Luis Sepulveda - Storia di una gabbianella e del gatto che le insegno' a volare
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Luis Sepúlveda
STORIA DI UNA GABBIANELLA E DEL GATTO CHE LE INSEGNÒ A VOLARE
Traduzione di Ilide Carmignani
Romanzo
SALANI EDITORE
Titolo dell'originale spagnolo
HISTORIA DE UNA GAVIOTA Y DEL GATO
QUE LE ENSENÓ A VOLAR
ISBN 88-7782-512-X
Prima edizione: agosto 1996
Copyright © Luis Sepúlveda,1996
by arrangement with Dr. Ray — Güde Mertin,
Literarische Agentur, Bad Homburg, Germany
Copyright © 1996 Adriano Salani Editore s.r.l.
Firenze, via del Giglio 15
Ai miei figli Sebastián, Max e León,
il miglior equipaggio dei miei sogni;
al porto di Amburgo
perché lì sono saliti a bordo;
e al gatto Zorba, naturalmente.
PARTE PRIMA
CAPITOLO PRIMO: Mare del Nord
<> annunciò il gabbiano di vedetta, e lo stormo del Faro della Sabbia Rossa accolse la notizia con strida di sollievo.
Da sei ore volavano senza interruzione, e anche se i gabbiani pilota li avevano guidati lungo correnti di aria calda che rendevano piacevole planare sopra l'oceano, sentivano il bisogno di rimettersi in forze, e cosa c'era di meglio per questo di una buona scorpacciata di aringhe?
Volavano sopra la foce del fiume Elba, nel mare del Nord. Dall'alto vedevano le navi in fila indiana, come pazienti e disciplinati animali acquatici, in attesa del loro turno per uscire in mare aperto e poi far rotta per tutti i porti della Terra.
A Kengah, una gabbiana dalle piume color argento, piaceva particolarmente osservare le bandiere delle navi, perché sapeva che ognuna rappresentava un modo di parlare, di chiamare le stesse cose con parole diverse.
<> commentò una volta Kengah con un compagno di volo.
<> stridette l'altro.
Al di là della linea costiera il paesaggio diventava di un verde intenso. Era un enorme prato nel quale spiccavano le greggi di pecore che pascolavano al riparo delle dighe, e i pigri bracci dei mulini a vento.
Seguendo le istruzioni dei gabbiani pilota, lo stormo del Faro della Sabbia Rossa imboccò una corrente d'aria fredda e si lanciò in picchiata sul banco di aringhe. Centoventi corpi bucarono l'acqua come frecce e, quando risalirono a galla, ogni gabbiano stringeva un pesce nel becco.
Aringhe saporite. Saporite e grasse. Proprio quello di cui avevano bisogno per recuperare energie prima di riprendere il volo fino a Den Helder, dove a loro si sarebbe unito lo stormo delle isole Frisoni.
La rotta prevedeva poi di proseguire fino al passo di Calais e al canale della Manica, dove sarebbero stati accolti dagli stormi della baia della Senna e di Saint-Malo, assieme ai quali avrebbero volato fino a raggiungere il cielo di Biscaglia.
A quel punto sarebbero stati un migliaio di gabbiani, simili a una veloce nuvola d'argento che si sarebbe pian piano ingrandita con l'arrivo degli stormi di Belle Ile e di Oléron, e dei capi Machichaco, Ajo e Penas. Quando tutti i gabbiani autorizzati dalla legge del mare e dei venti avessero sorvolato la Biscaglia, sarebbe potuto iniziare il grande convegno dei gabbiani del mar Baltico, del mare del Nord e dell'Atlantico.
Sarebbe stato un bell'incontro. A questo pensava Kengah mentre si pappava la sua terza aringa. Come tutti gli anni si sarebbero sentite storie interessanti, specialmente quelle narrate dai gabbiani di capo Penas, instancabili viaggiatori che a volte volavano fino alle isole Canarie o a quelle di Capo Verde.
Le femmine come lei si sarebbero date a grandi banchetti di sardine e di calamari, mentre i maschi avrebbero costruito i nidi sul bordo di una scogliera. Poi le femmine avrebbero deposto le uova, le avrebbero covate al sicuro da qualsiasi minaccia, e quando ai piccoli fossero spuntate le prime penne robuste sarebbe arrivata la parte più bella del viaggio: insegnare loro a volare nel cielo di Biscaglia.
Kengah infilò la testa sott'acqua per acchiappare la quarta aringa, e così non sentì il grido d'allarme che fece tremare l'aria:
<>
Quando Kengah tirò di nuovo fuori la testa, si ritrovò sola nell'immensità dell'oceano.
CAPITOLO SECONDO: Un gatto nero, grande e grosso
<> disse il bambino accarezzando il dorso del gatto nero grande e grosso.
Poi continuò a preparare lo zaino. Prendeva una cassetta del gruppo Pur, uno dei suoi preferiti, la infilava dentro, esitava, la tirava fuori, e non sapeva se rimetterla nello zaino o se lasciarla sul comodino. Era difficile decidere cosa portarsi via per le vacanze e cosa lasciare a casa.
Il gatto nero grande e grosso lo guardava attentamente, seduto sul davanzale della finestra, il suo posto preferito.
<> gli offrì il bambino prendendo la scatola.
Gliene servì una porzione più che generosa, e il gatto nero grande e grosso iniziò a masticare lentamente, per gustarli bene. Che biscottini deliziosi, croccanti, al sapore di pesce!
<> pensò il gatto con la bocca piena.
<> si corresse mentre ingoiava.
Zorba, il gatto nero grande e grosso, aveva degli ottimi motivi per pensarla così di quel bambino che spendeva i soldi della sua paghetta in quei deliziosi croccantini, che teneva sempre pulita la lettiera dove lui faceva i suoi bisogni, e che lo istruiva parlandogli di cose importanti.
Avevano l'abitudine di passare molte ore assieme sul balcone osservando l'incessante traffico del porto di Amburgo, e lì, per esempio, il bambino gli diceva:
<>.
Come tutti i ragazzi di porto, anche quel bambino sognava viaggi in paesi lontani. Il gatto nero grande e grosso lo ascoltava facendo le fusa, e si vedeva anche lui a bordo di un veliero che solcava i mari.
Sì. Il gatto nero grande e grosso nutriva molto affetto per il bambino, e non aveva dimenticato che gli doveva la vita.
Zorba aveva contratto quel debito il giorno stesso in cui aveva abbandonato la cesta che faceva da casa a lui e ai suoi sette fratelli.
Il latte di sua madre era tiepido e dolce, ma Zorba voleva assaggiare una di quelle teste di pesce che la gente del mercato dava ai gatti adulti. Non che pensasse di mangiarla tutta lui, no, la sua idea era di trascinarla fino alla cesta e là miagolare ai fratelli:
<>.
Pochi giorni prima che abbandonasse la cesta, sua madre gli aveva miagolato molto seriamente:
<
può renderti un disgraziato. Figliolo, se guardi i tuoi fratelli, vedrai che sono tutti grigi e che hanno la pelliccia a righe come le tigri. Tu, invece, sei nato completamente nero, a parte quella piccola macchia bianca che hai sulla gola. Certi umani credono che i gatti neri portino sfortuna perciò figliolo, non uscire dalla cesta>>.
Ma Zorba, che all'epoca sembrava una pallina di carbone, abbandonò la cesta. Voleva assaggiare una di quelle teste di pesce. E anche vedere un po' di mondo.
Non arrivò molto lontano. Trotterellando verso una bancarella di pesce con la coda ben alta e vibrante, passò davanti a un grosso uccello che dormicchiava con la testa piegata di lato. Era un uccello molto brutto e con un gozzo enorme sotto il becco. All'improvviso il piccolo gatto nero sentì che il suolo si allontanava da sotto le sue zampe, e senza capire cosa stava succedendo si ritrovò a far capriole in aria. Allora ricordò uno dei primi insegnamenti di sua madre e cercò un posto dove cadere in piedi, ma sotto lo aspettava l'uccello con il becco aperto. Piombò nel gozzo, che era molto buio e puzzava in modo orribile.
<> miagolò disperato.
<> gracchiò l'uccello senza aprire il becco. <>
<> miagolò lui minaccioso.
<> domandò l'uccello sempre a becco chiuso.
<> gridò il gattino.
<>.
<> miagolò il piccolo
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