Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita
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Nisa non rispose e affrettò il passo.
— Perché non dici niente, Nisa? — chiese querulo Giuda adattando la sua andatura a quella di lei.
— Non mi annoierò con te? — chiese all’improvviso Nisa fermandosi. Allora i pensieri di Giuda si confusero del tutto.
— Ma sí, — si addolcí infine Nisa, — andiamo pure.
— Ma dove, dove?
— Aspetta… entriamo in questo cortile e mettiamoci d’accordo, se no, temo che qualche conoscente mi veda e dica a mio marito che mi sono trovata col mio amante per strada.
Nel mercato non si videro piú né Nisa né Giuda: stavano sotto un portone a confabulare.
— Vai nel podere degli ulivi, — sussurrava Nisa tirandosi il velo sugli occhi e voltando la schiena a un uomo che entrava nel portone con un secchio in mano, — a Getsemani oltre il Kedron, hai capito?
— Sí, sí, sí…
— Io andrò avanti, — continuava Nisa, — ma tu non seguirmi da vicino, stai lontano da me. Io vado avanti… Quando avrai attraversato il torrente… Sai dov’è la grotta?
— Sí, lo so…
— Passerai oltre il frantoio, andrai su e girerai verso la grotta. Ti attenderò lí. Ma guai se mi segui subito, devi avere pazienza, aspetta qui, — con queste parole, Nisa uscí dal portone come se non avesse neppure parlato con Giuda.
Giuda rimase fermo da solo per un po’, cercando di concentrare i propri pensieri dispersi. Tra l’altro, si chiedeva come avrebbe spiegato ai familiari l’assenza dal pranzo festivo. Giuda cercava d’inventare una qualsiasi bugia, ma per l’emozione non gli venne in mente nulla e allora uscí lentamente dal portone.
Adesso cambiò direzione, non si affrettava piú verso la città bassa, ma svoltò invece verso il palazzo di Caifa. La festa era già irrotta nella città. Intorno a Giuda non solo alle finestre brillavano le luci, ma si udivano già i canti rituali. Sulla strada, i ritardatari incitavano gli asinelli, li frustavano, li ingiuriavano. I piedi di Giuda volavano, ed egli non si accorse come gli sfuggissero ai lati le tremende torri Antonie coperte di muschio, non sentí neanche l’urlo delle trombe nella fortezza, non fece caso a una pattuglia romana a cavallo con una torcia che inondò la sua strada d’una luce inquieta.
Passando accanto alla torre, Giuda si voltò e vide che a un’immensa altezza sopra il tempio erano stati accesi due giganteschi candelabri a cinque bracci. Ma Giuda li vide anch’essi come in una nebbia. Gli sembrò che sopra Jerushalajim vi fossero accese dieci lampade di grandezza mai vista, che facevano a gara con la luce di una lampada unica che si alzava sempre di piú sopra Jerushalajim: la luna.
Adesso a Giuda non interessava nulla, si affrettava verso la porta di Getsemani, voleva lasciare la città al piú presto. A volte gli sembrava che davanti a lui, tra le schiene e i volti dei passanti, balenasse una figura dall’andatura danzante che lo guidava. Ma era un abbaglio. Giuda capiva che Nisa era molto piú avanti di lui. Corse oltre le botteghe dei cambiavalute e giunse infine alla porta di Getsemani. Lí, pur ardendo d’impazienza, fu costretto a fermarsi. In città stavano entrando i cammelli, seguiti da una pattuglia militare siriana, che Giuda maledí in cuor suo…
Ma tutto ha una fine. L’impaziente Giuda era già oltre le mura della città. Alla sua sinistra, vide un piccolo cimitero, e, vicino, alcune tende a strisce di pellegrini. Attraversata la strada polverosa inondata dalla luna, Giuda si affrettò verso il torrente Kedron per attraversarlo. L’acqua gorgogliava lievemente intorno ai suoi piedi. Saltando da una pietra all’altra, giunse finalmente alla riva opposta, quella di Getsemani, e con grande gioia vide che la strada tra i giardini era deserta. Si vedeva poco lontano il cancello mezzo distrutto dell’oliveto.
Dopo l’afa cittadina, Giuda fu colpito dal profumo inebriante della notte primaverile. Attraverso lo steccato si riversava dal giardino un’ondata di profumo di mirti e acacie proveniente dai prati di Getsemani.
L’ingresso non era sorvegliato, nei suoi pressi non c’era nessuno e, alcuni minuti dopo, Giuda correva sotto l’ombra misteriosa di enormi ulivi frondosi. La strada era erta. Giuda saliva, col respiro affannoso, uscendo a volte dall’ombra per trovarsi su ornati tappeti di luce lunare che gli ricordavano i tappeti visti nella bottega del geloso marito.
Poco dopo balenò alla sua sinistra, su un prato, il frantoio con la pesante macina di pietra e un mucchio di barili. Nel giardino non c’era nessuno; i lavori erano stati terminati al tramonto, e adesso risuonavano in alto cori di usignoli.
La meta di Giuda era vicina. Sapeva che a destra, nell’oscurità, avrebbe subito udito il lieve sussurrio dell’acqua che cadeva nella grotta. Difatti percepí quel suono. Faceva sempre piú fresco. Rallentò allora il passo, e chiamò sommesso:
— Nisa!
Ma, invece di Nisa, si staccò dal grosso tronco di un ulivo e balzò sulla strada una tarchiata sagoma maschile; qualcosa brillò nella sua mano e subito si spense. Con un leggero grido, Giuda si gettò indietro, ma un secondo uomo gli sbarrò la strada.
Il primo, che era davanti, chiese a Giuda:
— Quanto ti hanno dato? Rispondi, se vuoi salva la vita!
La speranza s’accese nel cuore di Giuda, che gridò con voce terribile:
— Trenta tetradracme! Trenta tetradracme! Ho con me tutto quello che mi hanno dato! Ecco il denaro! Prendetelo, ma lasciatemi la vita!
L’uomo davanti afferrò immediatamente la borsa dalle mani di Giuda. Nello stesso istante alle sue spalle si levò un coltello e colpí l’innamorato sotto la scapola. Giuda fu scaraventato in avanti, e buttò in alto le mani con le dita rattrappite. L’uomo davanti accolse Giuda sul suo coltello e glielo immerse fino al manico nel cuore.
— Ni…sa… — disse Giuda non con la sua voce giovanile alta e pura, ma con voce bassa e piena di rimprovero, e non emise altro suono. Il suo corpo batté sulla terra con tanta violenza che la fece rintronare.
Apparve allora sulla strada una terza figura. Questa portava un mantello col cappuccio.
— Fate presto, — ordinò. Gli assassini avvolsero rapidamente in una pelle la borsa e un biglietto che il terzo porse loro, e legarono il tutto con una cordicella. Il secondo si mise l’involto in seno, poi i due assassini si precipitarono via dalla strada e l’oscurità tra gli ulivi li inghiottí. Il terzo invece si accoccolò vicino al morto e lo guardò in faccia. Nell’ombra, essa gli apparve bianca come il gesso, e di una bellezza ispirata.
Alcuni secondi dopo non c’era anima viva sulla strada.
Il corpo inanimato giaceva con le braccia allargate. Il piede sinistro era finito in una chiazza di luce lunare, cosí che risaltava nettamente ogni cinghia del sandalo. Tutto il giardino di Getsemani risuonava del canto degli usignoli.
Dove si fossero diretti i due che avevano ammazzato Giuda, nessuno lo sa, ma sl conosce la strada seguita dal terzo uomo col cappuccio. Lasciando il sentiero, s’inoltrò nel folto degli ulivi, dirigendosi verso sud. Scavalcò il recinto del giardino lontano dall’ingresso principale, all’angolo di sinistra, dove le pietre superiori del muricciolo erano franate. Poco dopo era sulla riva del Kedron. Entrò allora nell’acqua e vi camminò per un certo tempo, finché non vide in lontananza le sagome di due cavalli e di un uomo vicino. Anche i cavalli erano nel torrente. L’acqua scorreva bagnando i loro zoccoli. Il guardiano montò uno dei cavalli, l’uomo col cappuccio balzò sull’altro, e lentamente si avviarono nel torrente. Si udivano i sassi scricchiolare sotto le zampe dei cavalli. Poi i cavalieri uscirono dall’acqua, salirono sulla riva di Jerushalajim e costeggiarono al passo il muro della città. Qui, il guardiano si allontanò, e partendo di galoppo scomparve, mentre l’uomo col cappuccio fermò il suo cavallo, scese sulla strada deserta, si levò il mantello, lo rivoltò, ne tolse di sotto un elmo piatto senza cimiero che si calcò in testa. Balzò ora sul cavallo un uomo con una clamide militare e una corta spada al fianco. Toccò le redini, e il focoso cavallo partí al trotto scrollando il cavaliere. La meta non era lontana: il cavaliere si avvicinava alla porta meridionale di Jerushalajim.
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