
«Ah, no, eh? Mentire non servirà a salvarti la pelle», urlò Kaplan, adesso con uno sguardo veramente folle. «Così come non è servito a quella puttana della tua compagna. Le è piaciuto, sai? Peccato che sia l’ultimo ricordo che si è portata dietro.»
Iosif scattò come una molla, incurante della pistola, e in un baleno gli fu addosso come una tigre inferocita.
Kaplan sparò due volte. Il primo proiettile colpì Iosif di striscio alla spalla sinistra, il secondo lo mancò.
Lui lo colpì a sua volta con un calcio alla mano, facendo volare lontano la pistola. Poi tempestò il volto sfigurato con i pugni chiusi. Era accecato dal furore, e soprattutto dalle ultime parole di Kaplan. Continuò a martellarlo finché l’altro non cessò ogni accenno di reazione.
«Che cosa le hai fatto, maledetto?» gridò, disperato, quando lo vide cadere ai suoi piedi.
Kaplan era una maschera di sangue, e il ghigno dei suoi denti apparve ancora più sinistro. «L’ho violentata e le ho spezzato il collo», rispose, scoppiando in un riso gorgogliante. La follia era ormai padrona della sua mente.
Drostin avvertì un brivido lungo la schiena, poi strinse forte le mani finché non sentì le cartilagini della carotide cedere. Dalla bocca di Kaplan uscì l’ultimo rantolo.
Iosif si accasciò sulla terra spoglia, annichilito dalla disperazione. Ci vollero parecchi minuti prima che riuscisse a imporsi di tornare lucido.
Tamponata come poteva la ferita alla spalla sinistra, che capì non essere grave, trascinò il corpo di Kaplan in un anfratto e lo nascose tra la vegetazione più fitta.
Quando tornò alla strada maestra, stava arrivando l’ultimo autobus. Davanti alla casa di Nadja vide due auto della polizia. Dissimulatosi tra la folla dei curiosi, chiese: «Che cosa è successo?»
«Hanno ammazzato una ragazza. Pare che sia stato il suo fidanzato, un poco di buono che lavora, alla fabbrica giù al lago.»
Drostin si strinse nelle spalle e si allontanò. Era completamente svuotato, senza più nessuna voglia di vivere. A governare la sua mente era ormai solamente l’odio. Un odio in forma di gelida ragione.
Se non voleva finire i suoi giorni in carcere per un crimine non commesso, doveva scappare. Ma dove?
3
New York. Maggio 1991
«Casa Hassler. Chi parla?» chiese Maggie.
«Sono Mark Dooley. Vorrei parlare con la signora.»
«Sono io.»
«Non so se si ricorda di me, ma circa cinque anni fa le avevo proposto di condurre una trasmissione televisiva.»
Maggie rimase un attimo interdetta. Dopo essersi consultata a lungo con Timothy, aveva declinato l’offerta. Lo aveva fatto con molto rimpianto, ma per la pace in famiglia aveva deciso che sarebbe stato meglio così. Nel corso di quei cinque anni, però, le sue sensazioni avevano contribuito a risolvere almeno una trentina di casi. E adesso…
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