Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita

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A questo punto, Afranio lanciò di nuovo un’occhiata al procuratore rifletté e disse:

— È possibile, procuratore.

Evidentemente, il procuratore non riusciva a staccarsi dalla faccenda dell’assassinio dell’uomo di Kiriat, anche se tutto era già chiaro, e disse, addirittura con un’aria sognante:

— Mi sarebbe piaciuto vedere come l’hanno ucciso.

— È stato ucciso a regola d’arte, procuratore, — rispose Afranio, guardando il procuratore con una certa quale ironia.

— Come fai a saperlo?

— Ti prego di rivolgere la tua attenzione al sacco, procuratore, — rispose Afranio, — ti garantisco che il sangue di Giuda scorreva a fiotti. Ho avuto occasione di vedere gente ammazzata, procuratore, nel corso della mia vita.

— Dunque egli non risorgerà di certo?

— No, procuratore, — rispose sorridendo filosoficamente Afranio, — egli risorgerà quando suonerà su di lui la tromba del messia che qui stanno aspettando. Ma prima non risorgerà.

— Bene, Afranio, questa faccenda è chiara. Passiamo alla sepoltura.

— I corpi dei giustiziati sono stati sepolti, procuratore.

— Oh, Afranio, metterti sotto processo sarebbe un delitto. Sei degno delle piú alte ricompense. Com’è andata?

Afranio cominciò a raccontare: mentre lui stesso si stava occupando del caso di Giuda, un reparto della guardia segreta, diretto da un suo sostituto, era giunto sulla cima della collina al cadere della sera. Uno dei corpi mancava. Pilato sussultò, e disse con voce rauca:

— Oh, come ho fatto a non prevederlo!…

— Non preoccuparti, procuratore, — disse Afranio, e continuò la sua narrazione: — I corpi di Disma e Hesta con gli occhi beccati dagli uccelli furono raccolti, e fu subito iniziata la ricerca del terzo corpo. Questo fu trovato entro brevissimo tempo. Un certo…

— Levi Matteo, — disse Pilato con tono non tanto interrogativo quanto affermativo.

— Sí, procuratore… Levi Matteo si nascondeva in una caverna sul pendio settentrionale del Calvario, in attesa delle tenebre. Il corpo nudo di Jeshua Hanozri era con lui. Quando la guardia entrò nella caverna con una torcia Levi si disperò e si arrabbiò. Gridava che non aveva commesso nessun delitto, e che chiunque, secondo la legge ha il diritto di seppellire un criminale giustiziato se lo desidera. Levi Matteo diceva che non voleva abbandonare quel corpo. Era eccitato, gridava cose insensate, ora supplicava, ora minacciava e malediva…

— Avete dovuto arrestarlo? — chiese cupo Pilato.

— No, procuratore, no, — rispose in tono tranquillizzante Afranio, — si riuscí a calmare l’insolente pazzo spiegandogli che il corpo sarebbe stato sepolto. Levi, quando capí ciò che gli era stato detto, si calmò, ma dichiarò che non se ne sarebbe andato e che intendeva partecipare alla sepoltura. Disse che non se ne sarebbe andato neanche se lo avessero ucciso, e porgeva perfino un coltellaccio da pane a questo scopo.

— È stato cacciato via? — chiese Pilato con voce soffocata.

— No, procuratore, no. Il mio sostituto gli permise di partecipare alla sepoltura.

— Quale dei tuoi aiutanti ti sostituiva? — chiese Pilato.

— Tolomeo, — rispose Afranio, e aggiunse inquieto: — ha forse fatto qualche sbaglio?

— Continua, — rispose Pilato, — sbagli non ce ne sono stati. Del resto, sono imbarazzato, Afranio, credo di trovarmi al cospetto di un uomo che non commette mai errori. Quest’uomo sei tu.

— Levi Matteo fu caricato su un carro insieme con i corpi dei giustiziati, e circa due ore dopo raggiunsero una gola deserta a nord di Jerushalajim. Là il reparto, lavorando a turni, in un’ora scavò una fossa profonda e vi seppellí i tre giustiziati.

— Nudi?

— No, procuratore, la truppa aveva preso con sé dei chitoni per la bisogna. Alle dita dei sepolti furono infilati anelli. A Jeshua con una tacca, a Disma con due e a Hesta con tre. La fossa è stata chiusa e ricoperta con pietre. Tolomeo sa il segno di riconoscimento.

— Ah, se avessi potuto prevedere! — disse Pilato con una smorfia. — Avrei bisogno di vedere quel Levi Matteo…

— È qui, procuratore.

Pilato spalancò gli occhi, fissando per qualche istante Afranio, poi disse:

— Ti ringrazio di tutto quello che hai fatto per questa faccenda. Ti prego di inviarmi domani Tolomeo, dicendogli in anticipo che sono soddisfatto di lui, e tu, Afranio, — a questo punto il procuratore tolse da una tasca della cintura posta sul tavolo un anello, che porse al capo del servizio segreto, — ti prego di gradirlo come ricordo.

Afranio fece un inchino, dicendo:

— È un grande onore, procuratore.

— Alla truppa che ha eseguito la sepoltura prego di elargire ricompense. Agli sbirri che non hanno saputo proteggere Giuda, un biasimo. E Levi Matteo qui da me, subito. Mi servono particolari sulla questione di Jeshua.

— Ubbidisco, procuratore, — replicò Afranio, e cominciò a indietreggiare facendo inchini; il procuratore batté le mani e grido:

— Da me, qui! Un candelabro nel porticato!

Afranio si stava già inoltrando nel giardino, e alle spalle di Pilato nelle mani dei servi luccicavano già i lumi. Il procuratore si trovò sul tavolo tre candelabri, e la notte lunare arretrò subito in giardino, come se Afranio se la fosse portata con sé. Invece di Afranio giunse sul balcone uno sconosciuto piccolo e magro, accanto al gigantesco centurione. Quest’ultimo, colto lo sguardo del procuratore, si allontanò subito nel giardino e vi scomparve.

Il procuratore studiava il nuovo venuto con occhi avidi e un poco impauriti. Cosí si guarda una persona di cui si è molto sentito parlare, alla quale si è pensato molto e che, finalmente, è arrivata.

Il nuovo venuto, un uomo sui quarant’anni, scuro, lacero, coperto di fango secco, lanciava occhiate di traverso come un lupo. Insomma, aveva un aspetto per nulla attraente e somigliava piú che altro a un mendico cittadino come se ne trovano molti sui terrazzi del tempio o nei mercati della rumorosa e sporca città bassa.

Il silenzio durò a lungo, e fu rotto dallo strano comportamento dell’uomo che era stato introdotto in presenza di Pilato. Cambiò in volto, barcollò, e se non si fosse afferrato con la mano sporca al bordo del tavolo, sarebbe certamente caduto.

— Che cos’hai? — chiese Pilato.

— Niente, — rispose Levi Matteo facendo un movimento come se inghiottisse qualcosa. Il suo collo magro, nudo grigio si gonfiò, poi riprese la forma primitiva.

— Che cos’hai, rispondi? — ripeté Pilato.

— Sono stanco, — rispose Levi e guardò cupo il pavimento.

— Siedi, — disse Pilato indicando la scranna.

Levi guardò incredulo il procuratore, si avvicinò, diede un’occhiata impaurita ai braccioli dorati e sedette non sulla scranna ma vicino, in terra.

— Spiegami perché non ti sei seduto sulla scranna, chiese Pilato.

— Sono sporco, l’avrei insudiciata, — disse Levi guardando in terra.

— Adesso ti daranno da mangiare.

— Non voglio mangiare, — rispose Levi.

— A che serve mentire? — chiese sommesso Pilato. Non hai mangiato per un giorno intero, e forse anche piú. E va bene, non mangiare. Ti ho chiamato perché tu mi mostrassi il coltello che avevi con te.

— I soldati me l’hanno sequestrato quando mi hanno condotto qui da te, — rispose Levi, e soggiunse cupamente: — Rendetemelo, devo restituirlo al proprietario: l’ho rubato.

— Perché?

— Per tagliare le corde.

— Marco! — chiamò il procuratore, e il centurione entrò nel porticato. — Dammi il suo coltello.

Il centurione tolse da uno dei due foderi che portava alla cintura un coltello da panettiere e lo porse al procuratore, poi si allontanò.

— Dove l’hai preso?

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