Jasper Gwyn rientrò nello studio, il giorno seguente, con la vaga impressione di essere un domatore che entrava nella gabbia. Trovò la ragazzina seduta per terra, nell’angolo in cui di solito si acquattava lui. Stava scrivendo qualcosa sui fogli color crema del suo taccuino.
Non uscì un granché, di quella storia, sugli altri giornali, e Rebecca cercò Jasper Gwyn per rassicurarlo, ma non riuscì a trovarlo. Si fece vivo lui, dopo qualche, giorno, e fu di poche parole, disse che andava tutto bene. Rebecca lo conosceva abbastanza da non insistere. Smise di cercarlo. Ritagliava gli articoli, pochi, che avevano ripreso la notizia. Si disse che tutto sommato era andata bene. Lavorava in un minuscolo ufficio che Jasper Gwyn aveva trovato per lei, un buco amabile, non lontano da casa sua. Incontrò tre candidati (tutt’e tre avevano letto il tabloid) senza che nessuno la convincesse veramente. Trascorsa una settimana, si aspettò che accadesse quello che sempre accadeva quando l’imperscrutabile volontà delle Caterina de’ Medici decideva che il tempo era finito. Qualche giorno e Jasper Gwyn le avrebbe consegnato una copia del ritratto. Lei allora avrebbe convocato il cliente, che sarebbe venuto a ritirarlo, a saldare il conto e a restituire la chiave dello studio. Era tutto rodato e ripetitivo, e questo le piaceva. Solo che quella volta Jasper Gwyn tardò a farsi vivo, e in compenso si presentò da lei, una mattina, Mr Trawley. Aveva da dire che, secondo sua figlia, le Caterina de’ Medici si erano spente, e l’avevano fatto anche in un modo piuttosto elegante, ma la verità è che quando questo era successo erano ormai nove giorni che Jasper Gwyn non si presentava nello studio. Sua figlia non aveva mancato di recarvisi ogni pomeriggio, ma non l’aveva più visto. Adesso Mr Trawley si chiedeva se dovesse fare qualcosa di particolare, o semplicemente aspettare. Non era preoccupato, ma aveva preferito venire di persona ad appurare che tutto andasse bene.
– E’ proprio sicuro che Mr Gwyn non si sia presentato per nove giorni?, chiese Rebecca.
– Mia figlia dice così.
Rebecca lo fissò in modo interrogativo.
– Sì, mi rendo conto, disse lui. Ma in questo caso sono propenso a crederle.
Rebecca disse che avrebbe controllato e che si sarebbe fatta viva al più presto. Non era tranquilla, ma non lo diede a vedere.
Prima di andarsene Mr Trawley trovò il modo di chiedere se per caso Rebecca aveva idea di com’era andata, là nello studio. Quel che in realtà avrebbe voluto chiedere era se sua figlia si era comportata decentemente.
– Non lo so, disse Rebecca. Mr Gwyn non racconta un granché di quel che succede là dentro, non è nel suo stile.
– Capisco.
– Quel che ho intuito è che sua figlia non è un soggetto facile, per così dire.
– No, non lo è, disse Mr Trawley. Fece una pausa.
– Alle volte può essere estremamente sgradevole, o esageratamente attraente, aggiunse.
Rebecca pensò che le sarebbe piaciuto essere una ragazzina di cui si potesse dire una cosa del genere.
– Le faccio sapere, Mr Trawley. Sono sicura che si sistemerà tutto.
Mr Trawley disse che non ne dubitava.
Il giorno dopo comparve sul “Guardian” un ampio servizio sulla vicenda dei ritratti. Era più preciso di quello apparso sul tabloid e si spingeva a citare il nome di Jasper Gwyn. A lui era dedicato anche un secondo articoletto, in cui si dava conto della sua carriera.
Rebecca si affrettò a cercare Jasper Gwyn. Non lo trovò a casa, e nemmeno un giro nelle lavanderie del quartiere servì a qualcosa. Sembrava sparito.
Non accadde nulla per cinque giorni. Poi Rebecca ricevette da Jasper Gwyn una spessa busta contenente il ritratto della ragazzina, confezionato con la solita meticolosa cura, e un biglietto di poche righe. Diceva che per un po’ gli sarebbe stato impossibile farsi vivo. Contava sul fatto che Rebecca tenesse a bada tutto quanto, nel frattempo. Si sarebbe reso necessario rinviare il prossimo ritratto: non era sicuro di poter tornare a lavorare prima di un paio di mesi. Ringraziava e salutava con un grande abbraccio. Non faceva alcun riferimento all’articolo del “Guardian”.
Per tutta la giornata Rebecca dovette respingere con garbo le tante telefonate che, da ogni parte, le arrivavano per saperne di più della storia di Jasper Gwyn. Non le piaceva essere stata lasciata sola in un momento così delicato, ma d’altronde conosceva a sufficienza Jasper Gwyn per riconoscere un modo di comportarsi che sarebbe stato inutile cercare di correggere. Fece quello che doveva fare, meglio che poté, e prima di sera telefonò a Mr Trawley per dirgli che il ritratto era pronto. Poi staccò il telefono, prese il ritratto della ragazzina, e lo aprì. Era una cosa che non faceva mai. Si era data come regola di consegnare i ritratti senza dargli nemmeno un’occhiata. Ci sarebbe stato il momento giusto per leggerli, aveva sempre pensato. Ma quella sera era tutto differente. C’era nell’aria qualcosa che assomigliava al disfarsi di un incantesimo, e sospendere i gesti consueti le sembrò ragionevole, forse perfino doveroso. Dunque aprì il ritratto della ragazzina e iniziò a leggerlo.
Erano quattro pagine. Lei si fermò alla prima, poi rimise a posto i fogli e richiuse la cartellina.
La ragazzina arrivò al mattino, da sola. Si sedette davanti a Rebecca. Aveva lunghi capelli biondi, dritti e fini, che lasciava cadere ai lati del volto. Solo a tratti, con un movimento del capo, scopriva interamente i lineamenti che erano spigolosi, ma dominati da due incantevoli occhi scuri. Era magra e disponeva del proprio corpo senza tradire segni di nervosismo: sembrava aver scelto una certa elegante immobilità come regola del suo stare. Indossava una giacca aperta su una canottierina viola da cui si potevano intuire i seni piccoli e ben fatti. Rebecca notò le mani, pallide e piene di minuscole ferite.
– Il suo ritratto, disse, porgendole la cartellina. La ragazzina lo lasciò sul tavolo.
– Tu sei Rebecca?, chiese.
– Sì.
– Jasper Gwyn parla spesso di te.
– Mi è difficile crederlo. Mr Gwyn non è il tipo da parlare molto di qualcosa.
– Sì, ma di te lo fa.
Rebecca fece un gesto vago e sorrise.
– Bene, disse.
Poi sporse alla ragazzina un foglio da firmare. Per saldare il conto si era messa d’accordo con il padre.
La ragazzina firmò senza leggere. Restituì la penna. Fece un cenno verso il ritratto.
– L’hai letto?, chiese.
– No, mentì Rebecca. Non lo faccio mai.
– Che stupida.
– Prego?
– Io lo farei.
– Sa, sono abbastanza grande da decidere io cosa è meglio fare e cosa no.
– Sì, sei grande. Sei vecchia.
– E possibile. Adesso avrei molte cose da fare, se non le dispiace.
– Jasper Gwyn dice che sei una donna molto infelice. Rebecca allora la guardò per la prima volta senza prudenza. Vide che aveva un modo odioso di essere incantevole.
– Anche Mr Gwyn ogni tanto si sbaglia, disse.
La ragazzina fece quel movimento col capo che liberava per un attimo il suo volto.
– Sei innamorata di lui?, chiese. Rebecca la guardò e non rispose.
– No, non era questa la domanda che volevo fare, si corresse la ragazzina. Hai fatto l’amore con lui?, chiese.
Rebecca pensò di alzarsi e di invitare la ragazzina alla porta. Era evidentemente l’unica cosa da fare. Ma anche sentì che se c’era un modo di penetrare in tutto ciò che di strano stava succedendo, lì davanti a lei aveva forse l’unica via possibile, per quanto odiosa.
– No, disse. Non ho mai fatto l’amore con lui.
– Io sì, disse la ragazzina. Ti interessa sapere come lo fa?
– Non ne sono sicura.
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