Mario Stern - Il sergente nella neve
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- Название:Il sergente nella neve
- Автор:
- Издательство:Einaudi
- Жанр:
- Год:2001
- Город:Torino
- ISBN:9788806160319,8806160311
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 2
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Non riesco a rendermi conto della situazione. Ogni tanto sentiamo degli spari alla nostra destra. Postiamo le armi, pronte per far fuoco; una all’angolo di un’isba e l’altra davanti a un piccolo cocuzzolo. Faccio puntare in due direzioni differenti, cosí a istinto, verso la steppa. È notte fonda, forse le due del mattino, il cielo si copre lentamente e la luna che sta tramontando alle nostre spalle, tra uno squarcio e l’altro delle nubi, illumina la steppa davanti a noi. Quando esce dico ai miei compagni di mettersi nell’ombra.
Il tenente entra nell’isba piú vicina. Sono povere isbe, piú povere delle solite, piccole e fredde anche a guardarle. Ma il tenente esce subito impugnando la pistola.
Mi grida di correre da lui. Vado ed entro con una bomba in mano. Vi sono due donne e dei bambini e vuole che li leghi. Penso che il tenente stia proprio perdendo la ragione. Le donne e i bambini hanno capito e mi guardano con occhi terrorizzati. Piangendo si rivolgono a me parlando in russo. Che voce avevano le donne e i bambini! Sembrava il dolore di tutta l’umanità e la speranza. E la rivolta contro tutto il male. Prendo per un braccio il tenente ed usciamo. Il tenente, sempre impugnando la pistola, entra in uníaltra isba. Lo seguo.
Qui trovo dei soldati sbandati della divisione Vicenza.
Stanno rannicchiati sotto il tavolo, disarmati, semiassiderati, e pieni di paura. Su un letto di ferro c’è un vecchio.
Il tenente mi grida: – È un partigiano, ammazzalo! – Il povero vecchio mi guarda sospirando e tremando tutto da far ballare il letto. – Legalo, se non vuoi ammazzarlo,
– mi grida ancora il tenente. Antonelli è entrato nell’isba e ha visto tutto. Il tenente mi indica in un angolo un pezzo di corda. È proprio pazzo. Mi chino lentamente a prendere la corda; Antonelli leva le coperte al vecchio e mi avvicino. Il vecchio! Il vecchio è un povero paralitico e getto via la corda e dico al tenente: – Che partigiano, e partigiano. È un paralitico! – Il tenente esce dall’isba, si vede che ha ancora un briciolo di ragione. Sotto il tavolo vi sono sempre quei poveri diavoli della Vicenza pieni di paura e io li invito a venire con noi. – Non m’affido; non míaffido, – dicono. E rimangono. Esco con Antonelli e lasciamo in pace quella povera gente.
Sotto, dove è appostata un’arma, proprio sotto terra sento dei bisbigli. C’è una botola. È uno di quei buchi in cui i russi ripongono le provviste per l’inverno: una specie di cantina vicino all’isba. Tiro su la botola. Vediamo giú un lume acceso e donne e bambini stretti lí sotto.
Salgono la scaletta ed escono fuori uno alla volta con le mani alzate. Mi viene da sorridere ma i bambini piangono. Ma quanti sono? Non finiscono mai. Antonelli ride e dice: – C’è un formicaio là sotto –. Mando tutta quella gente nelle isbe e ci vanno contenti e di corsa. Fortuna per loro che il tenente non si è accorto di niente. Dopo un po’ un ragazzino ci porta delle patate calde bollite.
Due bombe di artiglieria passano sibilando sopra di noi e scoppiano all’altra estremità del paese. Mi accorgo che due colonne nella steppa stanno venendo verso di noi. Russi o nostri sbandati? Sono ancora lontani ed è notte. Ogni tanto la luna esce ad illuminare la steppa ma ora s’è fatto quasi completamente buio. Il tenente è ritornato. Si è accorto anche lui della gente che sta venendo verso di noi. Forse è ritornato per questo. – Sparate!
– dice. – Sparate! Avanti, sparate. – No, – dico io, – non sparate; state calmi, non fate rumore.
Le armi erano piazzate, il tenente diceva: – Sparate, sparate vi dico –. E io: – No. Bisogna aspettare che siano piú vicini, abbiamo poche munizioni e poi potrebbero anche essere italiani o tedeschi –.
I pochi uomini che mi sono rimasti dei cinquanta del plotone hanno ancora fiducia in me, e non sparano. – È matto il tenente, – dice Antonelli. – È matto, – dice qualcun altro. – Perché sparare? non c’è nessuna necessità.
Sparano per il paese. Che succede ora? Pallottole sperdute passano miagolando fra gli orti e le isbe; ma il nostro angolo è tranquillo.
Ramazzini, un portaordini in gamba di Collio Valtrompia, viene di corsa e mi dice trafelato: – Presto Rigoni, fa’ presto, bisogna che tu ti riunisca con la compagnia.
Come ombre smontiamo le armi e ce le carichiamo in spalla con le munizioni e, in fila, senza dire una parola, ritorniamo presso l’edificio in mattoni. Non troviamo nessuno dei nostri. La compagnia è partita senza aspettarci.
Il paese è tutto in trambusto. Slitte che si incrociano, ufficiali che gridano, gente che va in ogni direzione. Infine la colonna si forma. Camminiamo in fretta ai lati della pista per portarci avanti e raggiungere la compagnia.
Ma è piú faticoso perché dobbiamo batterci la strada nella neve fresca. Bombe scoppiano davanti e dietro a noi, qualche volta colpiscono in pieno la colonna. Ma è tutto cosí apatico e freddo. Si bada ai colpi di artiglieria come ai morsi dei pidocchi.
Viene l’alba livida e grigia, incomincia a nevicare.
Guardo indietro, siamo rimasti in pochi, forse dieci; ma le armi le abbiamo sempre con noi, manca qualche cassetta di munizioni. Nemmeno il tenente c’è, chissà dove sarà rimasto. Camminiamo ancora ai lati della colonna fiancheggiando un bosco di abeti; siamo tutti bianchi di neve come gli abeti. Un tedesco, aviatore dalla divisa, cammina lentamente davanti a noi, ha i piedi fasciati di stracci, lo sorpassiamo. Sorpassiamo qualche slitta di tedeschi e ungheresi.
Ora si sono fermati tutti perché in testa alla colonna sparano. Noi continuiamo a camminare. Troviamo gli artiglieri alpini, qui siamo tra i nostri, avanti ancora. Finalmente raggiungiamo la nostra compagnia. Il capitano ci vede arrivare e non dice niente. Stiamo fermi; in testa c’è il Valchiese. Si sentono sparare le nostre pesanti e il gruppo Bergamo mette in batteria i pezzi. Bisogna conquistare un altro paese per passare. Ma sparano poco. Si riprende a camminare lentamente e cosí, ora, ci sembra di riposare. Veniamo raggiunti anche da qualche altro alpino del nostro plotone. Qua e là sulla neve si vedono dei bossoli vuoti, macchie nere di scoppi, solchi di cingoli dei panzer.
Il paese è rivolto a levante, dietro una mugila. Scende verso il fondo di una balca ed è circondato da alberi da frutto. Si sentono abbaiare i cani nell’aria chiusa dalla neve. Il maggiore passa tra noi e dice: – Qui riposeremo; andate nelle isbe, mangiate e dormite; forse si ripartirà domattina –. A noi non sembra vero poter riposare tutta una notte. Al caldo tutta la notte!
Scelgo una bella isba verso il centro del paese. Entriamo e mettiamo vicino al fuoco le armi incrostate di neve e ghiaccio. Andiamo in un’altra isba a prendere tre galline (penso che non è giusto prenderle dove siamo ospitati, altri poi verranno a prenderle qui). Siccome il paese è in pendenza e noi siamo in un punto dominante vediamo dall’alto l’affaccendarsi della gente che sta arrivando. Alpini della mia compagnia inseguono un maiale che corre a zig zag sulla neve come un pipistrello; gli sparano anche col fucile.
Infine lo prendono e lo finiscono. Corrono, gridano e ridono; pare un giorno di sagra per loro.
Rientriamo nell’isba a spennare le galline tra le grida di gioia della padrona di casa. Mettiamo l’acqua a bollire; chi porta paglia per il giaciglio, e chi legna.
Infine ci sediamo sulle panche attorno al fuoco. È bello vedere il fuoco; stiamo bene, siamo contenti e non pensiamo a nulla. Ma nemmeno qui si può stare tranquilli. È entrato il capitano. – Rigoni, che cosa fai qui? – mi dice, e si è rotto l’incanto. Guarda le galline, il fuoco, la paglia, la legna. – Che cosa fate qui? – ripete. Entrano anche attendenti, furieri e portaordini. – Rigoni, vai con gli uomini e le armi laggiú in quell’isba –. E il capitano me la indica, attraverso la porta aperta e la neve che cade, giú in fondo alla balca. – Devi andare laggiú e piazzare le armi in quella direzione, – e me la segna con la mano. Dice: – Vi può essere un attacco da un momento all’altro; di partigiani o di soldati. Piazzate le armi e datevi il turno per riposare e riscaldarvi –. Si tiene per sé l’isba calda con il focolare e la paglia e non ci lascia prendere nemmeno le galline. Antonelli bestemmia e anche gli altri imprecano ma come sempre mi seguono.
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