Bubulina si tappava le orecchie con le zampe anteriori e davanti a lei un gatto nero grande e grosso, seduto sul fondoschiena e col dorso appoggiato a un vaso, si teneva la coda con una delle zampe davanti come se fosse un contrabbasso, mentre con l'altra fingeva di suonare le corde, lanciando contemporaneamente dei miagolii snervanti.
Una volta riavutosi dalla sorpresa, non riuscì a soffocare l'ilarità, e appena si piegò in due premendosi la pancia per le troppe risate,
Zorba ne approfittò per intrufolarsi dentro casa.
Quando l'umano, continuando a ridere, si voltò, vide il gatto nero grande e grosso seduto su una poltrona.
<> disse l'umano.
<> ribatté Zorba nel linguaggio degli
umani.
L'umano aprì la bocca, si tirò un ceffone e appoggiò la schiena alla parete.
<> esclamò l'umano.
<> lo esortò Zorba.
<> disse l'umano lasciandosi cadere sul divano.
<> spiegò Zorba.
L'umano si portò le mani alla testa e si tappò gli occhi ripetendo 'è la stanchezza, è la stanchezza'. Ma quando tolse le mani, il gatto nero grande e grosso era ancora sulla poltrona.
<< Sono allucinazioni. Vero che sei un'allucinazione?>> chiese l'umano.
<> assicurò Zorba. <>.
<> chiese incredulo l'umano.
<> propose Zorba.
<> disse l'umano.
<> lo corresse Zorba.
<> insisté l'umano.
<> tornò a correggerlo Zorba.
<> gridò l'umano.
<> chiese Zorba.
<> rispose l'umano.
<< Allora posso andare al sodo>> propose Zorba.
L'umano annuì, ma gli chiese di rispettare il rituale di conversazione degli umani. Servì al gatto una scodella ai latte, e poi si accomodò sul divano con un bicchiere di cognac fra le mani.
<> disse l'umano, e Zorba gli riferì la storia della gabbiana, dell'uovo, di
Fortunata, e degli infruttuosi sforzi dei gatti per insegnarle a volare.
<> domandò Zorba dopo aver concluso il suo racconto.
<> rispose l'umano.
<> chiese conferma Zorba.
<> lo esortò l'umano.
<> osservò Zorba.
<> disse l'umano.
<> si scusò Zorba.
Allora l'umano andò alla sua scrivania prese un libro e cercò tra le pagine.
<
Ma il loro piccolo cuore
— lo stesso degli equilibristi per nulla sospira tanto
come per quella pioggia sciocca
che quasi sempre porta il vento,
che quasi sempre porta il sole>>.
<> miagolò Zorba saltando giù dalla poltrona.
Si dettero appuntamento a mezzanotte davanti alla porta del bazar, e il gatto nero grande e grosso corse via a informare i suoi compagni.
CAPITOLO UNDICESIMO: Il volo
Una pioggia fitta cadeva su Amburgo e dai giardini si alzava un profumo di terra umida. L'asfalto delle strade splendeva e le insegne al neon si riflettevano deformi sulla superficie bagnata. Un uomo avvolto in un impermeabile camminava in una solitaria strada del porto dirigendo i suoi passi verso il bazar di Harry.
<> strillò lo scimpanzè.
<>
<> miagolò Zorba.
<
e deve essere rispettato>> strillò Mattia.
<> miagolò Sopravento.
<> stridette supplichevole Fortunata.
<> strillò in tono canzonatorio Mattia.
<> miagolò Diderot.
<> annunciò Segretario che sbirciava fuori.
<<���È il poeta! Non c'è tempo da perdere!>> miagolò Zorba correndo a tutta velocità verso
la finestra.
Le campane della chiesa di San Michele iniziarono a suonare i dodici rintocchi della mezzanotte e l'umano sussultò al rumore di vetri rotti. Il gatto nero grande e grosso cadde
per strada in mezzo a una pioggia di schegge, ma si rialzò senza preoccuparsi per le ferite alla testa, e saltò di nuovo dentro la finestra dalla quale era uscito.
L'umano si avvicinò nel preciso istante in cui una gabbiana veniva sollevata da vari gatti fino al davanzale. Dietro i gatti, uno scimpanzè si palpeggiava la faccia cercando di tapparsi occhi, orecchi e bocca allo stesso tempo.
<> miagolò Zorba.
<> disse l'umano prendendola in braccio.
L'umano si allontanò in fretta dalla finestra del bazar. Sotto l'impermeabile aveva un gatto nero grande e grosso e una gabbiana dalle piume d'argento.
<> strillò lo scimpanzè.
<> ribatté Segretario.
<> protestò Colonnello.
<> miagolò Sopravento.
Il gatto nero grande e grosso e la gabbianella stavano ben comodi sotto l'impermeabile, al calduccio contro il corpo dell'umano che camminava con passi rapidi e sicuri. Sentivano i loro tre cuori battere con ritmi diversi, ma con la stessa intensità.
<> chiese l'umano vedendo delle macchie di sangue sui risvolti dell'impermeabile.
<> chiese Zorba.
<> stridette Fortunata.
<> le assicurò Zorba.
<> chiese l'umano.
<> insisté Zorba.
<> rispose l'umano.
Zorba fece capolino. Erano davanti a un edificio alto. Sollevò gli occhi e riconobbe il campanile di San Michele illuminato da vari riflettori. I fasci di luce colpivano in pieno la sua struttura slanciata rivestita di lastre di rame che il tempo, la pioggia e i venti avevano
coperto di una patina verde.
<> miagolò Zorba.
<> disse l'umano. <>.
Fecero un giro e si intrufolarono da una piccola porta laterale che l'umano aprì con l'aiuto di un coltello a serramanico. Poi tirò fuori di tasca una torcia e, guidati dal suo sottile fascio di luce, iniziarono a salire una scala a chiocciola che sembrava interminabile.
<> stridette Fortunata.
<> miagolò Zorba.
Dal campanile di San Michele si vedeva tutta la città. La pioggia avvolgeva la torre
della televisione, e al porto le gru sembravano animali in riposo.
<> miagolò Zorba.
<> stridette Fortunata.
Zorba saltò sulla balaustra che girava attorno al campanile. In basso le auto sembravano insetti dagli occhi brillanti. L'umano prese la gabbiana tra le mani.
<> stridette Fortunata beccando le mani dell'umano.
<> miagolò Zorba.
<> disse l'umano.
<
ancora si chiama sole e arriva sempre come una ricompensa dopo la pioggia. Senti la pioggia. Apri le ali>> miagolò Zorba.
La gabbianella spiegò le ali. I riflettori la inondavano di luce e la pioggia le copriva di
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