Mikhail Bulgakov - Il Maestro e Margherita
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— Se non esistono i documenti, non esiste neppure la persona, — disse soddisfatto.
— E questo è il registro degli inquilini del capomastro?
— Sí, ma…
— Che nome vi è registrato? Aloizij Mogaryč? — Korov’ev soffiò su una pagina del registro. — Questa è fatta!
Lui non c’è e, noti bene, non c’è mai stato! Se poi il capomastro si stupisce, gli dica che se l’è sognato, quell’Aloizij. Mogaryč? Chi sarebbe questo Mogaryč? Non c’è mai stato nessun Mogaryč! — A questo punto il registro legato in brossura si volatilizzò dalle mani di Korov’ev. — E adesso è già sul tavolo del costruttore.
— Lei ha detto bene, — disse il Maestro, stupito della perfezione del lavoro di Korov’ev, — quando non ci sono documenti, non c’è neppure la persona. Ecco, io, per esempio, non esisto, perché non ho documenti.
— Mi scusi, — esclamò Korov’ev, — questa è per l’appunto un’allucinazione, eccole la sua carta d’identità — . Poi volse gli occhi e sussurrò soavemente a Margherita: — ed ecco qua anche i suoi averi, Margherita Nikolaevna, — e Korov’ev consegnò a Margherita il quaderno dai margini bruciacchiati, la rosa secca, la foto e, con particolare premura, il libretto di risparmio: — Diecimila rubli come li ha depositati lei, Margherita Nikolaevna. Noi non sappiamo che farcene, della roba altrui.
— Mi si paralizzino le zampe piuttosto che toccare la roba altrui, — esclamò il gatto, con sussiego, ballando sulla valigia per pigiarvi dentro tutti gli esemplari dello sfortunato romanzo.
— E qui c’è anche la sua carta d’identità, — continuò Korov’ev, porgendo il documento a Margherita, dopo di che, rivolto a Woland, riferí rispettosamente: — È tutto Messere.
— No, non è tutto, — rispose Woland, staccandosi a malincuore dal globo, — che ne facciamo del suo seguito, mia cara donna? Io, personalmente, non so che farne.
In quel momento Nataša irruppe dalla porta aperta, nuda come l’aveva fatta sua madre, batté le mani e gridò a Margherita:
— Sia felice, Margherita Nikolaevna! — salutò il Maestro con un cenno del capo e si volse di nuovo verso Margherita: — Io, vede, ho sempre saputo dove lei andava.
— Le cameriere sanno tutto, — osservò il gatto, sollevando la zampa con un gesto molto significativo, — è un errore pensare che siano cieche.
— Che vuoi, Nataša? — chiese Margherita. — Tornatene alla palazzina.
— Margherita Nikolaevna, tesoro, — prese a dire Nataša in tono supplichevole, e si mise in ginocchio, — ottenga da Sua Signoria, — accennò con gli occhi a Woland, — che mi lasci continuare a essere una strega. Non voglio piú tornare alla palazzina! Non sposerò né un ingegnere né un tecnico! Ieri, durante il ballo, il signor Jacques ha chiesto la mia mano, — Nataša dischiuse il pugno e mostrò alcune monete d’oro.
Margherita rivolse a Woland un’occhiata interrogativa.
Questi assenti col capo. Allora Nataša si buttò al collo di Margherita, la baciò e la ribaciò e, con un grido di vittoria, s’involò dalla finestra.
Al posto di Nataša comparve Nikolaj Ivanovič. Aveva riacquistato il suo sembiante umano, ma era estremamente cupo e, forse, irritato.
— Eccone uno che metterò in libertà con particolare piacere, — disse Woland, guardando con avversione Nikolaj Ivanovič, — con un piacere straordinario, tanto egli è superfluo qui.
— Chiedo vivamente che mi venga rilasciato un certificato in merito al luogo dove ho trascorso quest’ultima notte, — disse Nikolaj Ivanovič, guardandosi timidamente attorno, ma con grande insistenza.
— Per quale uso? — domandò con severità il gatto.
— Per esibirlo alla polizia e alla mia consorte, — rispose con fermezza Nikolaj Ivanovič.
— Di solito non rilasciamo certificati, — rispose il gatto con aria burbera, — ma pazienza, per lei faremo un’eccezione.
E prima che Nikolaj Ivanovič si fosse riavuto, Hella, ignuda, sedeva già alla macchina da scrivere, e il gatto le stava dettando.
— Si attesta che il latore del presente certificato, Nikolaj Ivanovič, ha trascorso la detta notte al ballo in casa di Satana, essendo stato quivi comandato in qualità di mezzo di trasporto… parentesi, Hella, e fra le parentesi scrivi «verro». Firmato Behemoth.
— E la data? — frignò Nikolaj Ivanovič.
— La data non la mettiamo, con la data il documento non sarebbe piú valido, — rispose il gatto, scarabocchiando la firma sulla carta. Poi, non si sa di dove, trasse un timbro, vi soffiò sopra a regola d’arte, stampò sulla carta la parola «pagato» e la consegnò a Nikolaj Ivanovič. Dopo di che Nikolaj Ivanovič sparí, e al suo posto apparve inaspettatamente qualcun altro.
— E questo, chi sarebbe? — chiese sdegnosamente Woland, riparandosi con la mano dalla luce delle candele.
Varenucha abbassò il capo, sospirò e disse sommessamente:
— Mi lasci tornare indietro, non posso fare il vampiro. Quella volta con Hella per un pelo non ho ammazzato Rimskij. Ma io non sono un sanguinario. Mi lasci andare!
— Che va farneticando? — chiese Woland, accigliandosi.
— Chi sarebbe quel Rimskij? Cos’è quest’altra corbelleria?
— Non stia a disturbarsi, Messere, — rispose Azazello e si rivolse a Varenucha: — Non si deve insolentire la gente per telefono. Non si deve mentire per telefono. Capito? Non lo farà piú?
Per la gioia Varenucha perdette la bussola, il suo volto si fece raggiante e senza rendersi conto di quel che diceva, egli borbottò:
— Con sincero pent… cioè, voglio dire… Vostra Ma… subito dopo pranzo… — Varenucha si era messo una mano sul petto, guardava implorante Azazello.
— Va bene. A casa! — disse costui e Varenucha si squagliò.
— Adesso tutti voi lasciatemi solo con loro, — comandò Woland, indicando il Maestro e Margherita.
L’ordine di Woland fu eseguito sull’istante. Dopo un po’ di silenzio, Woland si rivolse al Maestro:
— Sicché, dunque, tornerà nello scantinato vicino all’Arbat? Ma chi, dunque, scriverà? E i sogni, l’ispirazione?
— Non ho piú nessun sogno e non ho neppure l’ispirazione, — rispose il Maestro. — Intorno a me non c’è nessuno che m’interessi, eccetto lei, — e posò di nuovo la mano sul capo di Margherita. — Mi hanno spezzato, m’annoio e voglio andare nello scantinato.
— E il suo romanzo? Pilato?
— Lo detesto, quel romanzo, — rispose il Maestro, — ne ho passate troppe per causa sua.
— Ti supplico, — chiese lamentosamente Margherita, non parlare cosí. Perché mi tormenti? Sai bene che ho messo tutta la mia vita in questa tua opera — . Margherita soggiunse ancora, rivolgendosi a Woland: — Non gli dia retta, Messere, l’hanno tormentato troppo.
— Ma bisogna pure descrivere qualcosa, nevvero? — disse Woland. — Se ha esaurito quel procuratore, cominci almeno a ritrarre, che so io, Aloizij…
Il Maestro sorrise.
— Quello, la Lapsennikova non lo pubblicherebbe mai, e del resto non è neppure interessante.
— Ma di che cosa vivrà? Le toccherà chiedere l’elemosina?
— Volentieri, volentieri — rispose il Maestro, attirando a sé Margherita. Le cinse le spalle col braccio e soggiunse: — Essa rinsavirà, mi abbandonerà…
— Non credo, — disse Woland fra i denti, e continuo: — Sicché, dunque, l’uomo che ha scritto la storia di Ponzio Pilato si ritira in uno scantinato, con l’intenzione di accomodarsi là, sotto la lampada, e di andare a chiedere l’elemosina?
Margherita si staccò dal Maestro e prese a dire molto impetuosamente:
— Ho fatto tutto quel che potevo, e gli ho sussurrato quanto c’è di piú seducente al mondo. Ma l’ha rifiutato.
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