Marco Buticchi - L'anello dei re

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Un attentato a New York semina il panico tra la popolazione, ma si tratta solo di un primo caso di una serie di agguati verso la popolazione musulmana. Il rivendicatore si firma “Giusto in nome di Dio” e imprime sulle sue lettere il sigillo a 6 punte del re Salomone. Si alternano quindi le vicende dei possessori dell’anello. Dalla Venezia del 1300 si passa al fronte carsico della Grande Guerra e poi fino alla dittatura di Ceausescu in Romania.Questi flash-back si alternano alla ricerca del “Giusto” da parte di Oswald Breil e Cassandra Ziegler. Dopo numerosi colpi di scena , intrighi di potere, di cui sono protagonisti anche personaggi realmente esistiti, i protagonisti riescono a scoprire la vera identità del “Giusto” e evitare l’ennesimo massacro.

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«Buonanotte a te.»

Vladislav si sdraiò accanto al fuoco. Adil prese posto a poca distanza da lui.

Complici la notte scura della foresta e il cielo terso sopra le cime degli alberi, i due si avvicinarono, sino a quasi sfiorarsi. La mano di Vlad si posò dapprima sulla spalla, quindi accarezzò la nuca di Adil. Fu a questo punto che l’altro si volse e le loro labbra si incontrarono in un bacio lungo e appassionato.

«Che cosa stiamo facendo?» disse Vlad ritraendosi incredulo e imbarazzato. «Allontanati. Te ne prego.»

Adil si spostò, ma nello stesso tempo provò a parlare: «Aspetta, Vlad, non è come tu pensi…»

A un tratto un cespuglio poco lontano parve scosso da un vento tanto impetuoso quanto improvviso. Un istante più tardi un orso sbucava dalla macchia.

L’animale era di medie dimensioni, ma non per questo poco pericoloso: non erano rari i casi in cui gli orsi bruni dei Carpazi avevano dilaniato e ucciso uomini e bestiame.

La mano di Vladislav corse istintivamente alla cintura. Il giovane sguainò la spada e si preparò a combattere.

Adil invece fu colto alle spalle dalla carica dell’animale. La zampa anteriore dell’orso fendette l’aria dietro la testa del giovane, che ebbe però il tempo di girarsi di tre quarti e menare un fendente con il pugnale, nello stesso istante in cui l’orso stava per colpirlo.

Vlad si lanciò addosso alla bestia: se non l’avesse fatto l’orso avrebbe ridotto a brandelli il suo compagno. Lo colpì più volte alla schiena, ma non riuscì a ferirlo a morte, anzi l’unico effetto che ottenne fu di scatenarne ulteriormente l’aggressività. L’orso si volse, drizzandosi in piedi davanti a Vladislav, allargò minaccioso le zampe anteriori munite di artigli affilati come pugnali e si preparò ad aggredire. Adil strinse il pugnale nella mano e affibbiò un colpo dal basso verso l’alto tra le scapole dell’animale, che parve vacillare per alcuni istanti.

Allora Vlad mirò al centro del petto: la lama penetrò quasi sino all’elsa e l’orso si accasciò riempiendo la foresta del suo urlo di morte.

Ansimante, Adil ebbe la forza di rivolgere un sorriso al compagno, ma questi, ancora divorato dal rimorso per quel bacio contro natura, non osava alzare lo sguardo su di lui. La luce del fuoco era ancora viva: gli artigli dell’orso avevano strappato la casacca e la camicia di Adil.

Vlad si sincerò con un rapido sguardo che il compagno non fosse ferito. Fu allora che i suoi occhi increduli si fermarono sul seno sodo e tornito: la zampata dell’orso aveva ridotto a brandelli anche la fascia con cui Celeste soleva costringerlo e nasconderlo alla vista.

«Ma tu… ma tu sei…» Gli occhi di Vlad avevano un’espressione incredula e felice come quelli di un bambino di fronte alla magia di un illusionista.

«Era proprio quello che stavo cercando di dirti, Vlad, prima che questo bestione venisse a interrompermi. Volevo anche dirti che non sei il solo a cui sono capitate cose strane dal momento del nostro incontro…»

Celeste non fece a tempo a finire la frase: la bocca di Vlad sulla sua la ridusse al silenzio.

Il fuoco li vide avvinghiati, e fu il loro unico testimone mentre, sotto le stelle della notte d’estate, rotolavano nudi sulle stuoie.

Per la prima volta Celeste si strinse a un uomo, lo scoprì palmo a palmo. Si soffermò sulle loro diversità e imparò, guidata dalla mano di Vlad, a conoscere i segreti dei loro corpi.

L’istinto e il desiderio furono buoni maestri. Quando lo sentì premere contro di lei si aprì per accoglierlo.

Le labbra della giovane cercarono quelle di lui per soffocare il grido di dolore. Ma fu un attimo. Le bocche rimasero incollate in un interminabile bacio che trattenne nelle loro gole un urlo di piacere.

Con la forza della gioventù rimasero avvinti tutta la notte, cercandosi e donandosi a vicenda. Il giorno li sorprese ancora abbracciati.

«Perché eri travestita da uomo, Celeste?»

Brevemente la ragazza gli parlò di Campagnola e della persecuzione che il veneziano aveva compiuto ai danni della sua famiglia.

«Non avrai più nulla da temere: accanto a me non correrai alcun pericolo. Sempre che tu voglia restare al mio fianco… lo vorrei tanto… io… io credo di essermi innamorato di te.»

I due giovani legarono le zampe della preda a un palo e, non senza fatica, trasportarono l’orso sino alla residenza del voivoda di Valacchia. Non fecero parola con nessuno del loro segreto, sino a che Vladislav non si confidò con la madre e Adil parlò del suo desiderio di ritornare a essere donna con Humarawa.

Era sera quando, in una sala della residenza, Vladislav chiese la parola al padre.

Gli uomini, seduti attorno al fuoco e intenti a raccontarsi a vicenda epiche imprese di caccia, fecero silenzio.

«Avrei deciso di sposarmi, padre mio», disse il giovane al principe.

«Sei nell’età giusta, Vladislav. La figlia dei principi di Moldavia mi sembra un ottimo partito. Altrimenti cercherò tra i nostri confinanti per trovare una moglie adatta a te, figlio.»

«Se non vi dispiace, padre, avrei già scelto la mia sposa.»

«Mi auguro sia di nobile lignaggio…»

La moglie del principe lo colpì sotto la tavola con il ginocchio, ricordandogli con quel gesto che lei proveniva da una benestante famiglia di mercanti, ma non aveva certo origini principesche.

«Su chi sarebbe ricaduta la tua scelta, Vlad?» chiese il padre, cercando di non apparire troppo intransigente.

«Vorrei sposare… Adil… padre mio.»

«Adil?! Adil?!» Mano a mano che il significato delle parole del figlio prendeva corpo nella mente del principe, la sua voce si faceva più vibrante. I cacciatori erano improvvisamente ammutoliti. «Non starai parlando di quell’Adil? Il tuo compagno nella battuta di caccia, non è vero?»

«Proprio lui avrei scelto… aspetta un solo istante, padre.»

Ma l’incredulità ormai aveva lasciato il posto all’ira.

«Non è possibile… tu, mio figlio, sei… sei un… sodomi…» Non finì la frase.

Il vestito di gala che la madre di Vlad aveva prestato a Celeste aveva avuto bisogno di qualche ritocco e Rhoda si era impegnata con ago e filo per molte ore. Adesso la veste di colore azzurro tenue le stava a pennello.

Un corpetto ricamato con fili d’oro e impreziosito da pietre dure scendeva dalle spalle fin quasi alla vita. La parte superiore della veste era abbastanza aderente e lasciava intuire la soda rotondità del seno. Le maniche, anch’esse attillate, coprivano le braccia sino ai polsi. La sopraveste era in preziosa stoffa di Francia ricamata e terminava in un corto strascico. Sul capo, Celeste portava un cappello a rete dello stesso colore dell’abito, formato da due falde imbottite che si univano proprio sopra alla fronte. Qui Humarawa aveva personalmente inserito il proprio regalo di fidanzamento: uno zaffiro delle dimensioni di un uovo di quaglia, e blu come gli occhi della sua figlia adottiva.

Celeste era bellissima. Quando apparve nel vano della porta il silenzio si fece palpabile. Incedeva con passo sicuro, benché fosse la prima volta che indossava scarpe da donna.

Il principe Nicolae rimase a bocca aperta e la sua espressione irata si trasformò in bonario sorriso.

Gli occhi di Humarawa e Wu si incontrarono per un istante, poi il samurai e il cinese distolsero lo sguardo: due guerrieri della loro fama non avrebbero mai dovuto cedere alla commozione di cui si sentivano preda.

45

Agosto 2004

Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.

Certo, era vero quello che il conducator Nicolae Ceausescu mi aveva detto: io conoscevo più cose di quanto si potesse supporre. E se un giorno fosse riuscito a sapere come e perché ero giunto sino a lui, forse mi avrebbe fatto fare la stessa fine che si mormorava avessero fatto molti oppositori del regime. A dire il vero il conducator aveva bisogno di molti appoggi in quel periodo: il suo più ambito traguardo pareva consistere nell’affrancarsi dal giogo, non solo economico, dell’Unione Sovietica. Era inutile che si facesse altri nemici, oltre ai dirigenti del soviet che già non vedevano di buon occhio la sua smania di indipendenza.

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