Alessandro Baricco - Mr Gwyn

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Jasper Gwyn, scrittore dal discreto successo, decide da un giorno all’altro che non ha più intenzione di scrivere. O perlomeno di scrivere romanzi. Il gesto dello scrivere però gli manca, sente il bisogno di continuare a mettere in fila le parole come aveva fatto per la maggior parte della sua vita. Diventare “copista” gli appare dunque la soluzione ideale: non di cifre o parole, bensì di persone. Inizia così a fare ritratti per, come dice lui, “riportare a casa le persone”. Adibisce un ex garage a studio di posa, lo illumina con lampadine dalla luce “infantile” e ciò che ne scaturisce è un qualcosa che solo un personaggio complesso e surreale come Jasper Gwyin poteva concepire. Non mancheranno gli imprevisti e più di una volta il fragile sogno su cui tutto è costruito rischierà di infrangersi. Il finale non può che sorprendere.

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Aveva chiuso da così tanto tempo con Jasper Gwyn, che cercare di capire, adesso, cosa significasse tutta quella storia le parve per un attimo una fatica che non aveva voglia di fare. Era tardi, il giorno dopo doveva portare Emma dalla suocera e poi correre a lavorare. Pensò che era meglio lasciar perdere e andare a letto. Ma mentre spegneva le luci e trovava ancora qualcosa da rimettere a posto, ebbe la sensazione strana di non essere lì, e di rifinire i dettagli della vita di un’altra. Con una punta di sconcerto capì che, in un solo giorno, una certa distanza a cui aveva lavorato per anni, si era scostata con eleganza – una tenda in un colpo di vento. E da lontano la raggiunse una nostalgia che credeva di aver sconfitto.

Così, invece di andare a letto, fece una cosa che mai avrebbe pensato di fare. Aprì un armadio e sfilò da sotto una pila di coperte invernali le cartelline dei ritratti. Si preparò un caffè, si mise al tavolo, e iniziò ad aprire le cartelline, a caso. Si mise a leggere qua e là, senza metodo, come avrebbe potuto passeggiare in una galleria di quadri. Non lo faceva per cercare di capire qualcosa, o per trovare delle risposte. Solo si godeva i colori, quella particolare luce, il passo sicuro, le orme di una certa immaginazione. Lo faceva perché tutto quello era un luogo, e in nessun altro luogo lei avrebbe voluto essere, quella notte.

Smise che già filtrava la prima luce dell’alba. Le bruciavano gli occhi. Sentì d’improvviso una stanchezza pesante, non rinviabile. Andò a infilarsi nel letto, e Robert si svegliò quel tanto da chiederle, senza in realtà accorgersene, se andava tutto bene.

– Tutto bene, dormi.

Si strinse un po’ a lui, girandosi su un fianco, e si addormentò.

60.

Il giorno dopo si svegliò che non capiva niente. Telefonò in ufficio per dire che aveva un’emergenza e non sarebbe potuta andare a lavorare. Poi portò Emma dalla suocera, una simpatica signora più grassa di lei che non finiva più di esserle riconoscente per aver sottratto suo figlio dalle grinfie di una che mangiava solo vegetariano. Rebecca le disse che sarebbe tornata nel pomeriggio e aggiunse che se le fosse accaduto di far tardi si sarebbe fatta viva. Baciò Emma e tornò a casa.

Nel silenzio delle camere deserte riprese in mano il libro della Rode. E si costrinse a pensare. Detestava gli enigmi e sapeva di non avere l’intelligenza giusta per divertirsi a risolverli. Non era neanche tanto sicura di voler riaprire quella storia che credeva morta e sepolta. Ma certo le sarebbe piaciuto essere sicura che quel libro era stato davvero un regalo per lei – il tocco amorevole che in quell’addio di tanti anni prima le era mancato. Così come l’attirava, indubitabilmente, la possibilità di scoprire, lei sola, fino a dove si poteva spingere, davvero, la stranezza senza fine di Jasper Gwyn.

Rimase a lungo a riflettere.

Poi si alzò, prese le cartelline dei ritratti, tolse dalla pila quella del suo ritratto, e mise tutte le altre in un borsone. Si vestì e chiamò un taxi. Si fece portare dalle parti del British Museum, perché aveva deciso che se c’era una persona al mondo che la poteva aiutare, quella era Doc Mallory.

61.

Mallory l’aveva conosciuto nell’ufficio di Tom, era uno dei tanti personaggi inverosimili che lavoravano lì, per quanto la parola lavorare non aiutasse a rendere l’idea. Era sulla cinquantina, aveva un nome vero ma tutti lo chiamavano Doc. Tom se lo teneva vicino da un mucchio di tempo, e lo riteneva assolutamente indispensabile. Mallory, in effetti, era l’uomo che aveva letto tutto. Aveva una memoria formidabile e sembrava aver speso un paio di vite a sfogliare libri e a catalogarli in un suo miracoloso indice mentale. Quando serviva qualcosa, si andava da lui. Regolarmente lo si trovava alla scrivania, a leggere. Indossava sempre giacca e cravatta, perché, sosteneva, si deve un certo rispetto ai libri, tutti, anche quelli orrendi. Si andava da lui per sapere la grafia esatta dei nomi russi o per farsi dare un’idea della letteratura giapponese degli anni venti. Cose così. Vederlo all’opera era un privilegio. Una volta uno degli autori di Tom era incappato in un’accusa di plagio, sembrava avesse copiato una scena di pestaggio da un poliziesco americano anni cinquanta. Tom aveva strappato le pagine incriminate dal libro e le aveva portate a Mallory.

– Vedi un po’ se riesci a ricordarti una trentina di libri in cui c’è una scena del genere, gli disse.

Un paio d’ore dopo Mallory si era presentato con una lista dettagliata di pestaggi e tafferugli che sembravano scritti tutti dalla stessa mano.

– Formidabile!, aveva detto Tom.

– Dovere, aveva risposto Mallory, ed era tornato alla sua scrivania, a leggere una biografia di Magellano.

Quando Tom era morto, lui aveva aperto con i suoi risparmi una piccola libreria, dietro il British Museum, in cui teneva solo libri che gli piacevano. Rebecca ci andava, di tanto in tanto, più che altro per il gusto di salutarlo e parlare un po’. Ma quel giorno era diverso, aveva qualcosa di molto preciso da chiedere. Quando entrò nel negozio, prima ancora di salutare, girò il cartellino che era appeso alla porta e che diceva sì, siamo aperti! Dall’altra parte diceva non torno subito.

– Hai intenzione di fermarti a lungo, mi sembra, disse Mallory da dietro al banco.

– Puoi giurarci, disse Rebecca.

62.

Posò il borsone per terra e andò ad abbracciarlo. Non che gli volesse proprio bene, ma qualcosa del genere. Aveva sempre lo stesso odore, di polvere e caramelle all’anice.

– Non hai l’aria di essere venuta a comprare un libro, Rebecca.

– Infatti. Sono venuta a renderti questa giornata indimenticabile.

– Ahi.

– Doc, te lo ricordi Jasper Gwyn?

– Scherzi?

E già stava partendo con la sua bibliografia completa.

– Lascia perdere, è un’altra la cosa che volevo chiederti. Te la ricordi quella storia dei ritratti?

Mallory si mise a ridere.

– E chi non se la ricorda, da Tom non si parlava d’altro.

– Ne hai mai saputo qualcosa?

– Veramente eri tu quella che sapeva tutto.

– Sì, ma tu ne sapevi qualcosa?

– Poco. Si diceva che stesse diventando pazzo, dietro a quell’idea. Ma girava anche la voce che fosse arrivato a vendere i ritratti a centomila sterline l’uno.

– Magari, disse Rebecca.

– Vedi che sei tu quella che la sa lunga?

– Sì, ma non so tutto, mi manca un pezzo e solo tu mi puoi aiutare.

– Io?

Rebecca si chinò sul borsone, ne tirò fuori le cartelline, e le posò sul bancone.

Doc Mallory stava lavorando su certe fatture, quando lei era entrata, per cui era in maniche di camicia. Si girò, andò a prendere la giacca, se la infilò e tornò dietro al bancone.

– Sono loro?, chiese.

– Sì.

– Posso?

Girò le cartelline dalla sua parte, e si limitò ad appoggiarci le mani sopra, aperte, con delicatezza.

– Tom avrebbe dato un braccio per poterli leggere, disse con un velo di tristezza.

– E tu?

Mallory alzò lo sguardo su di lei.

– Lo sai, leggerli sarebbe un privilegio, per me.

– Allora fallo Doc, ho bisogno che tu lo faccia. Mallory stette un po’ in silenzio. Gli brillavano gli occhi.

– Perché?, chiese.

– Ho bisogno di sapere se li ha copiati.

– Copiati?

– Presi da altri libri, non so, qualcosa del genere.

– Ma figurati, non avrebbe senso.

– Molte cose non hanno senso quando hai a che fare con Jasper Gwyn.

Mallory sorrise. Sapeva che era vero.

– Tu li hai letti?, chiese.

– Più o meno.

– E ti sei fatta un’idea?

– No. Ma io non ho letto tutti i libri del mondo. Mallory scoppiò a ridere.

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