Illustrazioni di Maria Enrica Agostinelli
Editori Riuniti
I edizione, I ristampa: novembre 1974
© Copyright by Editori Riuniti, 1964 — Viale Regina Margherita, 290 — 00198 Roma
Impostazione grafica di Giuseppe Montanucci
CL 63-0736 — 1
Befana era una vecchia signora molto distinta e nobile: era quasi baronessa.
— La gente — borbotta qualche volta fra sé — mi chiama semplicemente «la Befana», e io non protesto, perché bisogna pure compatire gli ignoranti. Ma sono quasi baronessa: le persone per bene lo sanno.
— Sì, signora baronessa — approvava Teresa, la serva, per farle piacere.
— Non sono proprio baronessa del tutto, ma poco ci manca. E la differenza non si vede nemmeno. Si vede?
— No, signora baronessa.
Era la mattina dell'Epifania. Per tutta la notte la Befana e la sua serva erano state in giro per tetti e per camini a portare i doni ai clienti. I loro vestiti erano ancora coperti di neve e di ghiaccioli.
— Accendi la stufa — disse la Befana — così ci asciugheremo. E riponi la scopa: per un annetto buono noti ci servirà.
Teresa rimise la scopa nel solito angolo, borbottando:
— Sarà bello, volare con la scopa. Ma adesso che c'è fior di aeroplani e di razzi non ne vedo proprio l'utilità. Intanto il raffreddore me lo sono preso e me lo tengo.
— Preparami una buona camomilla — ordinò la Befana, inforcando gli occhiali e sedendosi nella vecchia poltrona di pelle nera davanti alla scrivania.
— La baronessa sarà servita — squittì la serva con la sua vo-cetta di topo. La Befana le lanciò un'occhiata di approvazione.
— È un po' rozza — pensò — ma conosce le regole della buona creanza e sa come comportarsi con una signora del mio rango, quasi baronessa. Le prometterò di aumentarle lo stipendio. Poi naturalmente non glielo aumenterò affatto: ci mancherebbe altro. con questi chiari di luna.
La Befana sospirò e ficcò il naso nei suoi registri.
— Dunque, vediamo un po'. Affari magrucci, quest'anno, e soldi pochini. I doni, si sa, tutti li vogliono belli, ma quando si tratta di pagare, allora è un altro discorso. Promettono, fanno segnare sul libretto come se la Befana fosse un pizzicagnolo, e poi chi s'è visto s'è visto… Comunque, i giocattoli che avevo in negozio li ho dati via tutti, e oggi bisognerà portarne su degli altri dal magazzino.
Chiuse il libro dei conti e cominciò a sfogliare le lettere che aveva trovate nella cassetta della posta quella mattina, di ritorno dal suo giro.
— Ecco qua — borbottò — me l'aspettavo: io sfido la tramontana, io rischio l'osso del collo sulle tegole gelate e loro non sono mai contenti. Questo non voleva la sciabola di legno, voleva la pistola: ma lo sa che la pistola costava mille lire di più? Quest'altro voleva un aeroplano, nientemeno. Suo padre aveva in tutto trecento lire. Che cosa gli potevo regalare per trecento lire?
La Befana buttò le lettere nel cassetto, si tolse gli occhiali e chiamò:
— Teresa, è pronta quella camomilla?
— Subito, subito, signora baronessa.
— Ce l'hai messo un goccetto di rum?
— Ce n'ho messi due cucchiaini.
— Esagerata, ne bastava uno e mezzo. Ora capisco perché la bottiglia è quasi vuota: e dire che l'abbiamo comperata soltanto quattro anni fa.
Per tutta la notte la Befana e la sua serva erano state in giro per i tetti e per i camini a portare i doni ai clienti.
Mentre sorbiva la camomilla bollente senza scottarsi, come sanno fare soltanto le vecchie signore, la Befana si aggirava nel suo piccolo regno, gettando occhiate qua e là, ispezionando con cura ogni angolo della cucina, del retrobottega, della botteguccia e della scaletta di legno che portava al piano di sopra, dove c'era la camera da letto.
Com'era triste la bottega, con la saracinesca abbassata, le vetrine vuote e gli scaffali ingombri soltanto di scatoloni vuoti e di cartacce.
— Prepara la chiave del magazzino e la candela — disse la Befana — bisogna portare su dell'altra roba.
— Signora baronessa, vuol lavorare anche oggi che è la sua festa?
— Che forse nei giorni di festa non si mangia?
— Ormai la notte della Befana è passata.
— Già, ma alla Befana nuova mancano solamente trecentosessantacinque notti.
Forse sarà bene spiegare che la bottega restava aperta tutto l'anno, e le sue vetrine erano sempre illuminate, così i bambini avevano il tempo di innamorarsi di questo o di quel giocattolo, e i genitori avevano il tempo di fare i loro calcoli per poterlo ordinare.
Inoltre, e per fortuna, tutti i giorni ci sono compleanni, e si sa che i bambini considerano il loro compleanno un'occasione molto indicata per ricevere regali.
Ora sappiamo che cosa fa la Befana da un sei gennaio all'altro: se ne sta nel suo negozietto e aspetta. Se ne sta dietro le vetrine a spiare la gente, e soprattutto le facce dei bambini. Lei capisce subito se un giocattolo nuovo ha successo, e se non piace lo toglie dalla vetrina e lo rimpiazza con un altro.
Per i giocattoli di moda ha un fiuto speciale: da qualche anno la sua vetrina va assomigliando a una stazione spaziale. Ma vi sono giocattoli che non tramontano: la Befana sa, per esempio, che quando le bambine andranno sulla Luna non mancheranno di portarsi lassù la loro vecchia bambola.
Il magazzino era una cantina che stava proprio sotto la bottega. La Befana e Teresa dovettero fare non meno di venti viaggi su e giù per le scale per mettere i nuovi giocattoli in vetrina e sugli scaffali.
Al terzo viaggio Teresa era già stanca.
— Signora baronessa — diceva fermandosi a mezza scala e levando il capo da un grosso fagotto di bambole che le riempiva le braccia — signora, mi batte il cuore.
— Per fortuna, mia cara, per fortuna — rispondeva la Befana. — Se non ti battesse più, saresti morta.
— Mi fanno male le gambe, signora baronessa.
— Lasciale in cucina che riposino tanto con le gambe non si può portare nulla.
— Signora baronessa, non ho più fiato.
— Io non te l'ho rubato, mia cara, ce n'ho tanto del mio.
Davvero la Befana non sembrava mai stanca. Vecchia com'era,
saltellava su per i gradini a tempo di ballo, come se avesse una molla sotto i tacchi, e intanto non cessava di fare i conti.
— Questi pellerossa mi frutteranno duecento lire l'uno, anzi forse trecento. I pellerossa vanno tanto di moda, adesso. Questo treno è una meraviglia. Lo battezzerò la Freccia Azzurra, e voglio ritirarmi dal commercio se fin da domani non verranno i bambini a mangiarselo con gli occhi.
La Befana e Teresa dovettero fare non meno di venti viaggi su e giù per le scale per mettere i nuovi giocattoli in vetrina e sugli scaffali.
La Freccia Azzurra era veramente uno splendido treno, con un fascio di rotaie che a stenderle tutte avrebbero fatto il giro della piazza, con due passaggi a livello, la cabina per i manovratori, una stazione col capostazione principale, un macchinista e un capotreno con gli occhiali. A starsene tanti mesi sepolto in magazzino, il treno elettrico si era ricoperto di polvere, ma la Befana, con uno straccio, lo ripulì a nuovo, facendo splendere la sua vernice, azzurra come l'acqua di un laghetto alpino. Tutto il treno era verniciato di azzurro, compresi il Capostazione, il Capotreno e il Macchinista.
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