Gianni Rodari - Gelsomino nel paese dei bugiardi

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Gelsomino nel paese dei bugiardi: краткое содержание, описание и аннотация

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In un paese, dove per ordine del sovrano tutto funziona al contrario e è proibito dire la verità, arriva Gelsomino dalla voce potentissima che con l'aiuto di simpatici amici sconfigge la prepotenza e fa trionfare la sincerità. In questo libro (uno dei primi) Rodari dà prova della sua straordinaria capacità di esplorare con occhio critico la realtà sociale e di muovere con brio e finezza di stile verso un universo fantastico costruito sull'altruismo, sulla generosità, sull'amicizia: Gelsomino con la sua voce e la sua simpatia ci invita a guardare con ottimismo al futuro. Età di lettura: da 6 anni.

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— Presto, — sussurrò Romoletta, — andiamocene per la cucina.

In cucina il buio era più denso della pece, ma in un angolo, pressappoco dove avrebbe potuto trovarsi l'acquaio, brillavano quattordici fiammelle verdi.

— Sento odor di gatto, — disse Zoppino, — anzi, sento odore di sette gatti.

— Sono quelli della zia.

Dalla parte dell'acquaio vennero sette allegre risatelle.

— Fratello, — disse una voce, — sei cieco oltre che zoppo? Non vedi che siamo cani come te?

— E dagli coi gatti bugiardi! — esclamò Zoppino, arrabbiandosi sul serio. — Siete fortunati che non ho tempo di fermarmi, altrimenti vi insegnerei io a miagolare a forza di graffi. E zia Pannocchia mi direbbe anche grazie.

— Bum! — fecero in coro i sette gatti.

Zoppino attraversò la cucina, zoppicando, ed andò ad accucciarsi davanti ai suoi sette colleghi.

— Miao, — disse con fare provocante.

I sette mici ci rimasero malissimo.

— Avete sentito? — disse il più piccolo di loro. — Sa miagolare davvero.

— Già, e mica male, per un cane.

— Miao, — ripete Zoppino, — miao, miao, miao!

— Sarà uno che fa le imitazioni alla radio, — disse il più vecchio dei sette, — non dategli retta. Vuole un applauso.

— Miao, — fece ancora Zoppino.

— Se devo dire la verità, — borbottò un altro dei sette, — piacerebbe anche a me miagolare così bene. Se volete saperlo, mi sono stancato di abbaiare. Ogni volta che abbaio mi prende uno spavento che mi fa rizzare il pelo.

— Zucconcello mio, — disse Zoppino, — e perché ti spaventi? Perché sei un gatto e non un cane?

— Adesso non offendermi. È già tanto se ti stiamo ad ascoltare. Chissà chi sei.

— Sono un gatto, come voi.

— Cane o gatto, miagolare mi piacerebbe.

— E tu provaci, — disse Zoppino. — Sentirai che roba. Ti verrà in bocca un sapore dolce più del…

— Più del latte di zia Pannocchia? — domandò il più piccolo dei sette.

— Cento volte più dolce.

— Io quasi quasi vorrei provare, — fece il piccolo.

— Miao, miao, — miagolò Zoppino, insinuante. — Coraggio, fratelli gatti, imparate a miagolare!

E mentre Romoletta si teneva la pancia dal ridere, il più piccolo dei sette mici cominciò a emettere un timido miagolio. Il secondo gli fece eco un poco più forte, il terzo si aggiunse al coro: un istante dopo i sette gatti miagolavano come sette violini, incitati a gran voce da Zoppino.

— Cosa ve ne pare?

— È dolce davvero!

— Più del latte zuccherato!

— A proposito, — esclamò allarmata Romoletta, — sveglierete zia Pannocchia. Vieni Zoppino!

Troppo tardi per prendere delle precauzioni. Zia Pannocchia si era svegliata ed era apparsa sulla porta della cucina. Si sentì lo scatto dell'interruttore e si vide la faccia della vecchia signora rigata di lacrime di felicità.

— Micini miei! Finalmente, finalmente!

Zoppino e Romoletta erano già scappati in cortile. I setti mici rimasero un momento indecisi: guardarono la loro padrona, miagolando a perdifiato, senza sapere cosa pensare di quei ruscelletti che le spuntavano dagli occhi; guardarono la porta, e si decisero per quella. Uno dietro la coda dell'altro, si precipitarono in cortile senza cessare un attimo di miagolare.

Zia Pannocchia si affacciò, asciugandosi le lacrime.

— Bravi! Bravi! — continuava a dire. — Bravi!

E i gatti le rispondevano:

— Miao! Miao!

Ma qualcuno, non visto, assisteva al singolare spettacolo: il signor Calimero, ovvero il padron di casa, che si era ridotto ad abitare in un abbaino per affittare fin l'ultima stanza dell'ultimo piano; un uomo antipatico, brutto come una spia. Più volte il signor Calimero aveva proibito a zia Pannocchia di tener bestie in casa, ma la vecchia signora, naturalmente, non gli aveva dato retta.

— Io pago l'affitto, — diceva, — e caro per giunta. In casa mia ricevo chi mi pare.

Calimero occupava buona parte del suo tempo a osservare quel che facevano gli altri dal finestrino della sua soffitta. Fu cosi che quella sera vide i gatti, li udì miagolare e udì anche zia Pannocchia che li approvava ad alta voce, ripetendo: «Bravi! Bravi!»

— Ci siamo, — disse Calimero fregandosi le mani. — Ecco perché quella vecchia strega va in giro a raccogliere cani randagi: niente meno per insegnar loro a miagolare! Questa volta la metto a posto. Scrivo subito una lettera al ministro.

E, chiusa la finestrina, prese penna, carta e calamaio e scrisse:

«Signor ministro, accadono cose incredibili, che mettono a dura prova la pazienza dei cittadini. La signora zia Pannocchia ha fatto questo e questo, eccetera eccetera. Firmato: un amico delia bugia».

Mise la lettera in una busta e corse a impostarla. Per colmo di disgrazia, proprio mentre Calimero rincasava, Romoletta e Zoppino si erano fermati nella via per fare qualcosa che avrebbe meritato loro la lettura di un'altra decina di capitoli di zia Pannocchia. Zoppino, ormai lo sapete, provava di tanto in tanto un prurito speciale, e quando lo provava non poteva fare a meno di scrivere sui muri. Egli stava appunto ubbidendo al suo prurito, e Romoletta lo osservava con invidia perché non aveva in tasca nemmeno il più piccolo pezzo di gesso: né l'uno né l'altra si accorsero di Calimero.

Lo spione, al solo vederli, sospettò subito qualcosa di losco. Si appiattò in un portoncino e potè leggere a tutto suo agio il nuovo messaggio di Zoppino, che diceva:

A GIACOMONE PRENDERÀ UN MALANNO

IL DÌ CHE I GATTI MIAGOLERANNO

Non appena Zoppino e Romoletta si furono allontanati, Calimero corse a casa fregandosi le mani e scrisse al ministro una nuova lettera, così concepita:

«Eccellenza, sono in grado di rivelare che gli autori delle scritte murali offensive per il nostro sovrano vivono in casa della signora zia Pannochia. Si tratta di sua nipote Romoletta e di uno dei cani che essa raccoglie per insegnare loro, contro tutte le leggi, a miagolare. Certo che vorrete assegnarmi la promessa ricompensa di centomila talleri falsi, mi firmo: Calimero la Cambiale».

Intanto, nella via Zoppino notava con preoccupazione che la sua zampa destra si era accorciata di qualche altro millimetro.

— Bisogna che io trovi un sistema per scrivere senza consumare la zampa, — disse sospirando.

— Aspetta, — esclamò Romoletta, — che stupida a non pensarci prima. Conosco un pittore che abita da queste parti. La sua soffitta è sempre aperta, perché il pittore è povero in canna e quindi non ha paura dei ladri. Potrai entrare e prendere in prestito qualche pastello, o magari una scatola intera. Vieni, ti mostrerò la strada e poi tornerò a casa: non voglio che zia Pannocchia stia in pensiero per me.

Bananito pittor di cartello, lascia il pennello e prende il coltello

Il pittore Bananito, tutto solo nella sua soffitta, quella sera non riusciva a prendere sonno. Accoccolato su uno sgabello, contemplava i suoi quadri e rifletteva malinconicamente:

— È inutile, ci manca qualcosa. Se questa cosa non ci mancasse, sarebbero dei capolavori. Ma cos'è che ci manca? Ecco il problema!

In quel momento Zoppino, che si era arrampicato su per i tetti pensando di entrare dalla finestra senza disturbare il padrone di casa, saltò sul davanzale.

«Oh, oh, siamo ancora svegli, — miagolò mentalmente. — Aspetterò qui. Non voglio parere indiscreto. Quando Bananito dormirà gli chiederò in prestito i colori senza che se ne accorga. Intanto darò un'occhiata ai quadri».

Quello che vide lo lasciò senza fiato.

«Secondo me, — pensò, — c'è qualcosa di troppo. Se non ci fosse, sarebbero dei quadri passabili. Ma cosa c'è di troppo? Ci sono troppe zampe. Quel cavallo, per esempio, ne ha addirittura tredici. Pensare che io ne ho tre sole… E ci sono anche troppi nasi: quel ritratto ne ha tre in mezzo a una sola faccia. Non invidio quel signore: se gli capita un raffreddore consuma tre fazzoletti per volta. Ma ora che fa?».

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