Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita

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In quel momento sotto il porticato si trovava una sola persona, il procuratore.

Non sedeva sulla scranna, ma giaceva su un letto presso un tavolino coperto di cibarie e di caraffe di vino. Un altro letto, vuoto, si trovava dall’altra parte del tavolino. Ai piedi del procuratore si stendeva una pozzanghera rossa, quasi fosse di sangue, e giacevano i cocci di una caraffa. Il servo che, prima del temporale, stava apparecchiando la mensa per il procuratore, si era confuso sotto lo sguardo di questi, era agitato per non aver soddisfatto in qualcosa il padrone, e il procuratore, arrabbiatosi, aveva spaccato la caraffa sul pavimento di mosaico dicendo:

— Perché non guardi in faccia quando servi? Hai forse rubato qualcosa?

Il volto nero dell’africano divenne grigio, nei suoi occhi apparve un terrore mortale, tremò, e mancò poco che spezzasse la seconda caraffa; ma l’ira del procuratore svaní con la stessa velocità con cui era sopraggiunta. Il negro stava precipitandosi a raccogliere i cocci e asciugare la pozzanghera, ma il procuratore gli fece un cenno con la mano, e lo schiavo corse via. La pozzanghera rimase.

Adesso, durante l’uragano, lo schiavo si nascondeva presso la nicchia dov’era posta la statua di una bianca donna nuda dalla testa reclinata, temeva di farsi vedere in un momento inopportuno, ma nello stesso tempo aveva paura di lasciarsi sfuggire l’attimo in cui il procuratore l’avrebbe potuto chiamare.

Steso sul letto nella penombra causata dal temporale, il procuratore si versava da sé il vino nella coppa, beveva a lunghi sorsi, di quando in quando toccava il pane, lo spezzava in briciole, lo inghiottiva a piccoli pezzi, ogni tanto succhiava un’ostrica, masticava un limone, e beveva di nuovo.

Se non fosse stato per lo scroscio dell’acqua e per gli schianti del tuono che, sembrava, minacciavano di sprofondare il tetto del palazzo, se non fosse stato per il battito della grandine che martellava gli scalini del balcone, si sarebbe potuto udire il procuratore borbottare qualcosa, mentre parlava tra sé. E se l’instabile baluginare del fuoco celeste si fosse tramutato in una luce fissa, l’osservatore avrebbe potuto vedere che il volto del procuratore, con gli occhi infiammati dalle ultime insonnie e dal vino, esprimeva l’impazienza, e che il procuratore non guardava solo due rose bianche annegate nella pozzanghera rossa, ma volgeva costantemente la testa verso il giardino, incontro al pulviscolo d’acqua e alla sabbia, aspettando qualcuno, e aspettandolo con impazienza.

Passò del tempo, e il velo d’acqua davanti agli occhi del procuratore divenne meno fitto. Per quanto fosse stato furioso, l’uragano si stava indebolendo. I rami non scricchiolavano e non cadevano piú. I tuoni e le saette si diradavano. Su Jerushalajim non galleggiava piú un velo viola dal bordo bianco, ma una comune nuvola grigia di retroguardia. Il temporale si spostava verso il Mar Morto.

Adesso si potevano anche percepire isolati il rumore della pioggia e quello dell’acqua che precipitava per le grondaie e giú dai gradini della scala che il procuratore aveva disceso quel giorno per proclamare in piazza la sentenza. Infine risuonò anche la fontana, fino a quel momento soffocata. Il cielo si rasserenava. Nel velo grigio che fuggiva verso oriente cominciavano ad apparire finestre azzurre.

A questo punto, da lontano, irrompendo attraverso il picchiettare della pioggia ormai leggera, giunsero alle orecchie del procuratore lievi squilli di tromba e lo scalpitio di alcune centinaia di zoccoli. Udendoli il procuratore si mosse e il suo volto si animò. L’alaria ritornava dal Calvario. A giudicare dal rumore, stava attraversando quella stessa piazza dove era stata proclamata la sentenza.

Infine il procuratore udí i tanto attesi passi strascicati sulla scala che portava alla terrazza superiore del giardino proprio davanti alla loggia. Tese il collo, i suoi occhi brillarono esprimendo gioia.

Tra i due leoni di marmo apparve dapprima una testa coperta da un cappuccio, poi un uomo fradicio col mantello appiccicato al corpo. Era quello stesso che, prima della sentenza, aveva conferito a voce bassa col procuratore nella camera oscurata e che, durante il supplizio, sedeva su uno sgabello a tre piedi, giocherellando con un rametto.

Senza fare caso alle pozzanghere, l’uomo col cappuccio attraversò la terrazza del giardino, avanzò sul pavimento di mosaico della loggia e, alzando il braccio, disse con una voce alta dal timbro gradevole:

— Salute e gioia al procuratore! — Il nuovo venuto parlava latino.

— Oh numi! — esclamò Pilato. — Ma non hai un filo asciutto addosso! Che razza d’uragano! Eh? Ti prego di entrare subito in casa mia. Cambiati, fammi il piacere.

Il nuovo venuto rigettò indietro il cappuccio, scoprendo una testa fradicia con i capelli appiccicati alla fronte, e, atteggiando il volto ben raso a un cortese sorriso, rifiutò di andarsi. a cambiare, asserendo che quella pioggerella non gli poteva certo fare male.

— Non voglio sentire niente! — rispose Pilato e batté le mani. Con questo segnale richiamò i servi che stavano nascosti e diede loro l’ordine di occuparsi dell’uomo, e di servire subito dopo una pietanza calda.

Per asciugarsi i capelli, per cambiarsi d’abito e di scarpe e in genere per rimettersi in ordine, all’uomo occorse pochissimo tempo, e poco dopo giunse sul balcone con sandali asciutti, un mantello militare purpureo e i capelli ravviati.

Nel frattempo il sole era tornato su Jerushalajim e, prima di andar ad affogare nel Mediterraneo, inviava raggi di addio alla città odiata dal procuratore e indorava i gradini del balcone. La fontana si era completamente ripresa e cantava a piena voce, i colombi erano ritornati sulla sabbia, tubavano, saltellavano tra i rami rotti, beccavano qualcosa nella sabbia bagnata. La pozzanghera rossa era stata asciugata, i cocci portati via, sul tavolo fumava un piatto di carne.

— Ascolto gli ordini del procuratore, — disse l’uomo avvicinandosi al tavolo.

— Non udrai niente finché non ti sarai seduto e avrai bevuto un po’ di vino, — rispose gentilmente Pilato e indicò l’altro letto.

L’uomo si sdraiò e un servo gli versò del denso vino rosso. Un altro servo, chinandosi con cautela sulla spalla di Pilato, riempí la coppa del procuratore. Poi questi allontanò i due servi con un gesto.

Mentre l’uomo mangiava e beveva, Pilato, sorseggiando il vino, lo guardava attraverso le palpebre socchiuse. Era un uomo di mezza età, con un volto tondeggiante piacevole e pulito, col naso carnoso. I suoi capelli erano di un colore indefinibile. Adesso, asciugandosi, si stavano schiarendo Sarebbe stato difficile determinare la nazionalità dell’uomo. La cosa principale che caratterizzava il suo volto era, forse, un’espressione bonaria, che tuttavia era in contrasto coi suoi occhi, o meglio, non cogli occhi, ma col suo modo di guardare l’interlocutore. Di solito, l’uomo teneva i piccoli occhi sotto le palpebre socchiuse un poco strane, che parevano enfiate. Allora nelle fessure di quegli occhi brillava una furbizia placida. Era lecito pensare che l’ospite del procuratore avesse dello spirito. Ma in certi momenti, scacciando completamente quello spirito brillante dalle fessure, l’ospite spalancava le palpebre e fissava all’improvviso il suo interlocutore, come se mirasse a scoprire rapidamente una macchiolina insignificante sul suo naso. Questo durava un istante, poi le palpebre si riabbassavano, le fessure si rimpicciolivano, e ricominciava a brillarvi la bonarietà e una furba intelligenza.

Il nuovo venuto non rifiutò neppure una seconda coppa di vino, inghiottí con evidente soddisfazione un paio di ostriche, assaggiò la verdura lessa, mangiò un pezzo di carne. Saziatosi, lodò il vino:

— Ottimo vitigno, procuratore, ma non è Falerno?

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