Mettere in un’insalatiera un po’ di ottimo olio di oliva, aceto di vino bianco, 4 cucchiai di sugo di tacchino arrosto, mezzo cucchiaino di senape al dragoncello, il corallo e le parti tenere di un’aragosta, sale e pepe. Mescolare fino a ottenere un composto omogeneo. Aggiungere la polpa dell’aragosta tagliata a fettine, il petto di un cappone cotto al vapore tagliato a fettine, il petto di un tacchino e di tre giovani pernici tagliati a fettine (tenere le migliori per la decorazione), tartufi cotti in eccellente vino bianco secco tagliati a fettine, funghi preparati allo stesso modo e una certa quantità di gamberi d’acqua dolce sgusciati. Coprire con uno strato di foglie bianche di indivia o scarola. Aggiungere un altro strato e sul secondo strato di scarola disporre con eleganza le restanti fettine di petto di volatile, qualche strisciolina di prosciutto cotto senza grasso, grosse fette di tartufi e funghi, una corona di gamberi, 1 cucchiaio di capperi lavati in vino bianco e 1 tazza di olive verdi senza nocciolo. Disporre al centro un mucchio di maionese molto densa sormontata dal tartufo più grosso. Servire accompagnata da un ottimo champagne secco, ben freddo ma non ghiacciato.
Nell’autunno del 1943 aspettavamo con impazienza lo sbarco e la liberazione. Nel 1940 avevo messo via, insieme ad altre cose preziose, limoni e arance canditi, ananas e ciliege e quasi un chilo di uva passa. I nostri amici sapevano di queste provviste e sapevano anche che le tenevo in serbo per preparare la torta di frutta della liberazione. Di tanto in tanto davo un’occhiata ai vasetti per vedere che la frutta non si seccasse troppo. Finalmente venne la primavera del 1944. Quando i partigiani fecero deragliare la locomotiva di un treno che trasportava enormi botti di vino spagnolo destinato alla Svizzera, il nostro sindaco, temendo di non riuscire a organizzare la sorveglianza, requisì il vino. Lo divise fra i 250 membri delle forze di occupazione locali e i 1500 circa abitanti del paese. Io e Gertrude Stein mettemmo da parte la nostra razione per la festa della liberazione.
Proprio quando i comunicati cominciavano a diventare eccitanti e quasi insopportabili, ci fu ordinato di ospitare due ufficiali e trenta soldati dell’esercito italiano, gli ufficiali in casa, naturalmente, i soldati nei garage e nell’appartamento dell’autista... troppo vicini all’orto e al frutteto. Sarebbero riusciti a trattenersi dall’integrare le loro razioni a nostre spese? Il loro capitano disse di sì e, sorprendentemente, aveva ragione. Dopo un po’ i soldati cominciarono a vendermi al mercato nero le sigarette che riuscivano a mettere da parte, un grande sollievo per me, dopo tanta penuria di tabacco. I tedeschi davano razioni limitate di tabacco solo agli uomini, mai alle donne. Non eravamo attrezzate per seccare le foglie e tritarle, ma fumavamo tutto quello che riuscivamo ad arrotolare tranne le foglie di fico, che avevano avvelenato un nostro amico. Il tabacco italiano era gradevole, a portata di mano e abbondante. Per la nostra giovane domestica i soldati italiani avevano le stesse qualità. I due ufficiali ci regalarono un chilo e mezzo di parmigiano. Alla vista di quel ben di dio fummo sopraffatte dalla gratitudine e invitammo tutti a mangiare una versione ridotta della FONDUE
Lavare e pelare 150 gr circa di tartufi tagliati a dadini. Cuocere in 50 gr circa di burro, mescolando continuamente. Mettere da parte. Separare le chiare e i tuorli di 12 uova e passarli a uno a uno in tazze separate. Mescolare bene i tuorli. Montare le chiare fino a quando saranno ben ferme. Incorporare lentamente i tuorli. Salare e pepare. Aggiungere 120 gr circa di burro a pezzettini, 120 gr circa di formaggio grattugiato e i tartufi. Mettere mezza tazza di buon brodo in una casseruola alta di porcellana o di pyrex. Quando bollirà, versarci il miscuglio uova-formaggio-tartufi. Non appena incomincia ad addensarsi, togliere dal fuoco e sbattere fino a ottenere una crema. Aggiungere ancora mezza tazza di brodo. Tagliare 250 gr circa di burro a pezzettini. Ricominciare a cuocere a fuoco lentissimo, continuando a sbattere. La fondue deve essere perfettamente omogenea. Aggiungere 1 bicchierino del miglior kirsch. Servire subito in piatti ben caldi.
Avevamo soltanto un quarto della quantità di burro necessaria, e la fondue risultò meno vellutata di quanto avrebbe dovuto, ma anche così fu una vera festa assaggiarla di nuovo.
Gli italiani si fermarono con noi fino a quando il loro paese accettò l’armistizio. Non appena seppero la notizia, stracciarono i documenti militari e se ne andarono cantando. C’erano circa seicento soldati italiani nella zona, e la frontiera distava solo 125 chilometri. Speravamo che ce la facessero ad attraversarla sani e salvi. In seguito venimmo a sapere che erano stati tutti uccisi dai tedeschi.
Gli eventi stavano precipitando in una gran confusione. Eravamo tutti felici. Lo sbarco in Normandia era riuscito. I tedeschi sapevano che noi lo sapevamo. Ogni precauzione era stata abbandonata. Ci sembrò di sentire qualcuno cantare la Marseillaise . Quel pomeriggio ci informarono che avremmo dovuto ospitare più di cento tedeschi. Arrivarono quasi subito, cinque ufficiali e sette sottufficiali da alloggiare in casa, più un sacco di soldati da sistemare sulle terrazze e in giardino. Spedimmo Gertrude Stein con il cane e il manoscritto in una stanza al piano di sopra. Io e i domestici portammo di sotto i materassi per i sottufficiali e preparammo i letti e le stanze per gli ufficiali, i cui cani giravano per casa come i cavalli e gli asini tra le aiuole del giardino. C’era una tremenda confusione. Quella sera i tedeschi mangiarono cibo in scatola freddo. La mattina dopo uccisero un vitello sullo spiazzo più vicino alla casa e lo cucinarono su uno spiedo improvvisato. Nel pomeriggio se ne andarono servendosi abbondantemente delle nostre misere provviste e dei ricordi gelosamente conservati. I vasetti di frutta candita, però, erano ben nascosti nell’armadio della biancheria. Significavano molto per me... erano un simbolo dei giorni felici che sarebbero arrivati presto.
Sei settimane dopo la partenza dei tedeschi venimmo a sapere che gli alleati erano sbarcati anche a sud. Eravamo giubilanti. Il nostro esercito, o almeno parte di esso, sarebbe passato dalle nostre parti diretto verso nord.
La Résistance non solo aveva fatto saltare le rotaie ma anche la strada più importante in parecchi punti. Un pomeriggio Gertrude Stein tornò dal villaggio tutta eccitata con la notizia che i tedeschi avevano piazzato delle mitragliatrici nella piazza e nelle quattro strade che si diramavano da essa e che una quantità di soldati stava entrando nel villaggio. Bene, dissi io, stanotte non si dormirà. E domattina sarà tutto finito. Ma non accadde niente. La mattina dopo le mitragliatrici erano sparite. La fine si avvicinava. Fu allora che i ragazzi della Résistance vennero giù in silenzio dalle montagne. Una mattina occuparono il villaggio, spinsero tutti i tedeschi di Culoz e dintorni nelle paludi, li circondarono e li portarono via. Glorioso, classico, quasi biblico. Festeggiammo prendendo uno dei taxi liberati fino a Belley. Bandiere fatte in casa sventolavano alle finestre... non solo tricolori, ma stelle e strisce che variavano a seconda della tintura disponibile. I nostri amici erano eccitati quanto noi. Correva voce che la Prima Armata francese e la Settima americana fossero a Grenoble, a soli settanta chilometri di distanza. Ormai poteva succedere di tutto, al punto che quando vidi una jeep accostarsi al marciapiedi la presi per una jeep, e lo era. Era la prima jeep che avessi mai visto, ma non poteva essere altro, dato che a bordo c’erano soldati americani. Ci precipitammo incontro ai nostri compatrioti. Volevano indicazioni sulla strada da seguire. Li requisimmo immediatamente per cena... dato che dovevano pur mangiare e dormire da qualche parte, perché non a casa nostra? Facemmo un’entrata trionfale a Culoz e in casa. I domestici si misero a piangere e a far riverenze e li salutarono come nos liberateurs . Impossibile calmare la cuoca. Alla fine acconsentì a tornare in cucina a preparare la cena, la prima da quattro anni, e continuava a ripetere, non si preoccupi, signora, adesso posso cucinare anche senza panna e burro e uova. Ecco il menu di quella sera:
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