Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita

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— Un secondo… subito… un minuto… — balbettò la consorte del presidente della Commissione acustica, di solito molto altera, poi sfrecciò come una saetta verso la camera da letto per far alzare Arkadij Apollonovič che se ne stava coricato, pieno di pene infernali al ricordo dello spettacolo della sera prima e dello scandalo notturno che aveva accompagnato la cacciata dall’appartamento della nipote di Saratov.

Non passò un secondo, ma neppure un minuto: dopo un quarto di minuto, Arkadij Apollonovič, con una scarpa al piede sinistro e in mutande, era già al telefono e vi balbettava:

— Sí, sono io… pronto, pronto…

La consorte, dimentica in quegli istanti di tutti gli abominevoli delitti contro la fedeltà di cui il povero Arkadij Apollonovič era stato incriminato, si sporgeva col volto spaventato nel corridoio, agitando una scarpa e sussurrando:

— Mettiti la scarpa, la scarpa… ti prendi un accidente… — Al che Arkadij Apollonovič, facendo segno alla moglie col piede nudo di lasciarlo stare e lanciandole occhiate belluine, balbettava al telefono:

— Sí, sí, sí, naturalmente… capisco… vengo subito…

Arkadij Apollonovič trascorse l’intera serata in quello stesso piano dove veniva svolta l’inchiesta.

La conversazione fu penosa, sgradevolissima, poiché egli dovette riferire con la franchezza piú assoluta non solo del lurido spettacolo e della rissa nel palco, ma anche — la cosa era effettivamente necessaria — di Milica Andreevna Pokobat’ko di via Elochovskaja, della nipote di Saratov, e molte altre cose, il cui racconto procurava ad Arkadij Apollonovič tormenti inenarrabili.

E evidente che la deposizione di Arkadij Apollonovič intellettuale e colto, testimone del vergognoso spettacolo, testimone intelligente e qualificato, che descrisse alla perfezione sia il misterioso mago mascherato sia i due farabutti che fungevano da aiutanti, e che ricordava perfettamente che il cognome del mago era proprio Woland, fece fare all’inchiesta un grande passo in avanti. Confrontando poi la dichiarazione di Arkadij Apollonovič con quelle di altre persone — tra cui alcune signore infortunate dopo lo spettacolo (quella della biancheria viola, che aveva sbalordito Rimskij, e, ohimè, molte altre), e il fattorino Karpov che era stato inviato nell’appartamento n. 50 sulla Sadovaja si stabilí subito il luogo ove occorreva cercare il colpevole di tutte quelle avventure.

L’appartamento n. 50 fu visitato, e non una volta sola; non solo fu perquisito con la massima minuzia, ma furono picchiettati i muri, controllate le canne fumarie, cercati i passaggi segreti. Però tutte quelle misure non diedero alcun risultato, e durante i sopralluoghi non si scoprí mai nessuno nell’appartamento, anche se si capiva benissimo che nell’appartamento qualcuno c’era, benché tutti coloro che, per un motivo o l’altro, erano preposti al soggiorno di artisti stranieri a Mosca, affermassero nel modo piú categorico e deciso che nessun mago di nome Woland era a Mosca né vi poteva essere.

Non era stato registrato in nessun ufficio all’arrivo, non aveva presentato a nessuno il proprio passaporto o qualsiasi altro documento, contratto o accordo, e nessuno ne aveva sentito parlare! Il direttore della sezione programmi della Commissione per gli spettacoli, Kitajcev, giurava che lo scomparso Stepa Lichodeev non aveva mai sottoposto alla sua approvazione nessun programma di spettacolo di nessun Woland, né aveva mai telefonato nulla a Kitajcev a proposito dell’arrivo di quel Woland. Per cui egli, Kitajcev, non sapeva e non capiva minimamente come Stepa avesse potuto includere nella rappresentazione del Varietà tale numero. Quando poi dissero che Arkadij Apollonovič aveva veduto coi propri occhi il mago sul palcoscenico, Kitajcev si limitò ad allargare le braccia alzando gli occhi al cielo. E dagli occhi di Kitajcev si poteva vedere e affermare arditamente che egli era puro come un cristallo.

Quello stesso Prochor Petrovič, presidente della Commissione centrale per gli spettacoli…

A proposito, era ritornato nel suo vestito subito dopo che la polizia fece il suo ingresso nel suo ufficio, procurando una gioia frenetica in Anna Ričardovna e una profonda perplessità nella polizia inutilmente disturbata.

A proposito, tornato al suo posto, nel suo vestito grigio a righe, Prochor Petrovič approvò senza riserve tutte le decisioni prese dal vestito durante la sua breve assenza.

… Ebbene, questo stesso Prochor Petrovič non sapeva assolutamente niente di nessun Woland.

Si aveva qualcosa, se cosí mi è lecito dire, di completamente insensato: migliaia di spettatori, tutto il personale del Varietà, e infine Arkadij Apollonovič Semplejarov, persona coltissima, avevano visto quel mago, nonché i suoi stramaledetti assistenti, eppure non era possibile trovarlo in alcun luogo. Ma allora, permettete la domanda, era sprofondato sotto terra subito dopo la lurida rappresentazione, oppure, come affermavano certuni, non era mai venuto a Mosca? Ma se si ammette la prima ipotesi, è indubbio che, sprofondando, si era tirato dietro l’intera amministrazione del Varietà; se si ammette la seconda, non ne deriverebbe che quella medesima amministrazione dello sciagurato teatro, dopo aver combinato chi sa quali porcherie (ricordate solo la finestra spaccata dell’ufficio e il comportamento di Assodiquadri), era scomparsa da Mosca senza lasciare tracce?

Bisogna rendere giustizia a colui che era a capo dell’inchiesta. Lo scomparso Rimskij fu ritrovato con una velocità sbalorditiva. Era stato sufficiente mettere a confronto l’atteggiamento di Assodiquadri presso il posteggio dei tassí davanti al cinematografo e l’ora in cui erano successi certi fatti — ad esempio, quando era terminato lo spettacolo e quando di preciso era potuto scomparire Rimskij per telegrafare immediatamente a Leningrado. Un’ora dopo giunse la risposta (era venerdí sera): Rimskij si trovava nella camera 412 dell’albergo Astoria, al quarto piano, vicino alla camera occupata dal direttore del repertorio di uno dei teatri di Mosca allora in tournée a Leningrado, in quella camera, che, com’è noto, aveva mobili grigioazzurri ornati d’oro e un bellissimo bagno.

Trovato mentre si nascondeva nell’armadio del 412 dell’Astoria, Rimskij fu subito arrestato e interrogato a Leningrado. Dopo di che giunse a Mosca un telegramma dove si rendeva noto che il direttore finanziario non era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, che alle domande poste non dava risposte sensate o non desiderava darne, e che chiedeva una sola cosa: che lo rinchiudessero in una cella blindata e mettessero di sentinella una guardia armata. Da Mosca con un telegramma si ordinò che Rimskij fosse portato sotto scorta nella capitale e, di conseguenza il venerdí egli partí sotto scorta col treno della sera.

Sempre il venerdí sera fu trovata la traccia di Lichodeev. In tutte le città erano stati diramati telegrammi con richieste d’informazioni, e da Jalta era arrivata la risposta che Lichodeev era stato a Jalta, ma era ripartito in aereo per Mosca.

L’unico di cui non si riuscí a trovare traccia fu Varenucha. Il celebre amministratore teatrale, noto a tutta Mosca, era scomparso senza dar segno di vita.

Nel frattempo fu necessario occuparsi anche degli avvenimenti successi in altri luoghi di Mosca, fuori del Teatro di Varietà. Si dovette risolvere lo straordinario caso degli impiegati che cantavano Celebre mare (del resto, il professor Stravinskij riuscí a riportarli alla normalità nel giro di due ore, con l’aiuto di certe iniezioni sottocutanee), quello delle persone che spacciavano ad altre persone o a enti chi sa che diavoleria in luogo di denaro, e infine quello di coloro che erano stati vittime di simili pagamenti.

È evidente che il piú sgradevole, il piú scandaloso e insolubile di questi casi era il furto della testa del defunto letterato Berlioz, avvenuto in pieno giorno nella sala del Griboedov.

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