Gli occhiali dalla montatura sottile lasciavano intravedere gli occhi dalla forma allungata e il colore azzurro chiaro dell’iride. L’aria da studiosa della brillante dirigente Cassandra Ziegler, responsabile dell’ufficio Affari pubblici dello staff esecutivo di Conrad Deuville, contrastava col suo aspetto avvenente. Cassandra svolgeva un ruolo essenziale al vertice della struttura federale: era una sorta di braccio esecutivo del direttore. E in più di una occasione il suo acume e le sue capacità di donna avevano tolto d’impiccio l’intero staff da situazioni a dir poco imbarazzanti nei confronti dei referenti politici.
Poteva apparire strano, ma la sua bellezza le aveva creato più di un problema nel mondo del lavoro: erano ancora poche le persone disposte a credere che una bella ragazza potesse essere anche intelligente. Così Cassandra aveva dovuto faticare parecchio per dimostrare le sue capacità. Adesso, oltrepassati da poco i quaranta, era ancora una donna dotata di grande fascino ed era riuscita, con continui esami sul campo, a superare la diffidenza che pareva sorgere ogni volta che qualche collaboratore o superiore la guardava nei suoi bellissimi occhi.
«Permettimi di non essere del tutto d’accordo con te, Andrew», disse Cassandra rivolta a Chandler. «Io non penso che il Giusto voglia mostrare solamente una pista agli inquirenti. Credo invece che questi messaggi siano l’espressione della sua natura narcisistica. Una sorta di indicazione che gli dia modo di dire: ‘Guardate la mia grandezza, quello di cui vi avevo avvertito si è puntualmente avverato’.»
«Narciso o no», intervenne il direttore dell’FBI, «noi siamo qui a brancolare nel buio, mentre quel pazzo sta piazzando le sue micidiali cariche esplosive in qualche parte del mondo. A proposito, i nostri hanno appena finito di vagliare ore e ore di videocassette registrate dalla sicurezza in aeroporti, valichi di confine e stazioni ferroviarie nel raggio di cento chilometri da Hormuz. Senza contare le riproduzioni delle telecamere interne ed esterne al palazzo delle Nazioni Unite. Il Giusto sa come eludere qualunque sofisticato sistema di controllo: nessun evento fuori dalla norma né persone sospette sono stati ripresi dalle telecamere nei giorni precedenti gli attentati.»
L’aria calda e umida non contribuiva a mitigare l’amarezza che Deidra Blasey provava in quel momento. L’aeroporto internazionale del Cairo era lo specchio del caos che regnava nella città che più al mondo aveva il potere di mettere a disagio il colonnello degli artificieri dei marine. Quella maledetta metropoli le aveva portato via il suo unico figlio. Per fortuna mancavano poche ore alla partenza del volo militare che avrebbe ricondotto a Fort Lejeune lei, la sua squadra e alcuni giornalisti che documentavano le azioni di guerra: non avrebbe resistito ancora per molto in quel luogo.
Il sergente Kingston parlò come se conoscesse i pensieri del suo superiore: «Certo che non deve essere facile per lei, colonnello, ritornare da queste parti».
Deidra Blasey represse a stento una risposta carica di rancore e si limitò a un cenno di assenso col capo.
Il Cairo Maadi Tower Casino era un hotel molto elegante e apparteneva a una multinazionale a capitale arabo-francese. Era dotato di centosettanta camere, tre suite e un casinò tra i più frequentati della capitale egiziana. Dalle finestre delle stanze si poteva godere la vista del Nilo e, in lontananza, si scorgevano le sagome delle piramidi. La struttura alberghiera distava una dozzina di chilometri dal centro della città e una quarantina di minuti dall’aeroporto internazionale.
L’ora non era quella in cui le sale da gioco si riempivano di avventori: all’interno del casinò si trovavano in quel momento un centinaio di persone e quasi altrettanti dipendenti.
Al tavolo numero 6 di roulette americana, un anziano arabo stava perdendo la sua partita contro il calcolo delle probabilità. La pallina saltellò sui numeri. Nella sala scese il silenzio: l’arabo aveva puntato qualcosa come centomila dollari in una sola mano. La bianca sfera d’avorio parve esitare, entrò e uscì più volte dagli alloggiamenti, compì una piroetta e andò a posarsi nello scasso del doppio zero.
E in quell’istante scoppiò il finimondo.
Almeno quindici cariche d’alto potenziale esplosero simultaneamente. L’intero stabile del Cairo Maadi Tower Casino sembrò accartocciarsi su se stesso, quindi l’edificio collassò avvolto in una nuvola di polvere e fumo.
Il velivolo militare americano era in fase di decollo quando sorvolò a bassa quota ciò che restava del Maadi Tower.
«Guardi laggiù, sergente Kingston», disse Deidra Blasey indicando il luogo dell’attentato, «dev’essere successo qualche cosa di molto grave.»
Altri occhi, a bordo dell’aereo, si soffermarono sulla scena e l’operatore della K.C. News riuscì a mettere mano alla telecamera e a riprendere per qualche secondo il luogo del disastro.
Jordan Cruner si era appena appisolato. Le voci concitate dei suoi colleghi di viaggio, seduti nelle ultime file, lo svegliarono.
«Ma che cosa avete da gridare?» chiese Cruner con aria seccata.
Fu l’operatore a metterlo al corrente di quello che avevano appena intravisto sotto di loro.
«C’erano almeno una decina di mezzi di soccorso e ne stavano arrivando molti altri da ogni direzione», disse il tecnico.
Cruner non chiese permesso a nessuno dei membri del personale di bordo e, preso il telefono cellulare, compose il numero della redazione della K.C. News al Cairo: doveva sapere che cosa era successo là sotto e, qualsiasi cosa fosse stata, la K.C. News sarebbe, come sempre, arrivata per prima.
Pochi istanti più tardi Cruner si apprestava a registrare un servizio dalla carlinga dell’aereo.
L’espressione del direttore dell’FBI era imperscrutabile. La comunicazione era nelle sue mani da qualche minuto, il tempo necessario per leggerla almeno un paio di volte. Infine Deuville rilesse, scandendo le parole, il punto nodale della missiva alla responsabile degli Affari pubblici dell’FBI: « La Commissione anti-terrorismo, in rappresentanza del Congresso degli Stati Uniti, ha deliberato, in data 15 ottobre 2002, che le indagini sugli attacchi terroristici compiuti dal sedicente ‘Giusto in nome di Dio’ siano svolte dalle agenzie governative preposte al controllo del territorio al di fuori di quello nazionale. Gli attentati, infatti, sono stati compiuti per lo più oltre i confini degli Stati Uniti d’America. Con la presente si invita quindi codesto Ufficio federale a consegnare quanto in suo possesso, nonché i risultati delle indagini sino a ora svolte. Si ammonisce altresì codesto Ufficio di voler ottemperare alla delibera del Congresso e di abbandonare le indagini in corso, dandone opportuna informazione all’Agenzia titolata a indagare.
«Siamo fuori, Cassandra!» disse Deuville, rivolgendosi alla sua collaboratrice con aria più malinconica che infuriata.
Contemporaneamente, presso la sede della Central Intelligence Agency a Langley, in Virginia, George Glakas, seduto alla sua scrivania, stava esprimendo tutta la sua soddisfazione nel leggere la medesima lettera.
«E adesso siete fuori, cari i nostri cugini federali», disse tra sé Glakas, sorridendo a denti stretti. «Da questo momento in poi il ‘Giusto in nome di Dio’ è affar nostro, anzi è affare di mia esclusiva competenza.»
Glakas conservava un ricordo confuso dell’invasione della sua terra d’origine. Aveva solo sei anni quando i turchi avevano occupato circa il quaranta per cento dell’isola di Cipro. Il caposettore della CIA ricordava la fusoliera bianca dell’aereo americano che avrebbe condotto lui, suo padre e suo fratello negli Stati Uniti: sua madre era rimasta uccisa in quello che venne definito un «tragico incidente», innescato da un mezzo corazzato delle truppe turche sbarcate a Cipro in quel lontano 1974.
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