Gianni Rodari - La torta in cielo
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Gianni Rodari
La torta in cielo
Sul cielo di una borgata romana, una mattina d'aprile appare un enorme oggetto circolare. I marziani! I marziani! Gridano gli abitanti uscendo dalle case e dai negozi, e accalcandosi in piazza. Arrivano due professori, i vigili, la polizia, autoblinde e soldati. Ma sono due ragazzi, Paolo e Rita, a svelare il segreto del disco volante: che non è un vero disco volante, ma qualcosa di molto più dolce...
Con La torta in cielo, Gianni Rodari rinnova con i suoi giovani lettori un festoso appuntamento, fatto di estrose invenzioni e di garbato umorismo.
Questa storia...
Questa storia è nata nelle Scuole elementari Collodi, Borgata del Trullo, Roma, tra gli scolari della signorina Maria Luisa Bigiaretti che hanno finito la quinta nel '64; è stata pubblicata a puntate dal "Corriere dei Piccoli" nel medesimo anno 1964; è dedicata a tutti i suoi lettori: a ciascun lettore ogni pagina, dalla prima all'ultima.
Quella mattina al Trullo
Una mattina d'aprile verso le sei, al Trullo, i passanti che attendevano il primo autobus per il centro, alzando gli occhi a studiare il tempo, videro il cielo della loro borgata quasi interamente occupato da un enorme oggetto circolare di colore oscuro, che se ne stava al posto delle nuvole, immobile, a un migliaio di metri sopra il livello dei tetti. Ci fu qualche: - Oh, - qualche: - Ah, - poi si udì un grido: - Li marziani!
Fu come un segnale e una parola d'ordine. La gente cominciò a gridare e a correre da tutte le parti. Finestre si aprirono, altra gente si affacciò a curiosare, immaginando il solito incidente d'auto, poi guardò in su, e allora ci fu un gran chiamare e sbattere di imposte e rotolare di avvolgibili e ciabattare per scale e cortili.
- Li marziani!
- Er disco volante!
- Andiamo, sarà un'eclisse.
"La cosa", effettivamente, pareva un gran buco nero nel cielo, e aveva intorno una corona limpida e azzurra.
- Quale eclisse? Questa è la fine del mondo.
- Esagerato. Che, la fine del mondo può venire così, dalla sera alla mattina?
- Già, prima dovranno avvertire lei con una bella raccomandata: "Guardi che il tal giorno alla tal ora il mondo va a gambe all'aria".
Dal bar Italia uscì un cameriere, stropicciandosi le mani nel grembiule sudicio. Diede un'occhiata al cielo e si piegò in due come se gli avessero calato una botta in testa.
Una donna in camicia da notte gli gridò dal balcone:
- Telefona ai pompieri, Augusto.
- E che gli dico?
- Digli che ci stanno i marziani, digli, stupido. Non li vedi?
- Ma che c'entrano i pompieri? Mica gli possono fare "bum" per spaventarli.
- Telefona, telefona, vedrai che loro sapranno.
Augusto rientrò nel bar, infilò un gettone nell'apparecchio e fece il numero dei pompieri.
- Pronto, correte al Trullo, sono arrivati i marziani!
- Chi è che parla?
- Sono Augusto.
- Bravo, e io sono Giulio Cesare. Non ti vergogni, essere già ubriaco a quest'ora?
Il centralinista dei pompieri troncò la comunicazione. Ma nei due minuti seguenti dovette rispondere a una ventina di chiamate dal Trullo, tutte dello stesso tono, e si decise a dare l'allarme, spiegando al tenente di turno:
- Dev'essere un caso di pazzia collettiva. Per me, bisognerebbe avvertire il manicomio.
Al Trullo, chi non stava fuori col naso per aria stava attaccato a un telefono. Chi chiamava la polizia, chi i vigili urbani, chi i carabinieri.
Intanto, dal retrobottega del vapoforno, uscì il cascherino che tutte le mattine, a quell'ora, faceva il giro dei bar con il rifornimento dei maritozzi e dei cornetti. Appoggiò la cesta traboccante e profumata al manubrio della bicicletta, alzò la gamba destra per montare in sella, alzò meccanicamente anche gli occhi: patapumfete, giù per terra lui, la bicicletta e la cesta. Maritozzi e cornetti rotolarono nella polvere in ordine sparso.
I cascherini romani sono famosi perché non cascano mai: ma succede in un minuto quel che non è successo in mille anni. Il garzone del fornaio si rialzò e si rifugiò in bottega, gridando:
- Aiuto! E' caduta la luna!
Per giustificare la sua caduta non ci voleva meno di una catastrofe cosmica.
I dolci giacevano fino a mezza strada. Un cane balzò di chissà dove, ne afferrò uno coi denti e galoppò via di traverso, per schivare una legnata che però non venne.
- E' il cane del sor Meletti, - disse il macellaio alla moglie. - Il cane più ladro di tutta la borgata appartiene a un vigile urbano. E poi protestano perché in Italia le cose vanno storte.
Il vigile Meletti, una volta, per appioppare di sorpresa la multa a un automobilista, si era appostato dietro il cavallo di un vetturino. Da quel giorno certi ragazzi istruiti l'avevano ribattezzato "l'astuto Ulisse". Il suo cane, di conseguenza, lo chiamavano Argo, sebbene il suo nome ufficiale fosse Zorro. Era un cane intelligente, e rispondeva a entrambi i nomi.
Quella mattina però, non avrebbe risposto neanche se l'avessero chiamato Eccellenza. Col maritozzo ben stretto in bocca infilò le scale del Lotto Quinto e volò, di pianerottolo in pianerottolo, fino alla porta di casa Meletti. Paolo, che si era alzato presto per fare il compito, lo udì raspare e gli aperse.
- Da dove vieni, vagabondo?
Zorro, troppo affannato per rispondere, attraversò di corsa la cucina, si gettò sul terrazzino e qui finalmente si accucciò per mangiarsi in pace la sua colazione.
- Cosa? Un maritozzo? Dammene un pezzo o lo dico a papà quando torna.
Il sor Meletti era uscito prestissimo per ragioni del suo ufficio; sua moglie, la sora Cecilia, era stata chiamata a fare un'iniezione d'urgenza. In casa erano rimasti Paolo e Rita, che dormiva ancora. Toccava a Paolo, come maggiore, svegliarla in tempo e far bollire il latte.
- Da' qua!
Ma Zorro, per paura di dover dividere quella sciccheria, la mandò giù in un boccone.
Paolo lo seguì sul balcone, ben deciso a fargli pagare la mancanza di rispetto, ma quello che vide gli fece dimenticare sia il cane che il maritozzo.
- Rita, - gridò, - vieni, presto! Rita!
- Che c'è? - rispose una vocina assonnata.
- Vieni a vedere, muoviti.
- E' già ora di andare a scuola?
- Mi sa tanto che oggi a scuola non si va.
La bambina, a quell'annuncio, fu subito sveglia e corse sul balcone, accompagnata dall'ululare di una sirena: i pompieri facevano in quel momento il loro ingresso sulla piazza del Trullo.
- O mamma, il fuoco.
- Ma quale fuoco! Guarda lassù.
- Già, che brutta nuvola. Verrà certo un gran temporale.
- Sei proprio stupida. Secondo me è una stazione spaziale.
- Stazione di che?
- Sei proprio ignorante. Chissà cosa t'insegnano, in seconda.
- Proprio quello che insegnano a te in quinta. E i pompieri debbono salire fin lassù con la scala?
- Sì, i pompieri, a spegnere la luna... Lassù ci vanno gli astronauti.
- Ah, ho capito. Chiamami quando cominciano. Intanto vado a lavarmi i denti.
E Rita si allontanò virtuosamente in direzione del bagno. Le era venuto in mente che avrebbe potuto approfittare dell'assenza della mamma per lavare i capelli alla sua bambola.
Paolo non la trattenne, giudicando inutile proseguire la conversazione "con quella là". Cose nuove, del resto, accadevano sulla piazza di minuto in minuto. Dopo i pompieri piombavano sulla borgata le camionette della Questura. E che cosa spuntava già dalla strada di Roma? Un'autoblindo, due, tre. Un carro armato, un altro. Forse dei cannoni? Sì, anche dei cannoni. Accidenti, perfino i missili!
"Pare la grande parata", si disse Paolo, eccitatissimo.
Ma lo spettacolo più interessante era sempre quello che forniva dal cielo il gigantesco oggetto misterioso. A occhio e croce doveva avere il diametro di un chilometro. L'ombra che proiettava sulle grosse e brutte case popolari, sugli stenditoi di cemento, sulle strade rombanti di mezzi corazzati era livida e piena di minaccia.
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